L’Europa si tinge di vede. La nuova CSRD (direttiva sul reporting di sostenibilità aziendale) richiede alle grandi aziende di pubblicare informazioni dettagliate sui profili ambientali, sociali e di governance. Le prime relazioni sono attese per il 2025. La nuova Direttiva CSRD estenderà l’obbligo di pubblicare la dichiarazione non finanziaria (DNF) a un numero molto più ampio di imprese. «In questo modo, molte piccole e medie imprese che erano precedentemente escluse da questo adempimento saranno ora obbligate a dimostrare anche il loro impegno ecologico», dice Vincenzo Dispinzeri, avvocato e Partner di Grimaldi Alliance.
Che conseguenze ha lo sviluppo dei fattori ESG sul rapporto tra mondo imprenditoriale e finanza?
«Gli impatti sono significativi, soprattutto se si considera che le imprese spesso ricorrono al mercato dei capitali per raccogliere fondi e gli investitori sono a loro volta attratti da aziende con un profilo Green elevato. Ciò potrebbe dar vita ad un ciclo “virtuoso” che tende ad escludere le aziende emittenti meno rispettose dell’ambiente. Ovviamente, in un sistema ancora bancocentrico come quello italiano, le imprese, oltre che al mercato dei capitali, si rivolgono alle banche per ottenere finanziamenti. Anche gli enti creditizi, a loro volta, sono soggetti – e lo saranno di più nel prossimo futuro – ad una serie di previsioni in materia ESG che potrebbero portare a preferire il finanziamento verso imprese più Green. La spinta verso le erogazioni verdi viene anche dagli obblighi di trasparenza imposti alle banche, che dal 2024 dovranno fare disclosure sulla percentuale di attivi ecologici nel loro portafoglio.
Chi ha un profilo meno verde rischia quindi di essere penalizzato quando accede al mercato dei capitali. Ma non solo; sempre con riferimento alle banche è in corso un dibattito sulla possibilità di introdurre requisiti patrimoniali di “Primo Pilastro” basati su Green/Brown factors (fattori ecologici), volti a favorire chi ha attivi sostenibili e a penalizzare i meno inclini alle erogazioni Green. Anche queste considerazioni potrebbero impattare direttamente sulle imprese che cercano finanziamenti, sul mercato o bancari, portando ad escludere sempre più dal sistema quelle meno rispettose dei profili ESG.
Occorre precisare che per le grandi aziende, dimostrare un profilo verde può essere relativamente semplice, poiché sono già obbligate a pubblicare una dichiarazione non finanziaria, mentre piccole e medie, che non sono soggette a questo obbligo, potrebbero incontrare difficoltà a dimostrare la loro sostenibilità e non essere in grado di far fronte ai costi necessari per produrre una dichiarazione non finanziaria su base volontaria».
Quali sono le conseguenze per le PMI?
«Al di là del fatto che, come detto, con la CSRD molte più imprese saranno chiamate a rendicontare i propri profili ESG, con tutte le conseguenze del caso, in realtà per le PMI i maggiori impatti potrebbero essere indiretti. Infatti, dal 2024, le banche saranno obbligate a pubblicare un indice chiamato “Green Asset Ratio” (GAR), che rappresenta il rapporto tra le attività Green e il totale delle attività. Questo indice serve a misurare l’impegno ecologico degli istituti di credito e a confrontarli tra di loro.
Volendo semplificare, il numeratore include le attività che sono allineate al regolamento comunitario detto “Tassonomia”, che definisce le attività ecosostenibili, mentre il denominatore rappresenta il totale delle attività della banca. Tuttavia, le esposizioni verso le PMI, non obbligate a pubblicare il bilancio di sostenibilità ai sensi della CSRD, sono escluse dal numeratore. In altre parole, se una banca finanziasse solo PMI “Green” ma non soggette all’obbligo di pubblicare il bilancio di sostenibilità, avrebbe un GAR pari a zero. Di conseguenza, gli istituti di credito potrebbero essere più incentivati a finanziare imprese sostenibili di maggiori dimensioni e le PMI potrebbero trovarsi ad affrontare extracosti nell’ottenere finanziamenti».
Prima invece citava i fattori Green e Brown. Cosa se ne farà?
«C’è un dibattito in corso circa la loro utilità: il Green factor dovrebbe ridurre i requisiti patrimoniali sulle attività ecosostenibili, mentre il Brown Factor andrebbe ad aumentare tali requisiti in presenza di attivi “sporchi”. Questi fattori potrebbero avere un impatto diretto sulla gestione del capitale delle banche. Tuttavia, l’approccio prevalente a livello di sistema e tra i regolatori sembrerebbe quello di trattare i rischi climatici senza add-on patrimoniali, ma attraverso l’utilizzo dell’attuale quadro normativo, ad esempio modulando i fattori di ponderazione dei rischi o adattando le regole sulla concentrazione».
Qual è l’impatto dei fattori ESG a livello di gestione bancaria e determinazione della strategia aziendale?
«Molto forte, grazie anche alla spinta dei legislatori (si pensi alle 13 aspettative della BCE sui rischi climatici e ambientali del 2020). Le principali normative di settore legate alla gestione bancaria sono già state integrate e modificate lato ESG. Ad esempio, sono state apportate modifiche al regolamento 575/2013 sui Requisiti Patrimoniali (c.d. “CRR”) con un’integrazione della parte sul terzo pilastro (la c.d. “informativa al pubblico”). Inoltre, le istruzioni di vigilanza della Banca d’Italia impongono ora agli istituti di credito di integrare i fattori ESG nelle loro strategie e nell’ambito del Risk Appetite Framework, cioè il processo che definisce la propensione al rischio.
Questi stessi criteri devono altresì essere parte integrante della politica di remunerazione delle banche, allineando così gli incentivi economici dei manager con gli obiettivi di sostenibilità. Ancora, gli istituti ne devono tener conto nell’erogazione del credito, come previsto dalle linee guida “Loan Origination and Monitoring” emanate dalla European Banking Authority. Questi rapidi esempi dimostrano come i fattori ESG siano ormai parte integrante della gestione del rischio delle banche. Infatti, entrano nel cosiddetto secondo pilastro di Basilea, in base al quale agli enti bancari più esposti ai rischi – anche climatici – potrebbero essere applicati requisiti patrimoniali ad hoc, ulteriori rispetto a quelli standard di primo pilastro».
Le imprese che chiedono un finanziamento bancario devono adeguarsi a rispettare determinati requisiti?
«Le aziende che richiedono finanziamenti hanno già convenienza ad allineare le proprie attività ai requisiti del regolamento Tassonomia. D’altra parte, le banche dovranno – e in parte già lo fanno – condurre un’analisi di due diligence per verificare che le informazioni fornite dall’impresa siano effettivamente ecosostenibili. Ovviamente, più l’azienda è pronta a dimostrare di essere “allineata”, più facile è l’istruttoria della banca. Su tutto ciò aleggia un tema assai sentito, che è quello della difficoltà nel reperire i dati sulla sostenibilità aziendale, cioè il cosiddetto sustainable data gap. Ad esso va associato il rischio del greenwashing. In quanto, una compagnia potrebbe essere tentata di presentarsi come più verde di quanto non sia in realtà».
Significa che un’impresa più grande e più strutturata beneficia di condizioni di finanziamento più favorevoli rispetto a una più piccola?
« A parità di condizioni di rischio, il discrimine non è dato dalle dimensioni, ma dalla capacità di fornire informazioni sull’ecosostenibilità dei propri attivi. Infatti, include anche la valutazione sui profili sociale e di governance».
Il Green Asset Ratio è presente anche nell’informativa al pubblico?
«Abbiamo discusso del primo pilastro, i requisiti patrimoniali, che non è stato modificato e del secondo pilastro, che è impattato dagli interventi regolamentari e dalle aspettative dei regulator. L’informativa al pubblico – vale a dire il terzo pilastro dell’Accordo di Basilea – ha un ruolo nodale. Le banche – in verità al momento solo quelle maggiori e quotate – sono già obbligate a fornire alcune informazioni “ESG”. Ma dal 2024 dovranno pubblicare anche il loro green asset ratio».
In che modo questo torna di vantaggio al cliente?
«Il costo del funding per una “banca Brown”, cioè una banca con un basso profilo green, potrebbe essere più alto rispetto a quello di una concorrente “Green”. Poiché le condizioni applicate ai clienti dipendono anche dallo spread applicato sul costo del finanziamento, la seconda potrebbe offrire ai clienti condizioni più favorevoli della prima, grazie al suo costo di finanziamento più basso».
Quali sono le prospettive dell’evoluzione normativa da qui ai prossimi 5 anni?
«Nel 2024, come dicevamo, entrerà in vigore la CSRD; aspettiamo poi l’emanazione della Corporate Sustainability Due-Diligence Directive (CSDD). La normativa imporrà alle imprese di grandi dimensioni di integrare nelle politiche aziendali i fattori ESG e di assicurarne l’aggiornamento periodico.
Guardando al futuro è probabile che vedremo un ulteriore rafforzamento di queste normative sulla sostenibilità ad esempio attraverso l’emanazione di legislazione di dettaglio, standard tecnici e orientamenti delle autorità di vigilanza». ©
Articolo tratto dal numero del 1 luglio 2023. Abbonati!