Pochi bambini e poco lavoro sono collegati? In Italia il numero di nascite è sceso per la prima volta sotto le quattrocentomila, 392.598 per essere precisi (ISTAT). Quindi, continua senza tentennamenti la contrazione della natalità e la bassa fecondità che accompagna il Paese ormai da decenni.
Il rinvio della genitorialità influenza la bassa fecondità
La bassa fecondità è frutto di molte dinamiche, acuite dalla pandemia che, a distanza di tre anni, continua ad avere un peso sulla situazione economica e sulla visione del futuro da parte delle coppie, rendendo difficile la pianificazione. I neonati nel 2022 sono il 32% in meno di quelli che nascevano nel 2008. Inoltre, assistiamo anche ad un progressivo rinvio della genitorialità: le donne diventano madri sempre più tardi. A contribuire c’è l’elevato e crescente costo dei figli, insieme alla carenza di politiche a sostegno delle famiglie.
La correlazione tra gender gap e fecondità
La relazione tra partecipazione femminile al Mercato del lavoro e fecondità è infatti diretta: lì dove le donne lavorano di più, nascono più bambini. Si tratta di una regolarità che ha investito non solo l’Italia, ma tutta l’Europa. Se fino agli anni Ottanta, la relazione tra partecipazione femminile al Mercato del lavoro e fecondità era inversa, con le aree in cui erano più presenti in attività retribuite come zone a fecondità ridotta, oggi la situazione è cambiata. Dunque, affinché sia più alta non basta che uno dei partner lavori, ma c’è bisogno che entrambi abbiano una posizione stabile. «La parità di genere si traduce in occupazione femminile, in tutela della maternità e in un welfare efficace che se l’Italia adottasse creerebbe crescita sociale e sviluppo», dice Silvia Salis, Vicepresidente vicario del CONI (Comitato Olimpico Nazionale Italiano).
Lavoro: differenze tra madri e padri
Confrontando i tassi di occupazione delle madri con quelli dei padri emerge un quadro netto dei meccanismi sottostanti la partecipazione al Mercato del lavoro: se per le donne avere figli riduce il tempo e l’energia da dedicare alla professione, per gli uomini invece aumenta la motivazione e la volontà di provvedere alla famiglia. Poiché lo sforzo lavorativo ne aumenta la produttività, la paternità può aumentare i guadagni anche se passano la stessa quantità di tempo al lavoro che trascorrevano prima di avere un figlio. Perciò, la paternità potrebbe essere un segnale anche per i datori di lavoro: così come ci sarebbe una discriminazione negativa nei confronti delle madri.
La feconidtà e l’occupazionale
Ciò è evidente se osserviamo i dati relativi alla disoccupazione: tra gli uomini in età lavorativa (tra i 25 e i 54 anni) senza figli è pari all’8,9%, mentre scende al 4,3% per chi ha figli minori. Per le donne senza figli la percentuale è di poco dissimile ai coetanei maschi (11%), mentre tra le mamme con figli minori è quasi doppia rispetto a quella degli uomini nelle medesime condizioni (8,5%): anche in questo caso le sfavorite sono le più giovani: 13,5%. Osservando la minore disoccupazione delle donne con un figlio minore rispetto alle quelle senza figli, sembra emergere che per diventare genitori in Italia è importante che a lavorare siano entrambi i partner. ©
Fonte: Le equilibriste, la materinità in Italia 2023, Save the Children
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