sabato, 7 Dicembre 2024

Allarme ESG in Italia. Incarnato, EY: «Siamo in ritardo sull’Europa. Ecco perché»

L’Italia accumula ritardo rispetto agli altri Paesi europei, per quanto riguarda l’integrazione delle logiche ESG nelle scelte di investimento. «Per fare dei prodotti sostenibili bisogna conoscere meglio le esigenze dei propri clienti. Tuttavia, noi siamo indietro nella customer segmentation», spiega Giovanni Andrea Incarnato, Italy Wealth & Asset Management leader di EY

L’integrazione delle variabili ESG è già consolidata in Paesi come Francia e Paesi Nordici (Svezia, Norvegia, Danimarca e Finlandia); in termini sia di utilizzo del set informativo previsto dal tracciato MiFID, sia di uso di provider esterni a supporto dell’elaborazione di rating di portafoglio.

Che cosa frena gli intermediari italiani, in ritardo rispetto agli altri Paesi europei, nell’integrazione delle logiche ESG nelle scelte di investimento? 

«Non si parla tanto di ritardi nell’offerta di prodotti sostenibili da parte italiana, ma di cos’è necessario per consentire agli asset manager di posizionarsi meglio su questo mercato. Fare prodotti sostenibili è un onere operativo. Di conseguenza, perseguire questa strada può limitare le scelte d’investimento del gestore del fondo. I nostri operatori applicano ancora logiche molto datate, relativamente alla segmentazione della clientela. Per esempio, si potrebbero utilizzare i questionari Mifid, adattarli a quelli che sono le nuove caratteristiche che emergono dalla normativa SFDR per chiedere ai clienti qual è la loro sensibilità in termini di sostenibilità. Cosa che deve essere necessariamente fatta per andare a clusterizzare bene i clienti, e poi adeguare l’offerta commerciale dei prodotti sostenibili».

Come mai l’Italia destina la classe clean solo agli istituzionali, mentre in Svizzera e Olanda è destinata anche al segmento Retail? 

«Parlando di modello operativo, una cosa che va adeguata è anche il modello di servizio. Quindi, bisogna modificare il pricing. Oggettivamente faccio fatica a pensare che passerà ancora molto tempo prima che le clean share class vengano distribuite in Italia. Credo ci sia un prezzo che supera il valore riconosciuto dal cliente su alcuni prodotti di risparmio gestito. Di conseguenza, questo si porterà dietro una maggiore pressione sui margini».

In che modo, valutando ex ante i fondi equivalenti si è avuto un impatto sul prezzo e sulle classi dei fondi collocati? 

«In Italia abbiamo visto che sono stati applicati dei controlli per quanto riguarda la compliance normativa. L’impatto sui fondi collocati con l’introduzione di questi controlli automatizzati, sia ex-ante che ex-post, solo per alcuni ha registrato degli impatti sul collocamento dei fondi con elevate commissioni up-front. Quindi, mentre il regolatore italiano ha dato peso ai requisiti sui costi/benefici, questi poi non si sono riverberati in una maggiore o minore distribuzione, o una correlazione del prezzo con il valore dei fondi stessi». 

E in Europa? 

«Nel resto del continente si è manifestata una situazione molto variegata. Quindi laddove ci sono fondi con elevate commissioni ricorrenti ci sono stati degli impatti, soprattutto ex-ante nella restrizione della gamma. Mentre sui fondi con elevate commissioni recurring, l’impatto è stato più variegato nel continente. L’Italia si pone nel mezzo».

Che cosa ha spinto l’Italia a focalizzarsi su controlli automatizzati per l’analisi costi/benefici e su controlli ex-post, mentre gli altri paesi europei stanno adottando l’ex-ante? 

«È un diverso recepimento da parte dei regolatori nazionali. I Paesi che più si somigliano come contesto di mercato e come contesto regolamentare sono quelli latini (Francia, Italia e Spagna). Invece tutti gli altri, soprattutto Olanda e Nordici, hanno delle regolamentazioni differenti. Quindi, la nostra Consob si concentra più su controlli ex-post».

Come mai il servizio di consulenza per i retail è fee-based in Germania, mentre in Italia e Francia no? Secondo lei, adottarlo potrebbe ridurre il conflitto d’interesse tra il promotore e il cliente? 

«Perché nei Paesi nordici e in Germania è fatta maggiormente su classi di fondi dedicate. Invece, la nostra è una consulenza non differenziata e quindi si basa ancora sul prodotto. Al fine di mitigare il conflitto d’interessi, il concetto è quello di differenziare le classi di prodotto in relazione al modello di servizio offerto. La clientela retail non è molto attenzionata da operatori specializzati di private banking. Questo è un tema per le nostre banche commerciali più grandi, come ad esempio Unicredit, Bper e Bnl. Questi istituti di credito ci dovrebbero ragionare molto attentamente su, perché hanno come target primario soprattutto clientela retail».

Cosa pensa della figura del “consulente finanziario indipendente” nel nostro Paese, potrebbe aumentare l’efficienza del mercato del risparmio gestito? 

«In linea di principio sì, tale figura è nata proprio per questo scopo. Il punto è capire perché in Italia non si sono diffusi così ampiamente. Bisogna considerare che questo richiede tanti oneri operativi. Cioè bisogna segmentare le strutture, bisogna segmentare il modello di servizio, bisogna adattare il pricing, quindi non è banale. Poi, il consulente finanziario indipendente è un modello che appartiene più a un mercato come quello anglosassone, dove ci sono le piattaforme, ci sono delle realtà bancarie/assicurative integrate verticalmente». 

Più nel dettaglio? 

«Il nostro mercato sta andando verso l’utilizzo di sistemi elettronici tipo Aladin di Black Rock, che permettono una gestione centralizzata o semi-centralizzata dei portafogli. Lasciando all’ente solo il compito di decidere quale portafoglio proporre al cliente. Intendo dire che sulla figura del consulente finanziario indipendente non vedo neanche il mercato nazionale andare in questa direzione».

Che prospettive ci sono, all’interno del mercato del risparmio gestito europeo, per il 2022? 

«Siamo usciti dalla pandemia 2019-2020 dove l’acme dell’adeguamento normativo è stato raggiunto. Poi si è ripartiti, nonostante le aziende hanno sofferto la crisi, quasi tutte sono tornate ai livelli pre-pandemia. Però, ci sono operatori di piccola-media taglia che fanno fatica ad affermarsi sul mercato. Quindi, vedo dei processi di aggregazione maggiori rispetto al passato. La regolamentazione ormai sta aprendo il mercato, imponendo costi d’innovazione tecnologica molto elevati. Di conseguenza, si vede un’attività di M&A più sostenuta rispetto agli anni passati». 

E per quanto riguarda il nostro Paese? 

«Guardando all’Italia, un tema fondamentale del 2022 è quello di intercettare correttamente la domanda dei clienti, di non farli pagare troppo e fargli avere performance adeguate al tempo. I processi di domanda sono cambiati. Le aspettative dei clienti sono aumentate. Si aspettano un servizio migliore, pretendono di essere capiti. Quindi, i distributori devono essere in grado di soddisfare queste esigenze».      ©

Marco Castrataro

LinkedIn @MarcoCastrataro

Twitter @CastrataroMarco

Foto: G. A. Incarnato