lunedì, 7 Ottobre 2024

Giovani e disoccupati: come attirare le nuove leve

Sommario

Aumentano i posti di lavoro, ma non per i giovani. Nel 2023, in Italia il tasso di occupazione dai 15 ai 64 anni ha raggiunto un risultato storico, il 61,9%, in continuità con il trend positivo dell’anno precedente (+1,2%). Per gli under 35, però, restano i problemi. Nella fascia 25-34, i disoccupati sono il 9,3%, al di sopra del dato globale del 7,2%. Ma la situazione è ancora peggiore se si guarda ai più giovani, gli under 25, per cui la disoccupazione sale a un preoccupante 20,1%.

Ma come ingaggiare maggiormente i giovani e introdurli nella forza lavoro? «Il focus deve essere in particolare sulla Generazione Z e i Millennial. Abbiamo deciso di non investire su una community ma sul software. Entriamo in contatto con i potenziali candidati, che prima di diventare utenti stanno cercando lavoro su altre piattaforme o stanno navigando semplicemente i social. Con i profili di diplomati e neolaureati riscontriamo moltissimi “supermatch” perché nella fase iniziale di carriera non si è ancora consapevoli di quello che si potrebbe fare con le abilità sviluppate. La piattaforma fornisce gli strumenti per riconoscerle, ma poi sta a loro indagarle», dice Matteo Trovò, CEO di Stepsconnect, piattaforma di recruiting e ricerca del lavoro progettata per intercettare le nuove generazioni.

In che modo la Startup si distingue da una tradizionale job board?

«Stepsconnect è una piattaforma che ha due anime: una dedicata ai candidati e una ai recruiter. Un candidato sceglie la piattaforma per ricevere offerte di lavoro in linea con il proprio profilo. Per questo è stato sviluppato un algoritmo di matching tra il profilo di chi cerca lavoro e gli annunci. Tutti questi riportano informazioni chiare e sintetiche come RAL, benefit, carriera futura e processo di candidatura».

C’è di più?

«Sì, la particolarità è che su ogni annuncio è presente un avatar, che può essere un referente aziendale o un membro del nostro team, che va a leggere al candidato i punti salienti dell’annuncio. In questo modo la permanenza media sulla pagina passa da pochi istanti a 50-55 secondi. In sostanza, matchiamo i candidati con annunci di lavoro profilati e quindi andiamo a generare candidature qualificate».

Come funziona dal lato recruiter, invece?

«La piattaforma è definita programmatic. Questo significa che un algoritmo si occupa della pubblicazione di annunci di lavoro in linea con le posizioni aperte su più canali, anche sui social network, e fino al database. Il recruiter a quel punto inizia a ricevere candidati e può decidere dove accoglierli, sul proprio gestionale applicant tracking system, oppure utilizzando Stepsconnect per gestire tutta la hiring pipeline, quindi dal primo contatto fino all’assunzione».

In che modo si può supportare l’azienda?

«Ogni mese il recruiter riceve un performance report, dove vengono contestualizzate metriche come il background dei candidati o la Diversity & Inclusion, ma soprattutto ci sono elementi più concreti come il Cost per Applicant (CPA) e il Cost per Hire (CPH). Inoltre, il processo di emailing e reminder serve per alzare la percentuale di candidati assunti e quindi abbassare il CPH».

Come la tecnologia ha influenzato il processo di selezione?

«È alla base della comunicazione tra recruiter e candidati. Serve avere chiarezza negli annunci di lavoro, questo deve essere il primo punto di partenza. Stepsconnect, ad esempio, sfrutta un template di annunci ad alta conversione, tale per cui le posizioni visionate da un candidato generano un alto conversion rate in candidati qualificati. Il recruiter a quel punto può ordinare le informazioni essenziali per il candidato. Spesso le job board o altri service provider puntano molto di più su una pubblicazione veloce. Lo stesso vale per la nostra piattaforma, ma attraverso un prompt di intelligenza artificiale le richieste e le offerte dei recruiter hanno maggiore visibilità e riescono a saltare all’occhio più facilmente per chi sta cercando lavoro. La comunicazione chiara tra candidati e recruiter migliora il processo di hiring perché porta candidati molto qualificati e che hanno già un’aspettativa concreta del lavoro che potenzialmente andranno a svolgere».

Qual è la percentuale di candidati che supera la selezione?

«Sfruttando il cost per applicant, il nostro obiettivo è generare il maggior numero di candidature qualificate nel minor tempo possibile. Sul totale, nel 30% dei casi l’azienda chiede di proseguire con un colloquio».

Come si può risolvere il disallineamento tra le richieste e le competenze acquisite?

«È necessario quasi ricreare il primo giorno di lavoro tramite gli annunci, ossia avatar o brand page con video estratti dai contenuti pubblici dell’azienda. Parliamo spesso di “sindrome” da primo giorno, affinché il candidato semplicemente consultando gli annunci incontri già i futuri colleghi e prima di candidarsi sia consapevole degli obiettivi, dei valori e delle sfide che sta affrontando il brand. In questo modo, oltre a rendere chiaro il match suggerendo solo annunci profilati, si stimola l’engagement e l’allineamento all’offerta per cui si sta candidando».

L’obiettivo, dunque, è trasparenza totale?

«La user experience è al primo posto, sia per il recruiter sia per il candidato. Il primo può consultare rapidamente i propri “supermatch”, cioè le posizioni in linea con il proprio profilo, le proprie ambizioni professionali e la geolocalizzazione. Dall’altro lato il recruiter è accompagnato da notifiche, follow up e template per massimizzare il costo delle assunzioni, quindi assumere il più possibile limitando i costi».

Come si può agire per fronteggiare la disoccupazione giovanile?

«Il primo passo è l’orientamento. Una volta che si è entrati in contatto con l’algoritmo, fornendo le informazioni essenziali, arrivano i suggerimenti con i lavori più adatti alle caratteristiche fornite. Per questo, i candidati junior, che non sanno realmente cosa vorrebbero fare o cosa potrebbero fare con le hard skills che hanno maturato, ritrovano le risposte del software. Da qui hanno una rosa di aspettative per le quali possono candidarsi qualitativamente. Il nostro obiettivo sarà poi quello di andare a lavorare su un target sempre più giovane».

Ci sono settori che prevalgono?

«Sì assolutamente. Soprattutto quelli verticali, ad esempio il retail, la grande distribuzione, luxury e fashion, produzione, trasporti e logistica».

Oltre alle competenze, c’è uno squilibrio di genere?

«Tramite il report mensile che viene elaborato, l’azienda ha la possibilità di intervenire in questo campo. Un obiettivo di un brand potrebbe essere quello di innalzare la percentuale di pubblico femminile che si candida oppure abbassare l’età media. Modificare gli annunci con parole chiave può aiutare in questo senso».

Cosa vi ha spinto a entrare in questo Mercato e cosa vi aspettate dal futuro?

«Prima di Stepsconnect, io e i miei soci abbiamo sviluppato una piattaforma all’interno del Nestlé Startup Program, sempre nel settore delle risorse umane. Abbiamo iniziato nel 2022 e appena chiuso un round di investimento da un milione di euro tramite Venture Capital. L’obiettivo di quest’anno è lavorare su un seed round e sull’internazionalizzazione, quindi ampliare il parco clienti non solo all’Italia».                                  

Qui l’Italia non brilla…

L’Italia, secondo le elaborazioni Eurostat dell’Istituto EURES Ricerche Economiche e Sociali contenute nel Rapporto Giovani 2024, è all’ultimo posto tra i principali Paesi europei relativamente al tasso di occupazione giovanile (15-29 anni), con un indice del 34,7% contro il 49,7% della media UE. La forte distanza dal quadro europeo si riconferma nella disaggregazione di genere, in particolare per la componente femminile: il tasso di occupazione giovanile (15-29 anni) è fermo al 29,3% (39,7% per quella maschile).

Questa differenza si amplifica se il confronto raggiunge i Paesi europei più virtuosi: i Paesi Bassi segnano il 79,1% (1,6 punti percentuali inferiore a quello maschile), mentre in Norvegia e Austria il valore si registra, rispettivamente, al 68,1% e al 61,6%. Nel nostro Paese, il gender gap è tra i più alti (10,4 punti percentuali), di poco superiore a quello della Polonia (9,8 punti). Nelle regioni del Sud, nel 2023 il tasso di occupazione giovanile è del 33,1%, con uno scarto di 14,2 punti percentuali rispetto ai valori del Centro (47,3%) e di oltre venti rispetto alle regioni del Nord (53,4%).

Non solo occupazione: l’Italia è interessata anche dall’inattività. Un fenomeno che comprende sia i non occupati, sia gli studenti. Se il valore più alto dell’indice si rileva nel 2020, in piena pandemia, nel 2023 si scende al di sotto dei livelli prepandemici, con variazioni negative in tutte le fasce d’età. Il dato passa dal 49% del 2019 al 48,1% del 2023. Una particolare declinazione dell’inattività è relativa al fenomeno dei NEET, i giovani non coinvolti né in attività di istruzione né al lavoro. In media in Europa, nell’ultimo anno, sono coinvolti l’11,2% dei giovani tra i 15 e i 29 anni, mentre in Italia il valore raggiunge il 16,1%. Un altro primato non invidiabile tra i maggiori Paesi europei considerati, con scarti significativi nel confronto con i benchmark rappresentati da Francia e Germania (rispettivamente 12,3% e 8,5%).

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📸 Credits: Canva.com

Articolo tratto dal numero del 1 maggio 2024 de il Bollettino. Abbonati!

Determinata, ambiziosa, curiosa e precisa. La passione per il giornalismo mi guida fin da bambina. Per Il Bollettino mi occupo di Startup e innovazione, curo le interviste video ai player del settore e seguo da anni la realtà delle PMI.