domenica, 28 Aprile 2024
Sommario

A caratterizzare l’inizio del 2024 è l’instabilità. Quella educativa, in particolare. È ancora alto il tasso sulla necessità di comprendere le possibilità finanziarie per i risparmiatori. Sul fronte investimenti è la sicurezza a preoccupare di più. L’indagine di Intesa Sanpaolo e Centro Einaudi sul “Risparmio e sulle scelte finanziarie degli italiani” dell’anno appena concluso parla chiaro: cresce il ricorso alle obbligazioni, mentre crolla il risparmio gestito (-15%). Questo perché la Borsa resta un terreno da dissodare, nel 2023 solo il 4,2% del campione ha comprato azioni. L’oro ha conquistato il 23% del campione mentre i fondi ESG il 13%. A far tremare c’è anche l’inflazione. «Le banche centrali hanno vinto la loro battaglia nella lotta all’inflazione. Hanno evitato second round effect sulla diffusione dell’inflazione e il contenimento della domanda ha calmierato i prezzi delle materie prime energetiche», ha dichiarato Gregorio De Felice, Chief Economist della Banca. Con riferimento all’area dell’euro, le stime di Intesa indicano un rallentamento dell’inflazione al consumo in un anno dal 5,4% al 2,3%, seguito da una stabilizzazione sul 2 % da inizio 2025. In Italia la stima è dell’1,8%.

Risparmio e inflazione

«I Mercati pensano che le Banche centrali abbiano messo un freno all’aumento dei tassi. La loro strategia di combattere l’inflazione esclusivamente attraverso l’inasprimento della politica monetaria ha avuto un impatto abbastanza forte sulle economie, aumentando il rischio di recessione», dice Alessandro Fatichi, consulente finanziario e autore del podcast La finanza amichevole, disponibile sul nostro sito www.ilbollettino.eu.

Lato azionario, la volatilità resterà elevata, specie nella prima parte dell’anno, sulla scia delle aspettative di una possibile fase di rallentamento dell’economia USA. «L’attuale aumento dell’inflazione è stato principalmente causato dal forte incremento dei prezzi delle materie prime energetiche a seguito della guerra in Ucraina. Nonostante ciò, in America è stata registrata una crescita economica, a differenza dell’Europa. Di conseguenza, non vedo grandi cambiamenti nella prima metà del 2024, ma potremmo iniziare a osservare qualche movimento negli Stati Uniti nella seconda metà dell’anno. Per l’Europa, tutto dipenderà dai risultati macroeconomici del continente».

Quali effetti ci saranno a livello di mutui e prestiti?

«L’aumento dei tassi ha avuto un impatto significativo non solo sull’economia in generale, ma anche sulla domanda di credito, tanto per il consumo quanto per l’acquisto di immobili. Su questi ultimi è evidente un marcato declino dei contratti di compravendita immobiliare, che si aggira intorno al -30% rispetto all’anno precedente. Un calo legato alla necessità di indirizzare il risparmio verso le spese quotidiane, per via del carovita attuale: basti pensare agli aumenti che osserviamo quando ci rechiamo a fare la spesa. Questo porta le persone a mostrarsi più restie a impegnarsi in investimenti a lungo termine. Inoltre, è importante sottolineare che in Italia i redditi sono rimasti sostanzialmente invariati da tre decenni».

Che effetto ha sulle banche questa riduzione della domanda?

«L’operazione di prestito è meno redditizia perché le banche ne stanno erogando meno. Tuttavia, gli istituti di credito ottengono notevoli profitti dal risparmio depositato nei conti correnti. Con l’aumento dei tassi di interesse, guadagnano dalla liquidità, che può essere remunerata a tassi più alti, diversamente da due anni fa quando erano a zero. Infatti, se non viene riconosciuto nessun interesse ai clienti sul conto, la liquidità che le banche hanno nei depositi genera flussi di cassa positivi».

Vincolando il proprio risparmio in un conto deposito a 6 mesi si può ottenere all’incirca il 2,5% annuo netto, ad un anno si arriva quasi al 3%. Da cosa deriva un rendimento così “generoso”?

«In periodi di aumento dei tassi di interesse, i conti deposito ritornano di moda, dopo essere stati quasi dimenticati negli ultimi 5-6 anni. Le società finanziarie, nel tentativo di attrarre nuovi clienti, offrono tassi interessanti sui conti deposito. Ma, se si guarda attentamente, questi sono spesso inferiori a quelli offerti da un titolo di Stato a scadenza tra sei e dodici mesi, perché i tassi sono spesso vincolati a una data di scadenza specifica o all’obbligo di sottoscrivere prodotti finanziari per ottenere il tasso di interesse offerto sul conto corrente».

Perché noi italiani investiamo il nostro risparmio principalmente nell’immobiliare?

«Pensiamo che il suo valore non diminuirà mai, ma è una percezione distorta. Non calcoliamo il vero costo di una casa e, quando il Mercato è in calo, lo vediamo come un’opportunità di acquisto. Invece, quando l’azionario è in calo tendiamo a liberarci di tutto, con una mentalità che ci porta a vendere azioni quando i prezzi sono bassi e a comprarle quando sono alti. Inoltre, siamo propensi a non investire né pianificare a lungo termine, confidando nelle capacità dello Stato. Pochi di noi investono per la pensione integrativa, ad esempio. Questo discorso riporta all’idea del conto deposito o del tasso di interesse, una sorta di “meglio un uovo oggi che una gallina domani”. Prendere qualcosa di immediato che sembra vantaggioso in superficie invece di aspettare. Ma alla fine, nessuno regala nulla. Le banche offrono solo i tassi di Mercato, spesso anche inferiori. Eppure, con l’offerta di un conto deposito, riescono ad attirare nuovi clienti, perché in molti casi, l’italiano medio non investe in azioni, preferendo i tassi di interesse o l’acquisto di immobili. Sono generalizzazioni, ma la maggior parte delle persone agisce così, come dimostra l’aumento della pubblicità per le ultime emissioni di titoli di Stato, come i BTP e i BTP Italia legati all’inflazione, che hanno attirato un numero impressionante di sottoscrizioni».

L’area euro ha registrato un’inflazione annua  del 2,9%, in netto contrasto con il 4,3% osservato a settembre e con l’impennata del 10,6% nello stesso periodo del 2022. Questo suggerisce un possibile rallentamento del dato, ma è davvero così?

«Non esattamente. L’aumento dell’inflazione era stato alimentato da un rialzo dei costi delle materie prime, in particolare di quelle energetiche come il petrolio e il gas. Adesso il prezzo del petrolio è sceso intorno ai 70 dollari a barile (nell’estate 2022 aveva toccato i 120, ndr), così come gli altri energetici. Di conseguenza, l’economia si è raffreddata abbastanza velocemente. Questo perché l’andamento era di tipo “speculativo”, ma non un aumento dell’inflazione sano. Infatti, con una crescita moderata dell’inflazione e dei salari, la prima si può considerare positiva. Ma in questo caso l’aumento è stato anomalo e come è salito rapidamente, così è sceso altrettanto velocemente negli ultimi tre mesi. Inoltre, c’è più offerta che domanda, e l’inflazione tende a calare quando le persone spendono meno, o addirittura riducono drasticamente i loro acquisti».

La Commissione europea prevede che il PIL aumenterà dello 0,6% nel 2023, con un taglio di 0,2 punti rispetto alle previsioni di settembre. Invece, negli Stati Uniti il tasso di crescita dovrebbe essere intorno all’1,7%. Come si spiega il divario?

«Il calo nelle prospettive economiche dell’Europa può essere attribuito al fatto che i consumatori spendono di meno. La necessità di avere più risorse finanziarie per sostenere il costo della vita ha portato a una riduzione dei consumi, influenzando negativamente la crescita economica. D’altro canto, negli Stati Uniti, la situazione è diversa: oltreoceano, l’aumento dei salari è stato coerente con l’incremento dell’inflazione e del costo della vita. Questo ha contribuito a mantenere un certo livello di crescita economica, rendendo la differenza tra le due economie notevolmente evidente».

Le esportazioni sono diminuite del 9,3% a settembre rispetto a un anno fa e le spedizioni di merci all’interno dell’Eurozona sono scese del 15,5%. Le due guerre in corso fanno sentire il loro peso?

«Il rallentamento delle esportazioni è dovuto a quello economico. A seguito della guerra in Ucraina, il  trend di globalizzazione ora sembra volgere verso un ritorno, sotto certi aspetti, alla produzione locale. Ciò si ripercuote sulle esportazioni, poiché ogni area cerca di crescere in maniera indipendente».

In che modo inflazione e tassi di interesse stanno influenzando il Mercato azionario e obbligazionario?

«Dopo i ribassi consistenti sull’azionario dovuti all’incertezza tra luglio e ottobre, abbiamo notato un forte rialzo, perché si comincia a vedere la fine degli aumenti dei tassi di interesse.  Ma l’effetto più importante si osserverà probabilmente nei bond, con un apprezzamento significativo. Questo appunto perché siamo arrivati all’apice dell’aumento dei tassi di interesse. Quando inizieranno a diminuire, mi aspetto che i rialzi più significativi si manifestino nell’obbligazionario. Anche le azioni dovrebbero salire, specialmente in quei settori rimasti più colpiti dall’aumento dei tassi. Se scenderanno, la aziende potranno ottenere finanziamenti a tassi più bassi. Ma probabilmente l’effetto sarà comunque minore che per le obbligazioni».

Perché i bond a breve termine beneficiano dell’aumento dei tassi di interesse, mentre quelli di lungo periodo rischiano di svalutarsi?

«Potrebbe essere un indicatore che abbiamo raggiunto l’apice dell’aumento dei tassi. Però non è corretto affermare che le obbligazioni a lungo termine perdono sempre valore, piuttosto esse tendono a essere più volatili a causa del rischio di variazioni dei tassi di interesse distribuito su un periodo di tempo più lungo. Anche se i tassi di interesse si stabilizzassero in un certo periodo, la variazione del prezzo delle obbligazioni a lungo termine è generalmente più marcata rispetto a quella delle obbligazioni a breve termine. Ma le prime possono offrire un tasso di interesse più elevato, per cui il loro prezzo inizierà a salire in maniera più sensibile quando i tassi di interesse inizieranno a diminuire, rendendole più interessanti».

Quali sono le prospettive per il 2024?

«Le previsioni sono favorevoli per entrambi gli asset, con un’inclinazione sulla parte obbligazionaria. Non è un discorso di preferenza, quanto di possibilità di un recupero più forte. La componente azionaria può essere maggiormente influenzata dall’andamento dell’economia, però se i tassi di interesse si stabilizzano e poi iniziano a diminuire, il prezzo delle obbligazioni avrà una ripresa molto forte. Tuttavia, bisogna aspettare per avere un quadro più chiaro della situazione, sperando che uno stop del rialzo dei tassi sui mercati finanziari possa essere lo spiraglio e la luce in fondo al tunnel dopo i ribassi dello scorso anno». ©

📸 Credits: Canva.com

Articolo tratto dal numero del 1 gennaio 2024. Abbonati!

Laureato in Economia, Diritto e Finanza d’impresa presso l’Insubria di Varese, dopo un'esperienza come consulente creditizio ed un anno trascorso a Londra, decido di dedicarmi totalmente alla mia passione: rendere la finanza semplice ed accessibile a tutti. Per Il Bollettino, oltre a gestire la rubrica “il punto sui Mercati”, scrivo di finanza, crypto, energia e sostenibilità. [email protected]