Lo zaino diventa sempre più pesante. Colpa dei libri? Macché. Il caro scuola mette a dura prova le famiglie italiane, con costi in aumento su vari fronti. E preparare i figli per il ritorno in classe può trasformarsi in un’esperienza finanziariamente gravosa.
La semplice fornitura di libri e cancelleria può arrivare a costare fino a 1300 euro. Ma anche la moda fa la sua parte: i prodotti firmati da influencer, youtuber.
Zaini a 200 euro
Nel solo 2022, i prezzi dei quaderni, dei diari, degli astucci e di tutto il materiale scolastico hanno registrato un aumento medio del 7%, con picchi del 10% per i prodotti di marca (FONTE: Codacons). Uno zaino può arrivare a costare più di 200 euro. Anche gli astucci prodotti da marchi noti, specie se includono penne, matite, gomme e pennarelli, possono raggiungere i 60 euro.
D’altronde, come sorprendersi se perfino un semplice diario supera facilmente i 30 euro. Un aumento dei costi notevole, reso particolarmente aspro a causa dell’emergenza energetica e dai problemi con le materie prime dell’ultimo periodo. Che hanno causato maggiori oneri di produzione per le aziende e, di conseguenza, fatto salire drasticamente i prezzi di prodotti come carta e tessuti, tra gli altri. Ma una possibilità per risparmiare c’è.
SOS second hand
A dire il vero, ne esistono diverse. Su tutte spicca il mercato dell’usato. Il business dell’abbigliamento di seconda mano, vintage o pre-loved, rappresenta un’alternativa più sostenibile. E non solo dal punto di vista economico, ma anche sul piano etico e ambientale. A rendersene conto sono sempre più persone.
Lo dimostrano i numeri. Il valore del mercato globale è destinato a passare dai 177 miliardi di euro del 2022 alla vertiginosa cifra stimata di 351 miliardi di euro per il 2023 (FONTE: Statista). Cifre ancora più significative se si considera che crescerà in media a un velocità tripla rispetto a quella del mercato globale dell’abbigliamento.
Un fenomeno di nicchia
«Il resale non è un fenomeno di nicchia, ma un pilastro del commercio al dettaglio», ha affermato Anthony Marino, Presidente di ThredUp, e-commerce statunitense di abbigliamento e accessori di seconda mano. Sulla stessa linea il CEO, James Reinhart, convinto che «gli anni migliori per il business dell’usato devono ancora arrivare. Poiché la domanda è in forte espansione e non si prevede che diminuisca nemmeno con un calo dell’inflazione». Non a caso, la società ha brillato nel corso del suo ultimo esercizio fiscale, generando un giro d’affari pari a 288,4 milioni di dollari. Con una crescita del 15% su base annua. Non è che una delle molte storie di successo nate in quella che un tempo era considerata una nicchia.
L’e-commerce è il più usato
L’accesso ai prodotti pre-loved, in passato disponibili solo in negozi vintage o nei mercatini dell’usato, è ora alla portata di tutti grazie alle applicazioni per dispositivi mobili e ai siti web come Depop, Vinted e Vestiaire Collective. Una tendenza tanto dirompente da contagiare nel giro di pochi anni tanto il mondo fast fashion, quanto rivenditori tradizionali e lusso. A trainare le vendite del second hand sono proprio i consumatori più giovani, che frequentano scuole e università. In particolare, la Generazione Z e i Millennial rappresenteranno quasi i due terzi della spesa incrementale nell’acquisto di prodotti di seconda mano nei prossimi anni. Con l’aumento del loro potere di acquisto, cresceranno anche i consumi in questo comparto. Ad attrarli è soprattutto la possibilità di acquistare vestiti in un modo più economico e rispettoso dell’ambiente. Due argomenti che particolarmente importanti agli occhi degli studenti di oggi (nonché genitori di domani).
Gli esempi all’estero
Ma l’usato è davvero l’unica soluzione per chi fatica a permettersi le soluzioni all’ultima moda contro il caro scuola? In molti Paesi, esiste un’alternativa in più, quella dell’uniforme scolastica. I sostenitori dell’obbligo di divisa ne citano tra i vantaggi principali proprio la capacità di appianare le barriere economiche, culturali e sociali. Ma l’apparente semplicità dell’uniforme non deve ingannare: anche dietro questo prodotto si nasconde un giro d’affari importante.
Un business in aumento
Si prevede infatti che le dimensioni del mercato globale delle divise scolastiche passeranno dai 15,92 miliardi di dollari del 2022 a 23 miliardi di dollari nel 2026. Registrando un tasso di crescita annuo composto (CAGR) del 9,6%, trainato principalmente dall’aumento del numero di scuole. Con l’Asia-Pacifico che si aggiudica la fetta più grande del mercato e si classifica come l’area in più rapida crescita nel periodo considerato.
Uniformi o grembiuli?
In generale, i principali tipi di uniformi comprendono abbigliamento classico e sportivo e includono soprattutto pantaloni, camicie, gonne, tute, maglioni e blazer per gli studenti di scuole primarie, medie, superiori e per l’università. Questo business contribuisce in modo significativo all’industria tessile, stimolando la domanda di materiali come poliestere, nylon e cotone. In Italia non esiste una domanda vera e propria per questo tipo di prodotto. Ad eccezione dei grembiulini indossati dai bambini durante gli anni delle elementari. Proprio su quest’ultimo fronte si concentrano le principali imprese italiane concentrate sul settore.
Un settore che inquina
Ma il settore tessile-moda è uno tra i più inquinanti al mondo. Produce tra l’8% e il 10% di tutte le emissioni globali, cioè tra i 4 e i 5 miliardi di tonnellate di CO2 immesse nell’atmosfera ogni anno. E senza una forte inversione di marcia, la situazione diventerà ancor più drammatica. Infatti, secondo la Convenzione delle Nazioni Unite sul cambiamento climatico, le emissioni della sola industria tessile saliranno del 60% entro il 2030. Per non parlare poi dello spreco idrico e dei volumi d’acqua insostenibili utilizzati per la produzione. Ciò non significa che non si debba e non si possa cambiare. La moda sostenibile non è infatti solo quella di seconda mano, ma anche quella che persegue una produzione improntata sull’avere un impatto minore sul pianeta, garantendo, tra le altre cose, anche l’assenza di prodotti chimici inquinanti nelle fasi produttive.
Come diminuire i gas serra
L’utilizzo di fibre organiche, come il cotone biologico, allunga il ciclo di vita dei prodotti, disincentivando così la moda usa e getta. E diminuendo la produzione mondiale di abbigliamento si riduce di conseguenza l’emissione dei dannosissimi gas serra. Scegliere questo approccio equivale inoltre a tutelare i diritti dei lavoratori e a incentivare la produzione locale. «Alcune sostanze chimiche utilizzate durante i processi di lavorazione, se non ben controllate o di qualità, possono permanere sui tessuti ed entrare a contatto con la pelle», sottolinea sempre Marta.
La sostenibilità ha un costo
Come ogni cosa, però, anche la sostenibilità ha un costo. E non è detto che tutti possano permettersi di pagarlo. I prodotti sustainable fashion presentano infatti un inevitabile premium sul prezzo dei loro concorrenti, per via dei maggiori oneri di produzione generati dall’impiego di tessuti ecologici e dal mantenimento di filiere eque verso i lavoratori. Un problema che riporta alla questione iniziale. Anche nel campo dei prodotti per la scuola, non tutti possono permettersi di stare dietro alle innovazioni di prodotto e di mercato che hanno caratterizzato l’ultimo periodo.
Moda per tutte le tasche
La vera sfida, dunque, anche sul fronte della sostenibilità, è quella di creare una moda per tutti i gusti e per tutte le tasche. Una missione che una parte del settore fa sua, con risultati spesso positivi, in termini di fatturato e reazione del pubblico. Il tutto nonostante, come al solito, questo tipo di aspetti sia passato relativamente sotto silenzio da parte di autorità e istituzioni.
Gli aiuti: come ottenerli
Quanto a sussidi e aiuti alle famiglie, infatti, lo Stato mette ancora a disposizione ben poco. A eccezione della oramai rodata Dote Scuola di Regione Lombardia, che anche nel 2023 aiuterà 200 mila studenti a comprare il materiale scolastico, forte di uno stanziamento da ben 48 milioni di euro, le iniziative a supporto del diritto allo studio si contano sulle dita delle mani. Un numero che si riduce all’osso quando si parla di qualsiasi tipo di prodotto collegato alla moda e alle forniture scolastiche, al di là della semplice cancelleria e dei libri di testo. ©
Tiziana Molinu
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