sabato, 7 Dicembre 2024
Sommario

L’Italia si distingue come leader nel settore dell’energia Green, con Enel come punto di riferimento nazionale. Tuttavia, nonostante il progresso nel campo delle energie verdi, la situazione lavorativa nel Paese rimane critica e il mercato presenta diverse sfide. Ciò è primariamente dovuto a fattori come la burocrazia, la mancanza di incentivi adeguati e la necessità di una maggiore integrazione tra i vari settori economici nazionali. Siamo l’unico Paese OCSE in cui i salari sono diminuiti negli ultimi trent’anni, -3%.

Questo segno negativo relega la nostra nazione al ruolo di “maglia nera” in controtendenza rispetto ai principali Stati del Vecchio Continente, tra cui Germania (+33,7%) e Francia (+31,1%). «Le origini di questa situazione possono essere ricercate in molteplici direzioni. In primis, si potrebbe menzionare la contenuta crescita della produttività del lavoro, che rappresenta ormai un aspetto strutturale della nostra economia»; dichiara Francesco Profumo, Presidente della Fondazione Compagnia di San Paolo.

«A tal riguardo, considerando che la produttività è comunque cresciuta più dei salari, sembra che non abbiano funzionato i meccanismi di aggancio dei livelli salariali alla performance del lavoro. A complicare il quadro vi è stato un mix di forme di lavoro instabili, sotto-occupazione e part-time involontario, che per propria natura paiono incompatibili con un aumento sano dei livelli di retribuzione. Inoltre, il sistema italiano di wage setting è fortemente centralizzato e sono relativamente poche le aziende che hanno introdotto la contrattazione di secondo livello, complice il panorama dimensionale delle imprese nazionali. La “fuga dei cervelli”, alimentata dalla scarsa capacità del “sistema Italia” di offrire prospettive di crescita professionale alle nuove generazioni e ai giovani meglio istruiti, ci costa annualmente l’1% del PIL».

IL MERCATO DEL LAVORO IN ITALIA

In Italia il tasso di crescita della popolazione è –0,56%, a differenza degli altri Paesi europei. Il mercato del lavoro e la mancanza di posizioni per personale qualificato sono fattori che contribuiscono alla situazione?

«La struttura per età della popolazione evidenzia, già oggi, un elevato squilibrio a favore delle generazioni più anziane e non ci sono al momento fattori che possano far pensare a inversioni di rotta. Secondo l’ISTAT, il rapporto tra individui in età lavorativa e non, passerà da circa tre a due nel 2021, a circa uno a uno nel 2050, in un quadro di “inverno demografico” in cui i flussi migratori non potranno controbilanciare il segno negativo della dinamica naturale».

«Le ragioni che conducono a questo declino della natalità sono molteplici. Per quanto riguarda il mercato del lavoro, l’Italia presenta una disoccupazione relativamente alta (8,1% a fine 2022 contro una media EU di 6,1%), soprattutto tra i giovani (22,2% a fine 2022 contro una media EU di 14,5%): la penuria di opportunità di lavoro per i ragazzi è il fattore principale che influenza le scelte di genitorialità».

In che modo la transizione ecologica avrà un impatto su educazione e occupazione?

«Nel mondo del lavoro la transizione Green presenta un grande potenziale trasformativo rispetto alla sfera occupazionale. Secondo l’ultimo foresight report pubblicato dalla Commissione Europea, saranno 884.000 i posti di lavoro generati in Europa entro il 2030 dall’implementazione della transizione ambientale».

«La “sfida del 55%” può quindi divenire una fucina di posti di lavoro in mestieri che in larga parte devono ancora essere inventati e in settori a elevata intensità di conoscenza, i quali rappresentano l’ideale sbocco per i neolaureati che escono dai nostri Atenei. Con riferimento al mondo dell’istruzione, reputo che esso debba agire da “palestra” per educare non solo sui limiti del nostro pianeta ma anche sulle opportunità rese disponibili dalla “svolta Green”».

«In un’ottica di trasposizione settoriale, una buona pratica a mio parere molto rilevante è il Fondo Repubblica Digitale, iniziativa strategica promossa dall’ex Ministero per l’Innovazione Tecnologica e la Transizione Digitale con l’obiettivo di attenuare il divario digitale e promuovere l’educazione sulle tecnologie del futuro. Facendo tesoro delle lezioni apprese dal Fondo Repubblica Digitale e passando da digitale ad ambientale».

STARTUP GREEN

Le startup Green potrebbero contribuire allo sviluppo del Vecchio Continente?

«Le startup Green stanno già contribuendo significativamente a promuovere la sostenibilità ambientale su larga scala nel continente. Se ci concentriamo esclusivamente sulle startup Climate Tech, troviamo in Europa un ecosistema assai vivace. Dall’accordo di Parigi ad oggi, infatti, gli investimenti annui effettuati in startup ClimateTech europee hanno avuto una crescita pari a 10x, che ha portato alla creazione di ben 16 unicorni nella sola Europa. Nel 2022, ogni 4 euro investiti in startup europee di tipo Industrial Tech, uno di essi è andato ad aziende che sono in prima linea nella decarbonizzazione del comparto manifatturiero».

«Questi numeri corroborano l’emersione di un paradigma “Industria 5.0”, che intende promuovere una visione ampia ed ambiziosa. Rispetto a cosa manchi per materializzare appieno il potenziale delle startup Green, vedo due principali elementi di attenzione. In primis, è auspicabile una progressiva espansione del ventaglio di fondi Venture Capital dedicati al mondo Green capaci di offrire alle startup investite “smart money”; ossia capitali “specializzati” che portino con sé un mix di competenze settoriali e di connessioni industriali. In seconda battuta, molto deve ancora essere fatto in termini di misurazione degli impatti».

Quali saranno le sfide più significative?

«Per affrontare in maniera incisiva le grandi sfide di policy, è auspicabile il ricorso a quattro transizioni, che sono tra loro inscindibili: credo infatti che la transizione digitale e la transizione verde debbano essere accompagnate da una transizione sociale e da una transizione culturale».

«Per fare in modo che nessuno venga lasciato indietro a livello sociale dalla transizione ambientale, la Commissione Europea ha istituito il Just Transition Mechanism, poderoso “pacchetto” sorretto da un budget di € 55 miliardi nel quadro finanziario pluriennale (QFP) 2021-2027, il quale protegge i soggetti più vulnerabili che sono toccati in chiave negativa dalle politiche collegate al conseguimento degli obiettivi climatici».

«A completare il quadro vi è la transizione culturale, che ha come propria missione l’educare al cambiamento. In questa fase storica, il mondo sta attraversando un’ondata di cambiamento dirompente, che non ha precedenti e che non è destinato ad arrestarsi. In questo tempo di grande discontinuità, ritengo che divenga cruciale trasferire agli studenti la capacità di imparare ad imparare perché in futuro ogni individuo dovrà continuare a formarsi, tornando a scuola anche più volte nel corso della propria vita per acquisire nuove competenze».

Come lavorano Italia ed Europa per sviluppare le tecnologie necessarie alla Green transition?

«È bene premettere che, su questo punto, la Commissione Europea si è già espressa e lo ha fatto in fase di definizione dell’architettura sottesa al dispositivo RRF; in tale occasione, 7 “flagship areas” sono state designate. Guardando alle tecnologie abilitanti, a mio parere, ad essere cruciali sono soprattutto quelle che si posizionano all’intersezione tra le due transizioni, le quali sono in grado di velocizzare il cammino verso EU Green Deal facendo leva sul dato come abilitatore del cambiamento. Se ci concentriamo però sulla frontiera dell’innovazione, notiamo come tante tecnologie estremamente promettenti siano ancora in uno stadio prototipale».

«Considerando la ricerca di base e la ricerca applicata su cui si focalizzano gli Atenei, dal 2017 ad oggi sono stati finanziati in ambito Green 130 progetti per un importo erogato di oltre 400 milioni. Passando invece allo stadio successivo, che vede protagoniste le startup e le PMI innovative, dal 2017 a oggi sono stati finanziati in ambito Green 465 progetti per un importo a fondo perduto pari a € 1 miliardo».

«Per di più, avvalendosi della blended finance che permette di affiancare grant e investimenti in capitale di rischio, la Commissione Europea, attraverso il veicolo EIC Fund, investe ogni anno sul versante equity tra  100 e 150 milioni in startup Green. Queste risorse, ancorché essenziali, non saranno sufficienti: secondo la Commissione Europea, effettuando una comparazione con il decennio precedente, tra il 2021 ed il 2030 il fabbisogno supplementare di investimenti pubblici e privati legati alla duplice transizione è di circa 650 miliardi annui».

CITTÀ DEL FUTURO

Quali sono i principali ostacoli che le città del futuro dovranno affrontare per diventare sostenibili?

«Le città, sebbene ricoprano solo il 3% della superficie del pianeta, generano il 75% dei gas serra ed il 78% del consumo energetico. Nelle città si addensa quindi una massa critica di attività umana che le fa assurgere a ideale “campo di battaglia” per affrontare le sfide globali in chiave locale. Credo che la priorità principale per le nostre città sia di divenire “laboratorio” per anticipare determinate traiettorie innovative con l’intento di materializzarne rapidamente gli impatti e per poter così generare esternalità positive sul resto del pianeta. In quest’ottica, l’azione di policy della Commissione Europea è stata lungimirante».

«Nella cornice delle Mission definite dal programma quadro Horizon Europe, sono state selezionate in tutta Europa 100 città, di cui 9 in Italia, che divengono hub di sperimentazione e innovazione in ambito climatico con l’intento di accelerare la transizione ecologica, raggiungendo idealmente la neutralità climatica già nel 2030, con un ventennio di anticipo rispetto agli obiettivi di EU Green Deal. Per le città “follower” si configura la possibilità di creare virtuose connessioni con le città “champion” al fine di accedere a buone pratiche validate e replicabili».

Come le aziende e le pubbliche istituzioni possono contribuire alla creazione di città del futuro Green?

«Il celebre modello di sviluppo “a quadrupla elica” ci ricorda quanto gli attori dell’innovazione siano tra loro interdipendenti. Venendo al loro contributo in termini di sostenibilità, per quanto concerne le aziende, è oggi possibile dare centralità alla dimensione ESG non andando a detrimento delle proprie prestazioni finanziarie ma, anzi, potenziandole: abbiamo autorevoli evidenze empiriche che ci mostrano come le aziende orientate alla sostenibilità tendono ad avere performance migliori poiché sono meglio preparate nel fronteggiare gli shock connessi a potenziali crisi».

«In merito alle pubbliche amministrazioni, penso che debbano prevedere una regolamentazione che sia non solo Green ma anche innovation-friendly. Inoltre, le pubbliche amministrazioni possono far leva sul loro status di “grande acquirente” (in Europa il giro d’affari del procurement pubblico è pari a oltre il 13% del PIL continentale) per trasformare le scelte di approvvigionamento in vere e proprie azioni di policy. Infatti, gli approvvigionamenti pubblici a livello mondiale generano un ammontare di emissioni climalteranti pari a 7 volte quelle provenienti dai trasporti aerei».

Come vede il nostro Paese e il resto d’Europa nei prossimi 5-10 anni, alla luce di questi importanti cambiamenti in corso?

«Ad oggi, l’Italia e l’Europa sono alle prese con quattro macro-sfide che stanno mettendo a dura prova tutte le economie del continente: stagflazione, frammentazione finanziaria, risposta all’Inflation Reduction Act, reperimento di risorse aggiuntive per sospingere la doppia transizione. In un orizzonte temporale di 5-10 anni, vedo un’evoluzione positiva lungo tre principali assi».

«Prima di tutto, gli investimenti destinati alla “sfida del 55%”; ad esempio mediante il pacchetto climatico Fit for 55, avranno dato luogo ai primi risultati tangibili che saranno un prezioso passo di avvicinamento agli obiettivi di EU Green Deal».

«In secondo luogo, il completamento del primo ciclo di European Innovation Council, che avrà messo a terra nel QFP 2021-2027 oltre 10 miliardi destinati a innovazioni Deep Tech dirompenti aventi grande potenzialità di scalare in uno scenario di mercato internazionale; avrà rafforzato la competitività della filiera dell’innovazione europea, contribuendo così a colmare il gap che perdura tra il nostro ecosistema e quello statunitense».

«Infine, l’introduzione dello strumento dei Beni Pubblici Europei avrà permesso di unire più Stati Membri nell’affrontare le sfide che oggi attanagliano il nostro continente in settori chiave, tra cui energia, infrastrutture per la mobilità, connettività e microprocessori: questo approccio sarà strumentale ad adattare il modello di produzione europeo, che per il momento non è stato in grado di reggere allo shock bellico, il tutto dando all’Unione Europea un diretto governo delle risorse e permettendo un livello di progettazione più alto rispetto a quello nazionale. Ritengo che la convergenza tra questa tre direttrici sia indispensabile per costruire un’Europa veramente “a prova di futuro”». ©

Articolo tratto dal numero del 1 maggio 2023. Abbonati!