martedì, 19 Marzo 2024

Il riso è in crisi, dovremo dire addio ai supplì?

Sommario
riso

Cambiamento climatico, calo delle superfici coltivate e aumento dell’import dal Sud Est Asiatico sono le principali minacce al riso italiano. In un futuro non troppo lontano risotti, arancini, supplì, pomodori ripieni e altre pietanze tipiche potrebbero lasciare il posto a riso al curry e onigiri. L’alluvione che ha colpito l’Emilia-Romagna attenua in parte la siccità, ma i problemi della filiera restano. Il cambiamento climatico è solo una delle minacce che incombono su un’eccellenza del Made in Italy. Infatti, la metà della produzione europea di riso ha origine in Italia. Una quota che rischia di assottigliarsi sempre più, lasciando campo libero all’avanzata dei prodotti provenienti dall’Asia.

La risaia d’Europa è a rischio

Nel 2022 le importazioni italiane di questo prodotto dall’Asia sono cresciute dell’86%. Allo stesso tempo, da settembre ad aprile i nostri risicoltori hanno prodotto solo 845 tonnellate di riso, 150 in meno rispetto ai livelli pre-siccità.

In ballo c’è il futuro di un’eccellenza del Made in Italy. L’Italia esporta ogni anno 5 milioni di tonnellate di riso in Europa, la metà dell’intera produzione dell’Ue. Il 90% delle risaie si trova nel Nord Italia, nel territorio compreso tra Lombardia, Veneto, Piemonte e Emilia Romagna. Ma l’avanzata dei Paesi asiatici mette a rischio questo risultato. Le stime parlano infatti di una crescita dell’import di qualità Japonica e Indica da Myanmar e Cambogia fino a 500.000 tonnellate, lo stesso quantitativo che l’Italia esporta nell’UE.

Il nostro Paese non è solo la risaia di Europa, ma è anche tra i principali esportatori al mondo di questo alimento. Il 2,58% del riso che arriva sulle tavole proviene infatti dal Bel Paese. Il commercio di questa eccellenza del Made in Italy ci frutta una cifra pari a circa 731 milioni di dollari. Il primato spetta però all’Asia. I primi tre Paesi al mondo sono infatti India, Thailandia e Vietnam, che da soli esportano il 58,1% dell’export globale di riso.

Riso, la qualità paga

I prezzi al consumo aumentano del 40% rispetto al 2022, gli acquisti ne risentono e le risaie sono sempre meno. È la fotografia che emerge dall’analisi delle filiera del riso. Un quadro che preoccupa, ma ci sono i presupposti per un cambio di rotta. In particolare, puntare sulla qualità e sulle coltivazioni tipiche potrebbe aiutare i risicoltori italiani a compensare il calo di produzione, secondo l’Associazione industrie risiere italiane (AIRI).

Quest’anno gli ettari seminati sono 211.000, 3% meno del 2022 e 10% in meno del 2013. Le prime stime dopo le abbondanti piogge che sono cadute negli scorsi giorni parlano di una crescita delle superfici coltivate. Particolare attenzione merita la Zona del Delta del Po, divisa tra Emilia-Romagna e Veneto.

Riso, la siccità preoccupa meno

L’acqua riveste un ruolo centrale nella produzione di riso. I terreni vengono infatti sommersi per mantenere costante la temperatura del suolo e della pianta, proteggendola al tempo stesso dalla crescita di erbe infestanti. Fino a marzo, però, sul Nord Italia sono cadute il 40% di piogge in meno rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente, secondo le rilevazioni di Coldiretti su dati del CNR. Le ultime stime dell’Ente nazionale risi, diffuse a marzo, prevedono per quest’anno una coltivazione ai minimi storici, con un’estensione di appena 211.000 ettari, 8.000 in meno rispetto al 2022. Le perdite di raccolti possano superare i 6 miliardi di euro fatti registrare l’anno scorso. Le abbondanti precipitazioni di questi giorni potrebbero cambiare queste previsioni. Dovremo attendere qualche giorno per avere maggiori certezze. Certo è che il clima influenza sempre più l’agricoltura.

Le precipitazioni di questi giorni potrebbe aiutare a risollevare la filiera del riso, fino a pochi mesi fa in ginocchio per la siccità. Uno dei centri nevralgici del Paese è il Delta del fiume Po. Qui si produce infatti un terzo del riso italiano. La caduta di piogge ha provocato un aumento della quantità di acqua, secondo le ultime stime dell’Autorità di Bacino Distrettuale del Fiume Po. Le diffuse precipitazioni hanno portato a un importante innalzamento del livello dell’acqua, in alcuni casi superiore di tre volte rispetto a due settimane fa, quando faceva registrare numeri tipici del periodo estivo. Nei prossimi giorni le piogge potrebbero continuare a cadere soprattutto sull’Emilia Centrale e sulla Romagna, in quantità superiori ai 150-1800 mm, stima l’Autorità di Bacino.

Gli effetti dell’alluvione sul riso

I risicoltori della zona chiedono di affrontare il tema della pulizia dell’alveo del fiume e degli altri copri idrici che attraversano i loro campi. I bacini della zona hanno una scarsa capienza e sono poco adatti a portare via grandi quantità di acqua. A complicare la situazione c’è la caduta degli alberi e la presenza di altri detriti nel letto del fiume, che provocano straripamenti e riducono la risorsa idrica per le risaie. Una delle ragioni è che negli anni le sistemazioni idraulico-agrarie sono progressivamente scomparse, ha spiegato l’agrometeorologo Luigi Mariani, intervistato ieri nel podcast “Parliamo di Riso”. Un argomento da non sottovalutare, poiché i mutamenti dell’uso del suolo, dovuti principalmente all’avanzamento dei boschi, influiscono direttamente sui tempi di drenaggio del terreno e sull’esposizione alle frane.

Inoltre, serve un piano di invasi artificiali per aumentare la raccolta piovana, ferma oggi appena all’11%, secondo Coldiretti. Proposta che non trova d’accordo il Centro italiano per la riqualificazione fluviale (Cirf), secondo il quale bisogna puntare invece su misure mirate ad aumentare la capacità dei terreni di trattenere e far infiltrare le acque meteoriche e prevenire il degrado del suolo.

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