domenica, 28 Aprile 2024

Agricoltura 4.0: coltivare l’innovazione dà i suoi frutti

Sommario
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L’intelligenza artificiale corre in aiuto dei trattori. Nonostante un periodo nero, l’agricoltura si conferma tra i settori più innovativi. Fioriscono le realtà che si dedicano allo sviluppo di soluzioni tecnologiche che favoriscano la digitalizzazione e la sostenibilità, con tutti i benefici che questo comporta a livello economico. Una spinta favorita anche dagli investimenti Environmental, Social, and Governance (ESG). Uno dei tanti esempi è il minibond da 17,5 milioni di euro sottoscritto al 50% da Cassa Depositi e Prestiti per il finanziare la crescita di Sacco System, polo biotech di eccellenza. L’azienda comasca, che produce e confeziona colture microbiche per migliorare la cultura del cibo amplierà così le sue linee di produzione di fermenti congelati.

Agricoltura, il ruolo dell’Intelligenza Artificiale

L’Intelligenza Artificiale è il fulcro intorno a cui ruota la spinta innovativa del comparto agricolo. Tra le soluzioni più promettenti premiate durante la Fiera Innovazione Agricola 2024 spiccano Smart Spraying e xTrap, sviluppate dalla tech company xFarm Technologies. La prima sfrutta algoritmi di AI per distribuire prodotti liquidi a rateo variabile (VRA) su colture specializzate, ad esempio viti a nocciolo. Le xTrap, invece, sono trappole smart sviluppate in collaborazione con l’Unione Europea per monitorare da remoto gli insetti.

«L’Intelligenza Artificiale è agricoltura 4.0 alla massima potenza e, come tale, può essere inclusa tra gli strumenti più innovativi per migliorare le rese nei campi e rendere più efficiente e sostenibile la gestione delle risorse, soprattutto in una fase, come quella attuale, sempre più critica dal punto di vista climatico. Con l’AI, infatti, si possono gestire dati e utilizzarli per prevenire malattie o rafforzare le colture, abbattendo gli sprechi di fitofarmaci, ma anche di acqua», spiega Cristiano Fini, Presidente della Confederazione Italiana Agricoltori (CIA).

«E ancora, può supportare nella pianificazione delle attività e nella gestione dell’azienda agricola, per migliorare la tracciabilità dei prodotti lungo la filiera, eseguire controlli qualità e garantire maggiore sicurezza. L’AI è potenzialmente utile lungo tutto il processo produttivo, controllando costantemente la salute delle piante e impostando i processi di vendita, a partire dalle analisi di Mercato. L’essere umano continuerà a fare la sua parte, contribuendo a quel mix non replicabile di tradizione e innovazione, intuito e saper fare che appartiene agli agricoltori in modo autentico», aggiunge Fini.

Climate change, guerre e problemi di logistica incombono sul mondo dell’agricoltura. Con queste premesse, che 2024 sarà per il settore?

«Il fattore tempo è determinante per affrontare i problemi dell’agricoltura, che si sono accumulati e ora rischiano di esplodere. Già il biennio 2022-2023 è stato molto duro e faticoso per gli agricoltori italiani, tra siccità ed eventi estremi, fitopatie, costi di produzione alle stelle e redditi ridotti al minimo. Senza contare la congiuntura politico-economica e di Mercato molto complessa. Il 2024 si è aperto portandosi dietro tutte queste criticità, che hanno sollevato anche le proteste dei trattori delle scorse settimane.

CIA resta costantemente mobilitata, siamo scesi in piazza a ottobre a Roma con tremila agricoltori per reclamare le nostre istanze, ma la fase attuale di crisi ci richiede soprattutto un dialogo serrato e un confronto ampio sui tavoli istituzionali, in Italia e in Europa, per avere risposte concrete – e non interventi spot – su due macro ambiti: garantire il giusto reddito delle imprese agricole lungo la filiera e rivendicare il ruolo chiave degli agricoltori nell’economia, nell’ambiente e nella società».

Cosa può fare l’Italia?

«Sicuramente il ritorno parziale dell’esenzione Irpef per i redditi dominicali e agrari, esclusa dall’ultima legge di Bilancio, è un passo in avanti. Ma il settore primario ha bisogno di interventi più forti e strutturali a livello nazionale per ripartire, da misure per mitigare il rincaro dei costi di produzione agricola. Ad esempio, crediti d’imposta per l’acquisto di gasolio e altri fattori di produzione all’introduzione di sgravi fiscali, innalzamento percentuali di compensazione Iva zootecnica; esonero contributivo per tutti gli agricoltori. Poi, occorre reintrodurre provvedimenti a favore dell’imprenditoria giovanile e femminile in agricoltura, ad esempio con il ripristino per esempio della misura Più Impresa, così come è necessario l’utilizzo immediato delle risorse previste dal Fondo per le emergenze in agricoltura e il suo rifinanziamento per intervenire a sostegno dei comparti più in sofferenza».

Quanto dipende invece dall’Europa?

«Finora il decantato protagonismo degli agricoltori, che sembrava dover essere al centro del Green Deal, è stato praticamente sostituito da una serie di proposte legislative problematiche, dal SUR (Sustainable Use Regulation) agli imballaggi, con una deriva eccessiva di gran parte del Parlamento UE verso posizioni ideologiche e una colpevolizzazione del settore primario del tutto ingiusta. Ora sembra finalmente cominciato un cambio di rotta da parte dell’Europa, come dimostra il ritiro della proposta di regolamento sui fitofarmaci, che speriamo prosegua da qui alla fine della legislatura e, poi, dopo le elezioni con la nuova governance comunitaria.

Certamente, oggi è urgente una verifica della PAC (Politica Agricola Comune), semplificando il più possibile le regole per facilitare i pagamenti, a partire dagli eco-schemi. Allo stesso tempo, bisogna prorogare la deroga del 4% per l’incolto, con una periodicità almeno triennale e senza l’introduzione di vincoli legati alle scelte produttive aziendali. Abbiamo già subito una drastica riduzione delle rese a causa della crisi climatica, è assurdo che l’Ue ci dica di tenere delle terre a riposo. Inoltre, occorre accelerare i tempi sulla partita strategica delle nuove tecniche genomiche (Ngt, anche dette Tea, tecniche di evoluzione assistita, ndr)».

A questo proposito, quali benefici porta l’ok del Parlamento a queste tecniche per l’agricoltura?

«Malattie e cambiamenti climatici, già oggi, causano tra il 20 e il 49% delle fluttuazioni del rendimento agricolo. Un effetto domino che va fermato e superato con lungimiranza, ma anche con capacità di portare innovazione nei campi. Ecco perché ci siamo battuti a lungo contro un approccio demagogico e spingiamo da sempre per l’introduzione delle nuove tecniche genomiche, per avere nei campi non OGM, attenzione, ma biotecnologie, in grado di sviluppare colture più resistenti alle fitopatie e resilienti a eventi estremi e siccità.

Dopo il voto del Parlamento UE sul dossier, ci auguriamo ora che venga velocizzato l’iter con la posizione del Consiglio per raggiungere l’intesa finale entro l’attuale legislatura. In ballo c’è la salute del pianeta, del patrimonio paesaggistico e della biodiversità, la sicurezza alimentare globale già pesantemente compromessa. Per lottare contro il cambiamento climatico, non possono bastare la lotta biologica e integrata, l’agricoltura di precisione e il biocontrollo, servono nuove tecniche di miglioramento genetico e, soprattutto, servono adesso».

Investire nell’agrivoltaico potrebbe avere un costo iniziale più elevato rispetto ai tradizionali impianti a terra, ma il tempo di recupero è sotto i 5 anni, secondo un recente studio dell’Universidade de Lisboa e dell’Academia Militar, a Lisbona. Qual è la risposta italiana alle agroenergie e quale futuro possiamo ipotizzare per questa tecnologia nel nostro Paese?

«Il successo e il futuro dell’agrivoltaico sono strettamente legati alla capacità imprenditoriale di integrare la produzione energetica con quella agricola, mettendo a fattor comune le economie di scala del passaggio alle rinnovabili e in particolare gli incentivi a fondo perduto per l’istallazione degli impianti. Con la misura Parco Agrisolare e una dotazione finanziaria complessiva pari a 1,5 miliardi di euro, il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR) ha tracciato un percorso di svolta per l’introduzione degli impianti di produzione di energia elettrica solare fotovoltaica nel settore, escludendo il consumo di suolo.

L’obiettivo è quello di incentivare le aziende del comparto a ridurre i costi di approvvigionamento energetico, che oggi rappresentano più del 20% dei costi aziendali, e migliorarne le prestazioni climatiche e ambientali, con una diminuzione potenziale di 0,8 milioni di tonnellate di CO2. La risposta da parte del comparto è stata importante: oltre 20 mila le domande presentate per il secondo bando. Intanto, molte aziende assegnatarie del primo hanno già realizzato gli impianti, in attesa di ricevere il contributo del PNRR.

Cosa manca?

L’auspicio è che tutte le pratiche ammesse a contributo possano, a questo punto, essere finanziate e che le nuove risorse aggiunte, pari a 800 milioni di euro, arrivino a coprire le richieste presentate. Indubbiamente, la risposta decisa da parte del mondo agricolo è stata anche effetto delle modifiche sui criteri di accesso e di beneficio, previste dal secondo bando, con stanziamenti destinati a impianti agrivoltaici di potenza superiore al fabbisogno energetico aziendale. Fin dal primo decreto del Ministero dell’agricoltura, della sovranità alimentare e delle foreste (MASAF) del 2022, infatti, CIA ha sollecitato la necessità di finanziamenti anche per gli impianti fotovoltaici sui tetti eccedenti l’autoconsumo aziendale e l’esito del secondo bando ha confermato l’opportunità della nostra richiesta. Una stretta sinergia tra ricerca scientifica e tecnologica, istituzioni e organizzazioni agricole, è cruciale perché le aziende agricole possano cogliere pienamente i benefici delle rinnovabili».

Guardiamo allo scenario nazionale. Perché il riconoscimento normativo della figura dell’agricoltore custode è una buona notizia?

«Si tratta di un atto fondamentale per valorizzare e promuovere le molteplici attività del settore a tutela dell’ambiente e del territorio. A dispetto di tutte le fake news, infatti, gli agricoltori non inquinano, anzi garantiscono un presidio insostituibile dal punto di vista ambientale, come certifica anche questo disegno di legge. Il ruolo strategico del comparto, tanto più oggi, non è solo quello di produrre cibo sano e sicuro per tutti, ma anche di assicurare la tenuta e lo sviluppo delle aree interne; salvaguardare il suolo e i territori contro il dissesto idrogeologico; gestire le risorse idriche; produrre energia da fonti rinnovabili; difendere il paesaggio e la biodiversità». ©

Articolo tratto dal numero del 15 marzo 2024 de il Bollettino. Abbonati!

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