Empowerment femminile come propulsore per la competitività. Serve che aumenti l’occupazione femminile per dare la possibilità a tutte le donne di lavorare. Cosi da potere avere ognuna autonomia finanziaria. L’Italia è tra i Paesi europei con meno servizi pubblici utili a conciliare famiglia e occupazione. L’inversione di rotta deve muovere dal mondo delle imprese, stimolate dalla riflessione che la valorizzazione dei talenti femminili fa bene non solo alle donne, ma anche al business. Risulta quindi essenziale avere figure professionali dedicate allo sviluppo delle politiche di genere nelle aziende. «Investire nella ricchezza dei talenti femminili fa migliorare i bilanci. La valorizzazione dell’empowerment women non può essere lasciata più al caso. Le aziende devono affidare tale mission a figure specifiche che sappiano sviluppare le politiche di genere con metodo» dice Florinda Scicolone, Giurista, tra le massime esperte nazionali e internazionali di normative sulle pari opportunità e politiche di genere aziendali.
1 – L’importanza della Formazione sulla parità di genere aziendale
«La formazione è il volano della svolta nella parità. Non abbiamo mai avuto figure preparate a questo cambiamento nelle aziende. Bisogna cominciare a creare un metodo. Fornire strumenti, affinché le imprese motivate a investire nella gender equality sappiano come agire. Istruire sui possibili strumenti per approcciarsi alle pari opportunità è fondamentale. Anche perché le politiche di genere oggi sono un elemento portante dello sviluppo sostenibile».
2 – Lo stato dell’arte in Italia
«In Italia molte aziende sono ancora, purtroppo, all’anno zero per la parità di genere sostanziale. Quelle che hanno più consapevolezza sul nostro territorio nazionale sono le declinazioni delle multinazionali, perché comunque già Oltreoceano sono più avanti sul fronte della lotta al gender gap. Per evolverci abbiamo bisogno di persone formate che sappiano creare ex novo le politiche di genere aziendale. La governance deve scegliere di investire budget in politiche di genere per perseguire i propri obiettivi. Non esiste in questo momento una stima del volume d’affari che le imprese italiane perdono ogni anno a causa della discriminazione di genere. Perché? Semplice. Non c’è stata la volontà di quantificarlo. Se si analizzasse il fenomeno dell’empowerment femminile in termini di aumento di fatturato e utili ci accorgeremmo che la parità di genere fornisce ottimi risultati».
3 – Gender Gap, cosa manca per azzerarlo?
«È necessaria un’istruzione alla cultura della parità di genere aziendale. La formazione in qualsiasi campo è sempre l’anima di ogni cambiamento epocale. Le pari opportunità non possono essere percepite più come un regalo alle donne, come la gentile concessione di un diritto alle lavoratrici. Devono ritenersi come una scelta per orientare il business, un driver per aumentare la competitività valorizzando la ricchezza dei talenti femminili. Sicuramente abbiamo fatto passi da gigante in questo ventennio, però essendo le aziende, le governance e le prime linee prettamente al maschile, manca la conoscenza dell’approccio alle pari opportunità. Sarebbe bello che aleggiasse da adesso in poi il motto: “informare per creare consapevolezza, formare per cambiare rotta”».
4 – La Figura del Responsabile della Politica di Genere Aziendale – Gender Equality Officer
«Per evitare che le aziende propongano solo pinkwashing, serve mettere in campo una programmazione, degli investimenti sulle politiche di genere e formare. È necessario creare una classe dirigente del futuro di figure professionali Responsabili della Politica di Genere Aziendale con soft skill, hard skill ed expertise precise, capaci di sviluppare le pari opportunità per valorizzare la competitività. Oggi, avere un Gender Equality Officer è obbligatorio per le imprese che intendono richiedere la certificazione di genere. Infatti, le Linee Guida Uni/Pdr 125/22 indicano al paragrafo 6, punto 1 lett e) che le società che vorranno certificarsi devono nominare oltre al Comitato Guida per la Parità anche una figura che coordini e che sia Responsabile della Politica di Genere Aziendale. La prassi indica che tale figura debba avere come requisito esperienza di genere. Deve essere una nomina sostanziale e non solo formale, rivolta verso figure realmente formate e preparate sulle politiche di genere, perché tale figura diventerà responsabile dell’intero processo delle politiche che l’azienda che sceglie di certificarsi, dovrà realizzare nell’arco di un triennio».
«Il responsabile di questo processo verso l’interno e l’esterno è referente nei confronti della società di certificazione e della Consigliera di Parità. In questo momento, pertanto, il Gender Equality Officer è previsto in modo obbligatorio solo per le aziende che vogliono ottenere la certificazione alla luce delle linee guida, ma sarebbe auspicabile che questa figura diventasse un must per tutte le imprese che concretamente vogliono investire in politiche di genere. È importante che come esiste nelle aziende il Responsabile Affari Legali o il Responsabile Compliance, per dare una sferzata positiva alla materia, pian piano si introduca anche il Responsabile della Politica di Genere Aziendale. Una figura come collazione sarebbe auspicabile da intendere a riporto diretto dell’Ad per le grandi aziende, che operi in modo trasversale coordinandosi almeno con le Direzioni Legali, People & Culture, Sostenibilità e Compliance integrata».
5 – La certificazione della parità di genere
«Le linee guida della Prassi Uni/Pdr 125 prevedono tra i KPI per ottenere la certificazione di genere, la formazione specifica obbligatoria in materia di parità di genere e in materia di perseguimento del principio tolleranza zero. Una formazione per sensibilizzare le aziende a porre in essere la lotta contro le discriminazioni di genere e contro le molestie nei luoghi di lavoro».
6 – La Legge Golfo – Mosca ha fatto da apri pista alla parità di genere aziendale
«La legge Golfo-Mosca riguarda soltanto i board dei CdA delle società quotate, ed è riuscita a sfondare il soffitto di cristallo in tali organi. Oggi grazie a questa normativa obbligatoria, abbiamo il 43% di donne nei Consigli di Amministrazione delle quotate, lo testimoniano i dati della Consob (Commissione Nazionale per le Società e la Borsa). Adesso, è necessario che oltre la vigenza della Legge Golfo- Mosca, serve un ulteriore salto di qualità: dobbiamo avere nei CdA (e nelle direzioni di funzioni esecutive) uomini e donne preparati allo sviluppo di provvedimenti di governance per le politiche di genere. Se creiamo un metodo con linee guida chiare, potremo implementare la gender equality nelle aziende a cominciare dalle scelte di governance nei CdA. Un percorso che porti ad una svolta sostanziale dell’approccio allo sviluppo programmatico della gender equality e che dovrà, ovviamente, essere affidato a figure competenti».
7 – Politiche di genere e Governance
«Finora, nelle aziende, le politiche di genere sono state affidate alle risorse umane, come allocazione naturale. Oggi, le normative sono tante, sia europee che nazionali, la gender equality è diventata un’importante declinazione della sostenibilità. Quindi la politica di genere aziendale dovrà avere un percorso con un approccio innovativo ed in chiave trasversale. La classe dirigente futura dialogherà in modo trasversale, con 4 direzioni principalmente con Direzioni HR, Legal, Compliance Integrata e Sostenibilità. Non può essere lasciato un processo basato sulla semplice buona volontà, ma per incamminarci verso la realizzazione dell’obiettivo 5 dell’Agenda 2030, è necessario un metodo, un programma di realizzazione che segue precise linee, affidato a figure dirigenziali che creino e sviluppino per l’obiettivo da ottenere».
8 – Cosa manca per raggiungere la parità di genere aziendale
«Nell’approccio ESG (Environmental, Social and Governance) per rendere reali le pari opportunità, queste dovranno necessariamente essere declinate non solo nel criterio “S” come Social, ma anche nella “G” di Governance. La gender equality dovrà essere interpretata in chiave di sviluppo sostenibile come, appunto, una scelta di governance».
9. L’importanza dell’equilibrio di genere nelle aziende
«La ricchezza delle peculiarità femminili è necessario che si unisca alle peculiarità maschili. Sono due punti di vista diversi e necessari che collaborano. Fin quando l’esercizio della governance è prevalentemente maschile, non potrà esserci un equilibrio nelle scelte, perché manca il punto di vista femminile, cioè manca uno dei due punti. La cultura della parità di genere deve entrare nel DNA delle aziende, negli statuti, nei codici etici, etc.. È inconcepibile nel 2024 che le donne non debbano essere valorizzate quanto gli uomini. L’equilibrio di genere produce miglioramento nei bilanci, aumenta la competitività e nella società aumenta punti di Pil».
10. La Gender Equality, driver del business
«Non mi stanco di dire che serve cambiare l’approccio al tema. La Gender Equality dovrà considerarsi come un driver portante dell’impresa. Avverrà un cambio di paradigma: da diritto alle donne ad asset dello sviluppo del business». ©
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