martedì, 12 Novembre 2024
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Le risorse del PNRR restano un treno da prendere al volo, ed è importante conoscere e sfruttare il potenziale di strumenti e incentivi come il Piano Transizione 4.0, che a breve potrebbe diventare 5.0. Nel frattempo, gli USA mettono la freccia con l’Inflation Reduction Act, uno strumento che rischia di ridurre la competitività delle imprese dell’Unione Europea in diversi settori. «Per le piccole e medie imprese si potrebbe pensare di potenziare e rifinanziare strumenti già esistenti che hanno dimostrato di funzionare bene, come il Piano Transizione 4.0, trasformandolo in un’ottica 5.0 e, quindi, integrando l’innovazione con beni e formazione ma tenendo conto della sostenibilità ambientale», dice Ranieri Villa, Partner e Government Incentives Leader di Deloitte.

«Si parla di un Piano Industria 5.0 allo studio del Ministero delle Imprese e del Made in Italy. A oggi, di fatto, in Italia non ci sono dei veri e propri strumenti incentivanti per investimenti incentrati sulla sostenibilità, o per lo meno nulla di paragonabile ai crediti d’imposta previsti dall’IRA negli Stati Uniti. Si tratta di un programma di trasformazione dell’economia e di creazione di green supply chain, costruito intorno ai crediti d’imposta.

Ha un orizzonte temporale di medio lungo termine e il potenziale per attrarre effettivamente grandi investimenti in tecnologie verdi, attraverso crediti d’imposta per la clean energy, per i clean vehicles, per il clean fuel, per il green Hydrogen e per l’efficenza energetica, ponendo l’UE di fronte ad una grande sfida. Anche la Cina ha lanciato la sua ambiziosa strategia industriale Made in China 2025, con il progetto di diventare una superpotenza industriale. Così come il Giappone, che ha pianificato incentivi per i prossimi 15 anni in 9 diverse aree tecnologiche e strategiche».

Ranieri Villa

Il Green Deal Industrial Plan dell’UE può competere?

«L’Unione Europea è maggiormente focalizzata sul concedere incentivi per ridurre i prezzi dei combustibili fossili e per incoraggiare l’innovazione e la Ricerca e Sviluppo, ma non dispone di strumenti per rispondere all’approccio aggressivo degli USA e delle altre super potenze extra UE che incentivano investimenti produttivi. L’IRA, sicuramente, può considerarsi come una wake-up call per l’UE che, in risposta al nuovo programma americano, ha presentato il 1° febbraio 2023 il Green Deal Industrial Plan (GDIP). Il Piano mira a sviluppare catene del valore verdi per rafforzare la base industriale da cui dipende la prosperità europea. Tra gli obiettivi principali del programma vi sono infatti quelli di aumentare lo sviluppo tecnologico, la produzione e installazione di prodotti a zero emissioni e quelli volti a ridurre la dipendenza da catene di approvvigionamento critiche, soprattutto quelle energetiche».

Quali sono i punti di debolezza del piano? Gli incentivi sono sufficienti?

«Nonostante i suoi apprezzabili obiettivi, però, la complessità del Green Deal Industrial Plan non è sufficiente per competere con la generosità e la semplicità dell’IRA, rendendo difficile la comprensione delle sue misure per le imprese. Per questo, questo strumento dovrà essere accompagnato da altre misure, come il regolamento UE sulle sovvenzioni estere. Si dovrà lavorare anche ad una sua semplificazione, se non si vuole correre il rischio che le aziende operanti in Europa perdano competitività rispetto a quelle dei Paesi extra UE. L’Unione dovrebbe adottare un approccio più pragmatico nella semplificazione e razionalizzazione degli strumenti incentivanti esistenti, cercando di finanziare più misure a livello comunitario al fine di aumentare la coerenza e trasparenza della sua politica industriale».

Quali tipologie di incentivi hanno dato gli effetti migliori in un’ottica di competitività, a livello internazionale e nazionale?

«Gli strumenti maggiormente utilizzati e più efficaci sono gli incentivi automatici. In particolare, tra questi, a livello nazionale abbiamo il Piano Transizione 4.0, rifinanziato con i fondi del PNRR, che ha reso l’Italia un paese molto interessante per gli investimenti esteri. Il Piano Transizione 4.0 è stato anche molto utilizzato dalle imprese nazionali, considerato che il panorama italiano è caratterizzato prevalentemente da aziende di piccola e media dimensione, che di certo preferiscono modalità automatiche, semplici e stabili nel tempo.

Purtroppo, dal 2023 il Piano ha subito un depotenziamento importante di tutti e tre i pilastri su cui si basa, con un dimezzamento delle aliquote relative al credito R&S e al credito per investimenti in beni strumentali nuovi 4.0. Invece, il Patent Box, da esenzione del 50% del reddito derivante da proprietà intellettuale è stato trasformato, di fatto, in una super deduzione del 110% dei costi di sviluppo dei beni immateriali, stravolgendo la sua natura e quindi riportando l’Italia tra quei pochi grandi paesi europei che di fatto non hanno un Patent Box».

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Quali sono le conseguenze?

«Questo stravolgimento del Patent Box rischia di far perdere competitività al nostro Paese e di incentivare lo spostamento all’estero dei beni immateriali. Si sarebbe potuto semplificare introducendo un sistema di calcolo dell’agevolazione meno complesso, come quello adottato in UK. Infine, il Credito Formazione 4.0 a partire dal 2023 non è stato prorogato. Si potrebbe potenziare e rifinanziare il Piano Transizione 4.0, eventualmente rivedendolo in un’ottica integrata con la formazione. Allo stesso tempo, si potrebbero introdurre indicatori di sostenibilità ambientale, efficienza energetica e decarbonizzazione, ampliando anche il perimetro degli investimenti agevolabili, soprattutto sul fronte software».

Quali novità introduce il regolamento Ue sulle sovvenzioni estere?

«Il regolamento UE sulle sovvenzioni estere cambierà la vita dei grandi gruppi multinazionali extra-europei, ma anche di quelli UE. Infatti, l’applicazione di questa normativa, con gli effetti che ne derivano, non è una fattispecie così remota. È stata introdotta per contrastare le distorsioni sul mercato unico causate delle sovvenzioni estere. Le aziende sovvenzionate dalle autorità extra-UE possono oggettivamente ottenere un vantaggio competitivo sleale rispetto alle loro concorrenti europee e avvantaggiarsene nelle procedure di appalto pubblico o nelle acquisizioni di imprese. Si potrebbero venire a creare situazioni di concorrenza sleale nei confronti delle aziende dell’Unione operanti esclusivamente nel mercato interno, che, invece, non hanno accesso a sovvenzioni comparabili, dovendo essere compliant alla normativa UE sugli aiuti di Stato.

Per tale ragione, la Commissione ha introdotto questo regolamento, che le conferisce il potere di indagare sugli aiuti concessi dalle autorità pubbliche di un Paese terzo a favore di imprese operanti nell’Eurozona e di rimediare ai loro effetti distorsivi. In particolare, sono previste delle soglie al di sopra delle quali le società che intendono effettuare acquisizioni o partecipare a gare d’appalto pubbliche sono obbligate a notificare alla Commissione le sovvenzioni ricevute dall’estero. Questa potrà poi effettuare un bilanciamento tramite misure compensative, nel caso in cui si verifichino distorsioni. I gruppi multinazionali europei ed extra-UE dovranno disporre di un sistema di track & tracing per monitorare a livello globale gli aiuti ottenuti».

statistica

Quanto costerà alle multinazionali dotarsi di questo sistema?

«Il processo che deve essere messo in atto è complesso e avrà un costo: è necessario identificare i contributi, gli incentivi e le sovvenzioni ottenute da un gruppo multinazionale in tutti i paesi extra-UE che conferiscano un beneficio tale da permettere il miglioramento della posizione competitiva di un’impresa in ambito europeo. La procedura che sarà implementata, per nostra esperienza su processi simili, dovrà per forza di cose basarsi sull’utilizzo di una piattaforma tecnologica sicura.

Anche di questo tema discuteremo con i nostri i clienti Multinazionali alla Deloitte Global Conference sugli Incentivi Governativi che si terrà, in presenza, nella seconda metà di giugno a Chicago. Questo perché bisogna fare in fretta, dato che gli obblighi di notifica introdotti dalla nuova disciplina scatteranno a partire dal 12 ottobre 2023. Il regolamento si applica alle sovvenzioni estere concesse nei cinque anni precedenti al 12 luglio 2023 e riguarda tutte le società attive nell’UE, comprese le entità dell’UE, private e pubbliche, operanti in tutti i settori. Quelle maggiormente interessate sono le industrie di base come acciaio, alluminio, materie prime, infrastrutture, edilizia, trasporti, tecnologia (produttori di semiconduttori), energia e difesa».

È uno strumento efficace a contrastare e prevenire le distorsioni derivanti da sovvenzioni estere?

«Molti Paesi extra-UE strutturalmente offrono consistenti incentivi per stimolare ed attrarre investimenti e per giunta. A seguito della crisi causata dalla pandemia da Covid-19 e del conflitto tra Russia e Ucraina, sono state introdotte ulteriori rilevanti misure incentivanti per stimolare la ripresa e far ripartire la crescita. Il Green Deal Industrial Plan, ripeto, nonostante i suoi apprezzabili obiettivi, vista la sua complessità non è strutturato per competere con la generosità e la semplicità dell’IRA, rendendo difficile la sua implementazione. Il regolamento UE sulle sovvenzioni estere è quindi sicuramente utile per evitare distorsioni soprattutto finché l’UE non si sia dotata di un piano incentivante realmente competitivo».

Siamo in ritardo nei progetti che riguardano le stazioni di rifornimento di idrogeno, l’acquisto di treni Intercity per il Sud, la realizzazione di 2.500 colonnine elettriche per auto sulla rete autostradale e 4 mila nelle zone urbane, l’aggiudicazione di tutte le gare di appalto per offrire almeno 264.480 nuovi posti negli asili nido e nelle scuole per l’infanzia, gli investimenti in 9 studi cinematografici a Cinecittà

«Le difficoltà per l’attuazione del Piano sono riconducibili in parte agli effetti del conflitto in Ucraina, che ha causato l’aumento dei costi delle materie prime e dell’energia e le difficoltà di approvvigionamento di materie prime e beni intermedi. Questo ha prodotto una serie di effetti negativi sull’economia, così come sui contratti pubblici, con inevitabili impatti sui prezzari utilizzati dalle stazioni appaltanti per definire gli importi da porre a base d’asta nelle gare. Altro tema è il ritardo sui tempi delle Amministrazioni Pubbliche: sono molte le misure in attesa di decreto attuativo, come quelle sopra citate, così come i bandi in attesa di istruttoria e aggiudicazione».

auto elettriche

Mismatch di competenze, carenza di lavoratori e frammentazione degli enti sono tutti problemi di cui si parla ormai da tempo. Quali misure si potrebbero adottare per risolverli?

«L’attuazione del Piano ha risentito, tra l’altro, degli squilibri registrati sul mercato del lavoro e dell’elevata frammentazione dei soggetti attuatori degli interventi. Tra le principali criticità riscontrate nell’attuazione non vi è solo l’aumento dei costi dell’energia e delle materie prime, ma anche le debolezze strutturali del sistema economico, le complessità normative, amministrative e burocratiche. Una delle maggiori sfide del PNRR, infatti, consiste nella necessità di realizzare molteplici interventi, in particolare investimenti produttivi, in un orizzonte temporale breve che è incompatibile sia con il rispetto delle complesse normative e degli adempimenti burocratici previsti dal PNRR, sia con le tempistiche dei grandi investimenti industriali. Inoltre, le misure del PNRR sono frazionate tra moltissimi soggetti attuatori, estremamente variegati per dimensione, capacità esecutiva e solidità finanziaria».

Qual è l’impatto di questa condizione?

«Contribuisce alla dispersione delle risorse e la realizzazione degli investimenti programmati è condizionata dalle carenze interne dei soggetti attuatori, nonché dalla capacità delle Amministrazioni di governare i processi. Si pensi, ad esempio, all’incentivo dedicato alla “Rigenerazione di piccoli siti culturali”, il c.d. “Bando borghi storici” destinato al finanziamento progetti imprenditoriali presentati dalle micro, piccole e medie imprese nei borghi storici assegnatari di risorse PNRR. Nonostante tale incentivo abbia un obiettivo nobile, (rilancio economico dei borghi a rischio abbandono o abbandonati attraverso la concessione di contributi a fondo perduto ai richiedenti) il beneficio è concesso sulla base di procedura valutativa che richiede un supporto professionale di un certo livello, di cui spesso le PMI, che ora dovrebbero accedere ai fondi, non dispongono».

La difficoltà a spendere i fondi europei è una peculiarità italiana o interessa anche altri Paesi?

«Se parliamo del PNRR, come riportano gli ultimi dati circa lo stato di attuazione del Piano, Italia, Spagna e Grecia sono gli unici membri che ad oggi hanno presentato tre richieste di pagamento. Inoltre, l’Italia ha già incassato due rate oltre al prefinanziamento iniziale di 24,9 miliardi. C’è anche chi ha fatto meglio di noi, come la Spagna, che ha già incassato tre rate. Seguono, con due sole richieste, Portogallo, Croazia, Slovacchia e Romania. Dei restanti Paesi, undici hanno presentato una richiesta di pagamento e nove non hanno ancora inviato alcuna domanda. In questo caso siamo tra i primi della classe, ma se invece parliamo di fondi Europei diretti, la classifica è molto diversa».

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Ci sono difetti anche nella struttura del Piano?

«È sicuramente complesso, così come la burocrazia che richiede. Con il decreto legge n. 13 del 2023 sono state introdotte anche ulteriori semplificazioni di tipo procedimentale, ma non bastano. Nel panorama italiano le PMI, che rappresentano la stragrande maggioranza delle imprese, non riescono ad accedere facilmente a molte delle risorse del PNRR. I nuovi strumenti introdotti dal piano, infatti, richiedono iter complessi e competenze specifiche che queste imprese non hanno internamente. In ogni caso, rivoluzionarlo completamente potrebbe non rappresentare una scelta vincente oggi, considerando la sua scadenza al 30 giugno 2026. Ci vorrebbe, infatti, almeno un anno per rendere operativi strumenti nuovi e i tempi stretti che ne conseguirebbero rischierebbero di tenere ancora fuori proprio le PMI. ©

Articolo tratto dal numero del 1 luglio 2023 de il Bollettino. Abbonati!

Il mio motto è "Scribo ergo sum". Laureato in "Mediazione Linguistica e Interculturale" ed "Editoria e Scrittura" presso La Sapienza, mi sono specializzato in giornalismo d’inchiesta, culturale e scientifico. Per il Bollettino mi occupo di energia e innovazione, i miei cavalli di battaglia, ma scrivo anche di Mercati, spazio e crypto.