domenica, 28 Aprile 2024

Una leadership giovane può portare il PIL a salire di 1-2 punti %

Sommario

L’età media dei CEO di società quotate nel nostro Paese si attesta sui 60 anni. E la sempre maggiore durata degli incarichi va ulteriormente allontanando la cifra dai 55-58 anni che si registrano tra i vertici delle public companies di altri Paesi europei. Un importante gap è quello evidenziato dalla ricerca di Bain & Company Italia e Key2people. Questa situazione ha un costo per il Sistema Paese: il maggior contributo legato a una leadership più giovane, quindi più incline all’innovazione, internazionalizzazione e ai nuovi trend, potrebbe tradursi in un valore compreso tra i 20 e i 40 miliardi di euro (1-2% del PIL italiano). Le cause dell’attuale squilibrio generazionale al vertice possono essere individuate in una serie di fattori strutturali, ma anche in una mancata valorizzazione e creazione di percorsi alternativi e di advisory dei profili senior. Quale miglior modo se non partire dall’istruzione dei più giovani per instaurare un vero cambiamento dal basso? «Al momento facciamo App prescolari, quindi rivolte a bambini dai 3 ai 6 anni per chi vive le scuole dell’infanzia e la scuola primaria. Ma ce ne sono anche per le scuole medie e superiori, una fascia di età spesso trascurata», dice Cristina Angelillo, CEO e Co-founder di Marshmallow Games e Presidente di Innovup. «Il nostro obiettivo è dare valore al tempo che i bambini trascorrono sui dispositivi digitali e quindi in un certo senso quello che facciamo è anche aumentare la consapevolezza dell’importanza dell’apprendimento del digitale, un argomento un po’ ostico in particolare in Italia».

Qual è il background di Marshmallow Games?

«L’idea nasce ormai quasi dieci anni fa. Io sono un ingegnere delle telecomunicazioni; mentre ero incinta, ho iniziato a interrogarmi sul mio lavoro. Immobile a letto per tanti mesi, per evitare che mi venissero le contrazioni, ho vissuto un periodo molto complesso personalmente. Dall’altro lato però ero gasatissima, perché finalmente era come se avessi trovato la mia strada. Quello che facevo mi piaceva, però non era la mia passione. Ho deciso di mollare tutto e di dedicarmi a ciò che mi ha sempre fatto battere il cuore, cioè i bambini e l’insegnamento. La spinta a cambiare vita è nata quando ho visto la figlia di una mia amica, poi diventata socia, usare per la prima volta il tablet. Questa bambina aveva 18 mesi e per lei il fatto di poter utilizzare il touch screen era normalissimo. Da lì si è accesa la lampadina: perché non sfruttare il digitale per insegnare ai più piccoli qualcosa facendoli divertire? Devo dire che la paura c’era, non avrei mai pensato di diventare imprenditrice. Ma poi la vita ha deciso per me».

Quali sono stati i primi step del progetto?

«Credevo così tanto nell’idea che all’inizio ho fatto quasi tutto da sola. Il mio compagno al tempo aveva aperto da poco una Startup, è un po’ “colpa” sua l’avermi ispirato. Così ho iniziato a scrivere delle filastrocche e ho creato la parte grafica. Temendo, una volta partorito, di non riuscire a fare più nulla, ho concentrato tutte le mie energie nel periodo della gravidanza per far uscire il prima possibile l’app e per vedere il primo riscontro delle persone».

Un mix tra gioco e racconto…

«Esatto. Il bambino, dopo aver ascoltato una storia, deve rispondere a delle domande. Questo è insomma il core, che è rimasto ancora oggi. Una delle app principali si chiama Smart Tales ed è stata scelta da UNICEF proprio per promuovere i diritti dei bambini. All’interno di questi racconti inseriamo moltissime tematiche valoriali, come il rispetto per l’ambiente, l’inclusione, la tolleranza, la parità di genere, il fair play. Insomma, tocchiamo qualunque argomento. C’è spazio anche per le materie scientifiche, le cosiddette discipline STEM. Insegniamo ai bambini concetti fondamentali, ma inserendoli all’interno di questi racconti. Così è molto più facile imparare».

Come si compone il vostro team?

«Abbiamo bisogno di moltissime figure che si occupino di sviluppare questo tipo di soluzioni digitali interattive per l’apprendimento dei bambini. C’è chi si occupa della didattica, chi del game design ma anche sviluppatori grafici, animatori e anche il reparto marketing».

Avete ricevuto supporto dalle scuole?

«Sì, ci facciamo aiutare nella validazione delle app dagli insegnanti. Poi le sottoponiamo ai bambini, come test per verificare se funzionano e se sono adeguate come livello di difficoltà, ma anche se piacciono i nuovi personaggi. Siamo entrati da poco direttamente nelle scuole italiane ed estere attraverso strumenti digitali che possono aiutare i docenti ed essere risorse aggiuntive alla didattica tradizionale. Ultimamente, le scuole hanno avuto tantissimi fondi per la digitalizzazione delle aule, hanno comprato tantissimo hardware ma non sanno bene come usarlo. Qui siamo entrati noi in gioco e si è aperta la sfida».

E i genitori che ruolo hanno?

«In alcuni casi non riescono a comprendere l’importanza e le potenzialità di questi strumenti. Purtroppo, ignorano quello che c’è sul mercato e l’offerta formativa digitale. Su questo do loro ragione, perché non sempre è facile trovare delle risorse di qualità. Ma non bisogna fermarsi solo a YouTube, la piattaforma più facile e immediata. Sulla rete non c’è solo questo. Sta al genitore essere più consapevole di quello che il digitale può offrire e quindi anche fare ricerca di materiale didattico interessante. Il bambino non deve essere inibito dall’utilizzare queste tecnologie, ma deve essere educato a utilizzarle consapevolmente».

Come coniugare l’essere mamma e imprenditrice?

«In realtà non so cosa significa fare l’imprenditrice senza essere una mamma, perché io ho iniziato così. Ho iniziato già con una bambina, questa è la mia vita e mi sembra normale in questo modo. Sono un esempio: si può fare tutto, se lo si vuole. Guardandomi indietro ho fatto tantissimi viaggi, soprattutto con la seconda figlia, ad attività già avviata. È stata sempre con me , anche in un momento in cui la Startup aveva bisogno di fondi. Facevamo circa un viaggio a settimana, dal treno, alla macchina all’aereo, la portavamo dappertutto».

Com’è la situazione a livello di finanziamenti?

«È cambiata tantissimo nel tempo. Nel 2022 c’è stato il boom in Italia, abbiamo diciamo sforato il miliardo di euro investiti in Startup. Abbiamo iniziato nel 2014, peraltro nel Sud, a Bari. Non la migliore delle situazioni. Era tutto abbastanza complicato, abbiamo sempre avuto un modello B2C, che non piace moltissimo agli investitori nel nostro Paese, perché più complesso e rischioso. Ora è tutto un po’ più semplice, siamo cresciuti noi e anche l’ecosistema dell’innovazione. Chiaramente l’Italia non brilla in questo campo, purtroppo, in confronto ai nostri cugini europei».

Solo una Startup su dieci è fondata da donne: avete avvertito pregiudizi?

«Semplicemente io mi sono sentita donna, non menomata perché donna. Siamo degli esseri umani, il nostro sesso è solo una delle mille sfaccettature di noi stessi. Non mi sono mai preclusa la possibilità di fare cose, al contrario lo vedo come la mia forza. Ho sempre pensato che quando non venivo presa in considerazione era solo perché non ero stata particolarmente brillante. Se sei brava, perché non riconoscerlo?».

Avete mai pensato di trasferirvi al Nord?

«Siamo stati per un periodo a Milano. La cosa più interessante era la questione del networking: giravi l’angolo e incontravi gente che come te stava facendo Startup. Al Sud, invece, era quasi una lingua straniera. Dopo quei sei mesi, però, ci siamo guardati in faccia. Le opportunità erano tante, però ci siamo detti che almeno dovevamo provarci. Siamo tornati giù e siamo rimasti».

Questo è l’ultimo anno del suo triennio di presidenza per Innovup, come è andata?

«È stata una bella sfida, per tanti motivi. In parte perché il mondo dell’associazionismo non lo conoscevo quasi per niente, in parte perché si trattano anche tematiche complesse di lobby e policy. Si continua a lavorare tanto perché c’è ancora molto da fare. Anche qui, il mio essere donna e del Sud chiaramente è un vanto. Insomma, una bellissima esperienza, grazie a cui ho conosciuto tantissima gente e ho imparato tante cose che non conoscevo».

Cosa si attende per il futuro?

«L’obiettivo di Innovup è diventare una Startup Nation, una nazione dove l’innovazione e le Startup abbiano un ruolo centrale. Perché Startup significherebbe anche lavoro del futuro e competitività a livello internazionale. Quindi, fare in modo che tutti i bisogni dal basso vengano riportati in alto e ci sia supporto per tutta la filiera dell’innovazione. Un altro aspetto è creare un ecosistema di associazionismo più unito e coeso».

E per la vostra Startup?

«Stiamo lavorando molto all’estero, soprattutto negli Stati Uniti con la parte B2C. Stiamo riscontrando una crescita molto forte proprio su questo fronte: nel 2024 mi aspetto che continui questo trend. Per quanto riguarda le scuole, invece, abbiamo iniziato da poco meno di un anno, ma sarebbe bello arrivare sia in Italia sia all’estero, in Spagna, Francia e Regno Unito, per digitalizzare le aule».

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📸 Credits: Canva.com

Articolo tratto dal numero del 1 marzo 2024 de il Bollettino. Abbonati!

Studentessa di Scienze della Comunicazione con una grande passione: il giornalismo. Determinata, ambiziosa, curiosa e precisa. Per Il Bollettino mi occupo di lifestyle in tutte le sue forme cercando di fornire una nuova prospettiva alla realtà che ci circonda.