venerdì, 26 Aprile 2024

FINGAP. LA DIFFERENZA TRA I SESSI NON RISPARMIA IL MONDO FINANZIARIO: I DATI SONO SCONFORTANTI. DRI: «SOLO IL 20% DI DONNE NEI CDA E PAGHE PIU’ BASSE»

Sommario

Donne in finanza? Lo chiameremo FinGap. Una parola quasi accattivante per una realtà dal significato totalmente opposto. È l’unione di Finanza e Gender-Gap e indica la differenza di trattamento tra uomini e donne, professionisti del settore, che ricalca quello riscontrato in molti altri ambiti. «Eppure per qualsiasi processo quanto è più eterogeneo tanto più ha possibilità di avere successo e di raggiungere risultati positivi», spiega Francesca Dri, Business Development Associate e Innovation & Technology Management.

«Lo stesso è applicabile per i team che lavorano nella finanza: infatti, la personalità del lavoratore maschile è tendente al rischio, impulsivo, punta tutto su un progetto molto rischioso che se va bene porta rendimenti altissimi, ma se va male porta perdite significative. Dall’altra parte la donna è più prudente e questo la conduce a fare investimenti, è vero, meno redditizi, però più sicuri e quindi c’è una sorta di bilanciamento nel lungo periodo. Per questo è essenziale avere dei team quanto più eterogenei, perché quello che manca da una parte viene compensato dall’altra. Ci sono tanti studi che hanno dimostrato che un gruppo, soprattutto a livello senior e manageriale, in cui c’è una percentuale più o meno equa di donne e di uomini, portano a profitti molto più elevati. Parliamo del 20-30% in più».

Il gender gap nel mondo della finanza pare essere molto marcato. A livello globale, emerge una distanza da colmare molto ampia, tuttavia, stando al rapporto Women in financial services 2020 della società di consulenza Oliver Wyman, i progressi non mancano…

«Le donne nella finanza nei comitati esecutivi ricoprono circa il 20%, se va bene, e nei consigli di amministrazione il 23%. I numeri sono anche migliorati, ma fanno comunque riflettere. Infatti porzioni così risicate di carriera chiaramente non incentivano per nulla le donne a lavorare in quel determinato settore, visto che le opportunità di crescita per loro è già scontato che saranno pochissime. L’evidenza più interessante della ricerca, però, riguarda l’opportunità di guadagno per questo settore: infatti, una maggiore presenza di donne nella finanza è in grado di generare un’opportunità di maggiori ricavi per 700 miliardi di dollari, grazie al migliore servizio offerto alle donne clienti. Secondo Consob (Commissione nazionale per le società e la Borsa) però, le professioniste possono lasciare un’impronta rilevante sulle performance finanziarie a patto che raggiungano una presenza che va dal 17 e il 20% all’interno dei Cda».

Ma il divario di genere parte già dall’Università: è noto che i corsi di lauree nelle materie scientifiche ed economiche siano molto più seguiti dagli uomini

«La diseguaglianza parte già dal livello accademico: c’è una importante discrepanza tra studentesse e studenti uomini che si attesta sul 40% di donne e il 60% di uomini, quindi c’è una grossa forbice ancor prima di inserirsi nel mondo del lavoro. Ma la cosa interessante è che poi il numero di donne tra i laureati con il massimo dei voti è molto più alto di quello dei ragazzi. Diversi studi dimostrano infatti, che le donne sono più efficienti, studiano di più, si laureano prima, lavorano di più. Per questo valorizzare la figura femminile è fondamentale in qualunque posizione di business per la società e per l’economia».

Per non parlare poi della diversità salariale

«Questo è davvero un dato indecente se pensiamo che la differenza è di circa il 16%, che significa che in media le donne guadagnano appunto il 16% orario in meno degli uomini. E, tra l’altro, altra pessima notizia, si è calcolato che ci vorrebbero circa 257 anni prima che questa discrepanza potesse essere colmata».

Fino a ora abbiamo parlato di cariche molto importanti, apicali, ma se scendiamo sulla situazione che riguarda le donne italiane più in generale, le cose non migliorano mica tanto. Dalla ricerca “Le donne e la gestione famigliare” condotta da Episteme, emerge che a dispetto dei tanti passi in avanti compiuti nell’ultimo secolo, è ancora difficile parlare di una vera e propria emancipazione femminile 

«Anche in questo caso sono esaustivi i numeri: in Italia il 37% delle donne non è titolare di un conto corrente, una percentuale che cambia sostanzialmente in base al livello culturale: va dal 100% per le donne con un livello culturale basso, scendendo al 17% per le donne che hanno conseguito una laurea. In quanto al genere di risparmiatrice, un’altra indagine realizzata dalla Global Thinking Foundation, condotta su un campione di 1.000 donne italiane, mostra che esse sono ottime risparmiatrici, ma a causa della mancanza di conoscenze finanziarie, il 56% lascia i risparmi sul conto corrente o addirittura in casa (19% dei casi). Sconforta sapere, poi, che il 21% del campione non ha idea di cosa sia la previdenza complementare e quasi la metà delle intervistate non possiede nessuna forma di tutela assicurativa contro gli imprevisti».

Le donne che lavorano nel settore finanziario che caratteristiche hanno: diverse dalle altre?

«Assolutamente no. Non sono le lavoratrici e imprenditrici a dover modificare il proprio approccio, sono le aziende ed è la società a dover cambiare e investire in gender diversity, perché tutti ne beneficerebbero. Le donne sanno bilanciare la prudenza e la razionalità con l’emotività, raggiungendo in questo modo il risultato migliore possibile. Quello che le rende uniche non è quello che devono abbandonare, la loro diversità deve essere valorizzata così com’è, senza cercare di plasmarla sulla personalità maschile, perché c’è bisogno delle loro differenze. Siamo una risorsa sempre più importante e potente nel panorama europeo e internazionale ed è giusto che questo ci venga riconosciuto. Non siamo noi a doverci adattare, ma deve essere il mondo del lavoro a farlo».

Come si possono incentivare le donne a percorrere la strada delle materie scientifiche per intraprendere un lavoro economico finanziario?

«È evidente che un mancato coinvolgimento delle donne nel sistema economico allontana dal raggiungimento dell’efficienza: secondo l’European institute for gender equality, il miglioramento dell’equità di genere condurrebbe a un aumento del PIL pro capite dell’UE dal 6 al 9%. È necessario migliorare, quindi, e questo si può fare investendo in progetti di gender diversity».

In che modo?

«Facendo in modo che le donne si sentano sicure nei luoghi di lavoro, che non vengano sottoposte a discriminazioni, che ci siano dei modelli all’interno dell’azienda a cui poter fare riferimento. Un’altra cosa che è emersa, è che le donne sono più attente a quelli che sono i progetti di sostenibilità, quindi un’azienda che investe in questo campo può essere prescelta. Altrettanto fondamentale che un’azienda utilizzi il lavoro flessibile, uno dei requisiti più importanti, per poter consentire alle donne di coniugare al meglio vita lavorativa e vita privata. E, infine, ma non certo per l’importanza, dal punto di vista educazionale è fondamentale puntare sulle donne imprenditrici fin dalle scuole superiori, per poterle poi incentivare ad approcciare a carriere universitarie in ambito economico dopo le scuole superiori. Le studentesse non si devono più sentir dire che in quell’ambito non ce la faranno mai».