mercoledì, 1 Maggio 2024

Erbe officinali: mercato globale da 230 mld entro il 2027

erbe officinali

Le erbe officinali e aromatiche piacciono all’Italia. Il valore della produzione del comparto è stimato intorno a 235 milioni di euro, riferito alla sola materia prima di trasformazione. Se si aggiunge l’export di derivati a valore aggiunto si può arrivare a 1 miliardo di euro.

Nonostante, però, il mercato florido e in continua crescita, il forte incremento della domanda a fronte dell’impennata dei costi di produzione e dell’incertezza del clima, appare una grande sfida. «I nostri dati si fermano alle piante officinali (comprese le aromatiche) e secondo dati FIPPO, la Federazione  Italiana dei produttori, a fronte di 7300 ettari coltivati e 500 aziende coinvolte, sono prodotte in Italia annualmente circa 4000 tonnellate di piante officinali», spiega Renato Iguera, presidente di Assoerbe. 

«Valori comunque molto più bassi delle 28 mila tonnellate impiegate dalle aziende italiane e  delle 20 mila tonnellate potenziali che potrebbero essere prodotte nel Bel Paese».

Quali sono le erbe più richieste dai consumatori sul mercato e nelle varie industrie?

«Le piante officinali più richieste in questi ultimi due anni sono quelle legate al sonno e all’ansietà e credo che sia abbastanza chiaro il perché. Valeriana, Passiflora, Melissa, Iperico, Camomilla hanno registrato un aumento elevato della domanda». 

Come ha influito la pandemia e le relative restrizioni sul mercato del vostro settore?

«Il nostro settore ha superato molto bene il difficile periodo pandemico. Globalmente non abbiamo registrato mediamente un calo dei fatturati, anzi la domanda, soprattutto legata  a certi prodotti, è aumentata. La  pandemia, infatti,  ha incrementato nei consumatori  la ricerca del benessere tramite l’uso di prodotti naturali. Fortunatamente le restrizioni per le aziende implicate nel commercio e produzione nel nostro settore non sono state così importanti e hanno permesso una certa continuità. Dalle erboristerie alle fabbriche le chiusure sono state minime anche se ci sono stati disagi legati soprattutto al movimento delle persone. Il maggiore impatto negativo della pandemia lo stiamo subendo da una anno a questa parte nell’ambito della movimentazione delle merci, sia  dal punto vista economico, prezzi in certi casi quadruplicati, e sia logistico, con la cronica mancanza di mezzi e con consegne notevolmente ritardate».

Come sta incidendo e quali conseguenze avrà la guerra tra Russia ed Ucraina?

«L’impatto della guerra, subito dopo la pandemia, non ci voleva. L’effetto varia a seconda delle piante officinali e dei mercati di sbocco di determinati prodotti. Alcuni prodotti, tipicamente di origine russa, mi viene in mente la Rhodiola, come pure l’Uva ursina, potrebbero, se l’importazione venisse bandita, segnare delle difficoltà nel reperimento. Al momento, però, a essere maggiormente penalizzato è l’approvvigionamento di materie prime vegetali dall’Ucraina. Questo grande Paese da anni si propone come importante partner produttivo di piante officinali: Mirtillo nero, Cardo mariano, Valeriana, Ippocastano semi, Echinacea, solo per fare alcuni esempi. Di fatto con questa crisi molte aziende per l’acquisto si dovranno rivolgere ad altri Paesi e questo avrà una conseguenza sui prezzi e sulla disponibilità di prodotto».

In che percentuali le erbe officinali vengono destinate al mercato dei prodotti medicinali, alimentari e cosmetici? 

«È molto difficile fornire una percentuale corretta, innanzitutto perché la destinazione d’uso in molti casi  la conosce solo il venditore del prodotto finito al consumo, inoltre i codici di importazione non distinguono come dovrebbero tutte le materie prime vegetali in modo univoco e quindi è difficile anche risalire al possibile mercato di destinazione delle stesse. Riteniamo sulla base delle cifre dei membri di Assoerbe che il 45% sia destinato all’uso farmaceutico, il 40% per l’alimentare e 15% al cosmetico».

Quale di questi oggi è più svantaggiato e quale invece in crescita?

«Non consideriamo quanto ha provocato la pandemia nei vari settori, visto che sappiamo per esempio che il cosmetico è stato più penalizzato, ma guardiamo oltre. Possiamo affermare che tutti i tre settori considerati sono in crescita sebbene quello alimentare degli integratori è senz’altro il più dinamico».

Quali sono i punti di forza e quali quelli di debolezza del vostro comparto?

«Punto di forza il crescente interesse da parte del consumatore per i prodotti naturali e una maggiore conoscenza  della coltura delle piante officinali e del loro impiego. I punti di debolezza invece sono alcune normative limitanti  emanate a livello Europeo (Novel food, Claims), la mancanza di  leggi che impediscano la commercializzazione di prodotti provenienti per lo più dall’estero di qualità bassa o persino adulterati e la concorrenza dei Paesi con bassi costi di produzione».

Che ruolo gioca la sostenibilità nel vostro settore?

«La sostenibilità gioca un ruolo essenziale, soprattutto per certi mercati come quello cosmetico dove è determinante per la commercializzazione del prodotto. Essendo poi la materia prima la pianta, coltivata o selvatica che sia, possiamo capire quanto sia importante garantire la sostenibilità, soprattutto quando le piante sono prodotte attraverso coltivazioni intensive o raccolte come piante spontanee. La sostenibilità nel nostro caso non è solo quella ecologica (impatto delle coltivazioni, impatto della raccolta di piante spontanee, CITES o la Convenzione sul commercio internazionale delle specie minacciate di estinzione), ma include anche gli aspetti etici e sociali come il “Benefit Sharing”, termine generale utilizzato per definire la condivisione equa e giusta dei benefici monetari e non monetari derivanti dall’uso delle risorse».

Import export in Italia, quali piante e prodotti derivati sono maggiormente coinvolti?

«Oggi l’importazione  di materie prime vegetali e derivati riguarda principalmente Mirtillo, Valeriana, Passiflora, Melissa, Ippocastano, Tasso, Serenoa, Cardo mariano, Curcuma, Berberis, Sophora, Liquirizia». 

È vero che i costi di trasformazione sono più elevati in Europa rispetto a quelli sostenuti dalle aziende concorrenti asiatiche (India, Cina, Indonesia)?

«Certamente, i costi in Europa del prodotto trasformato (estratti o principi attivi puri) è nettamente più elevato rispetto a quelli asiatici».

Che previsioni si sente di fare per il futuro del vostro settore?

«Tutti gli indicatori e l’evoluzione del mercato dei prodotti naturali di questi ultimi 20 anni ci fanno ben sperare. Anche se l’aumento dei costi energetici (ricordo che l’incidenza del solo essiccamento e circa il 30% del costo della materia prima vegetale) e dei trasporti preoccupa molto. Un bilancio lo potremmo tirare solo al termine del 2022 ma ci aspettiamo un aumento generalizzato dei prezzi delle materie prime e della trasformazione. Questi aumenti in parte ricadranno sul prezzo al consumatore con conseguenze negative sui consumi. Non sottovalutiamo neppure i nuovi limiti imposti per certe sostanze indesiderate come gli Alcaloidi Pirrolizidinici, metaboliti naturali prodotti da piante come il Senecio o la Borragine che possono “contaminare” i raccolti e limitarne la commercializzazione».        ©

Matteo Martinasso