venerdì, 26 Aprile 2024

Crypto: scatta ad aprile il voto sulla normativa

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C’è ancora da aspettare. In Europa la normativa per le crypto slitta ad aprile. Le speranze riposte nel MiCA sono andate in frantumi, dopo che la commissione ha rinviato il voto finale. A determinare il rallentamento sarebbero alcune difficoltà tecniche, che hanno causato uno stop momentaneo a quello che dovrebbe diventare il primo quadro normativo di riferimento paneuropeo sulle crypto. Ma questo, in base alle tempistiche di elaborazione, dovrebbe avvenire solo nel 2024. Infatti, vari scossoni colpiscono il settore delle valute digitali, complicando ulteriormente il lavoro del regolatore europeo.

La volatilità cronica e la mancanza di una regolamentazione chiara rende insidiosa la gestione delle criptovalute per gli investitori che conoscono poco il funzionamento di questi asset. Sono diverse le cause, interne ed esterne al settore, che hanno portato al calo del mercato crypto lo scorso anno e l’incertezza resta anche nel 2023. Eppure il Bitcoin guadagna il 41% da inizio anno, passando da 16.520 € agli oltre 23.400 € attuali. Ether il 39%, passando da 1.114 € a oltre 1.550 €.

«La situazione di crisi a livello globale, a causa di una serie di eventi negativi, tra cui spicca la guerra in Ucraina, ha causato una decrescita economica. In aggiunta, nel mondo crypto ci sono stati due grandi accadimenti nel 2022: il fallimento del progetto Terra/Luna e la bancarotta dell’exchange FTX», dice Leonardo De Rossi, Responsabile dei corsi “Blockchain and Cryptoassets” e “Bitcoin and Blockchain Fundamentals” presso l’Università Bocconi.

«Quindi il mix di cause esogene ed endogene ha portato sfiducia nel settore e si è persa tantissima liquidità: c’è stato un crollo della capitalizzazione totale di quasi tutte le criptovalute».

In che modo gli investitori possono proteggere i propri investimenti in crypto da frodi o furti?

«Conoscere la materia è il requisito fondamentale. Operativamente, mantenere le proprie criptovalute all’interno di un wallet, magari un hardware wallet, e non un exchange è sicuramente una buona pratica, che tutti dovrebbero adottare. Per riassumere, sul comportamento da tenere per la sicurezza, posso citare un battuta di noi addetti ai lavori: “If you do not hold your private keys, you do not hold your Bitcoins”».

Come la comunità crypto sta reagendo al fallimento di FTX e alle conseguenze che ha avuto?

«Si è evidenziata l’inadeguatezza di tantissimi intermediari. Inoltre, è emerso ancora una volta quanto gli investitori abbiano difficoltà nel gestire le criptovalute. Una reazione comune è stata quella di trasferire le valute digitali dagli exchange ai wallet, come dicevo prima. Il caso di FTX ha mostrato una sorta di impreparazione globale sistemica».

Quale impulso darà questo crollo al legislatore, per andare a normare il settore?

«Sono certo che il legislatore regolamenterà in maniera più severa gli exchange: questo permetterà di offrire una maggior tutela agli investitori. Immagino un futuro dove, per essere abilitati ad operare come exchange, sia necessario avere certificazioni, un po’ come un intermediario finanziario. Di conseguenza sarà necessario avere caratteristiche in termini di sicurezza più stringenti per essere considerato un exchange affidabile».

Più o meno le tempistiche?

«Nei prossimi anni sarà un po’ più chiaro. Almeno si sta già delineando una sorta di legge, cioè un disegno fiscale sulle criptovalute, immagino che si farà anche sulla parte di certificazione degli exchange».

Adesso ci sono già tutele giuridiche?

«Ci sono alcune regole, però vanno migliorate di sicuro».

Quali sono le principali sfide che gli exchange devono affrontare per garantire la sicurezza dei fondi?

«La  sfida più importante è combinare la sicurezza con le performance. Cioè è necessario creare un sistema che fornisca un elevato livello di sicurezza, ma allo stesso tempo garantisca scambi veloci. Non è facile trovare un equilibrio tra sicurezza e velocità, ma questa è la sfida da affrontare. Essendo la liquidità una delle fondamentali caratteristiche dell’exchange, una delle parti più importanti in assoluto è quella della sicurezza; perché detenendo così tante criptovalute è una preda ambita dagli hacker».

Quindi inserire tutte le procedure per tutelare l’utente, ma poi andare ad agevolare anche gli scambi all’interno dell’exchange?

«Mi aspetto che fra qualche tempo ci siano due alternative: da un lato pochi exchange centralizzati che garantiscano massimi livelli di performance, di prezzo, e così via; poi una serie di exchange decentralizzati, in cui non ci sia un ente centrale tipo Coinbase o Binance, che andrà a regolamentare tutti gli scambi, ma funzionerà senza una figura di riferimento che faccia da garante. Un exchange decentralizzato potrebbe non essere in grado di offrire le stesse prestazioni di uno centralizzato, ma al tempo stesso può garantire un livello di sicurezza e incensurabilità più elevato. Infatti, senza un’entità centrale che lo gestisca, non è possibile che si verifichi una frode come quella di FTX, in cui un individuo inganni gli investitori. Nel futuro, non credo che gli exchange rappresenteranno la soluzione definitiva per gli utenti. Le piattaforme di scambio continueranno a offrire vantaggi come prezzi convenienti, velocità di esecuzione e sicurezza, ma prevedo anche un incremento della decentralizzazione».

Quindi gli exchange tenderanno a essere una specie di banche delle criptovalute?

«No, non è questo il ruolo degli exchange. Il loro compito è quello di abilitare compravendite, funzione che svolgono già adesso. Le paragonerei più a piattaforme di trading».

Dopo il fallimento di Genesis, società che faceva prestiti su criptovalute, quali prospettive ci sono nel settore?

«Ritengo che il settore sia immaturo.Finché si utilizzerà il termine criptovalute, probabilmente vuol dire che non c’è ancora abbastanza consapevolezza. Dal mio punto di vista le valute digitali per il 99,9% non hanno il valore che ostentano, e credo che nel tempo falliranno una dopo l’altra e si rimarrà con pochi standard. In base a quello che emerge dalle nostre analisi, Bitcoin rimane comunque l’esperimento crypto più interessante; di fatto ha creato una nuova asset class, con una visione specifica che è quella di essere alternativi alla finanza tradizionale, incensurabili, sicuri e decentralizzati. Questo è un primo esempio concreto; poi ci sono molti esperimenti che cercano di scimmiottare quello che è stato Bitcoin, le cosiddette criptovalute. Attualmente c’è ancora troppa confusione, tantissimi investitori non hanno capito davvero la differenza tra Bitcoin e le altre crypto, manca la comprensione del ruolo dell’investitore nel mondo delle valute digitali, che è diverso rispetto agli altri asset, è un ruolo più attivo, con maggiori responsabilità. Inoltre, tantissimi servizi di supporto sviluppati attorno le criptovalute non hanno mantenuto le promesse; abbiamo tanti esempi di società immature fallite, vedi FTX, ma anche Mt. Gox o Genesis».

Secondo lei, quali sono le prospettive a lungo termine del mercato crypto, come lo vede fra 5 o 10 anni?

«Mi aspetto sicuramente l’identificazione di questi standard di cui parlavo, difficile dire se ci sarà un’unica criptovaluta a detenere tutta la capitalizzazione di mercato, ma certamente il mercato sarà composto da un numero estremamente più ridotto di standard. Realisticamente potremmo avere uno scenario in cui Bitcoin fallisce, o per ragioni tecnologiche o regolatorie o di mercato. Se dovesse accadere, a ruota seguirebbe l’intero mercato e non avremmo più alcuna criptovaluta. L’altro futuro potrebbe essere che Bitcoin resiste a tutto, ad attacchi politici e tecnologici, e diventa uno standard di pagamento. Il che significa che sarà una rete così diffusa globalmente che potremmo addirittura utilizzarla nella nostra quotidianità.  Ciò significa che noi, nel momento in cui andremo a pagare, potremmo decidere se farlo con Bitcoin, con euro o addirittura potrebbe esserci una moneta collegata al Bitcoin. Una sorta di ritorno al Gold standard, ma con Bitcoin».

Se il Bitcoin rimanesse, ci sarebbe una tendenza a livello mondiale nell’adottare una singola valuta digitale?

«Francamente credo che sia impossibile che tutte le comunità del Pianeta decidano all’unanimità di adottare Bitcoin come moneta a corso legale. Quello che però potrebbe accadere è che i liberi cittadini decidano, in maniera autonoma, che in alcune tipologie di pagamenti uno strumento tecnologico sia migliore degli altri. Quindi, potrebbe succedere che per alcuni scambi economici, Bitcoin venga percepito come strumento migliore. Secondo me è difficile che accada per un’unione d’intenti di Stati centrali, ma potrebbe farlo per volere dei cittadini. Un po’ come è avvenuto con PayPal: più passa il tempo, più i siti web di e-commerce decidono di aggiungerlo come metodo di pagamento. Alla fine, è il mercato che deciderà».  ©

Articolo tratto dal numero del 15° marzo 2023 de il Bollettino. Abbonati!

Laureato in Economia, Diritto e Finanza d’impresa presso l’Insubria di Varese, dopo un'esperienza come consulente creditizio ed un anno trascorso a Londra, decido di dedicarmi totalmente alla mia passione: rendere la finanza semplice ed accessibile a tutti. Per Il Bollettino, oltre a gestire la rubrica “l’esperto risponde”, scrivo di finanza, crypto, energia e sostenibilità. [email protected]