sabato, 7 Dicembre 2024

La vendemmia è da astemi: produzione in calo del 12%

Sommario

La vendemmia 2023 subisce una battuta d’arresto. Così, il primato mondiale della produzione vinicola resta alla mercé dei raccolti francesi. Un rischio non da poco, per uno dei prodotti agroalimentari che più caratterizzano il nostro Paese. 7,9 miliardi di euro il valore di esportazione nello scorso anno. Un gruzzolo ora minacciato, assieme alle migliaia di posti di lavoro che ne dipendono. La produzione vinicola italiana, come sottolineato da Coldiretti, è stimata a circa 43,9 milioni di ettolitri nel 2023, in calo del 12% rispetto all’anno precedente. Questo rende il 2023 una delle peggiori annate nella storia degli ultimi 100 anni per la viticoltura italiana.

I dati della vendemmia 2023

I dati raccolti dall’Osservatorio Assoenologi, ISMEA (Istituto di Servizi per il Mercato Agricolo Alimentare) e Unione italiana vini (UIV), presentati al Ministero dell’Agricoltura, ci parlano di una spaccatura. «Il Nord conferma i livelli del 2022, ma Centro-Sud e Isole si avviano a registrare un calo tra il 20 e 30%» dice Cristiano Fini, Presidente di CIA-Agricoltori italiani. A dire il vero, le regioni settentrionali, terre di eccellenze quali Barolo, Amarone della Valpolicella, gli spumanti di Franciacorta, il Prosecco del Veneto e del Friuli, riescono a registrare perfino un +0,8% sulla produzione dell’anno passato.

Cristiano Fini, Presidente di CIA-Agricoltori italiani

Tuttavia, la vendemmia è compromessa in Regioni strategiche per la filiera nazionale, come in Toscana (Pergole Torte, Masseto, Sassicaia, Brunello di Montalcino), Umbria (Sagrantino di Montefalco), Campania (Taurasi, Falanghina), Basilicata (Aglianico del Vulture), Puglia (Negroamaro, Malvasia di Puglia), Sicilia (Nero d’Avola, Zibibbo, Passito); danneggiata lungo la dorsale adriatica tra Marche (Verdicchio dei Castelli, Conero), Abruzzo (Montepulciano d’Abruzzo, Controguerra) e Molise (Montepulciano del Molise, Biferno). In alcune zone le perdite arrivano a sfiorare il 40%.

Le giacenze dell’Italia

Nonostante tutto questo, il calo produttivo potrebbe non essere una così brutta notizia. L’Italia ha un livello importante di giacenze, oltre 49 milioni di ettolitri, in pratica un’intera vendemmia da smaltire. La riduzione della produzione permette di alleggerire le rimanenze. Emerge un dato certo: in Italia si produce più vino di quanto il mercato sia in grado di assimilarne. Ciò impone un ripensamento della produzione che aumenti la qualità media e riduca la quantità totale prodotta.

Il Responsabile direzione analisi ISMEA, Fabio Del Bravo, ha dichiarato «L’Italia produce ancora una grande quantità di vino comune, quello più difficile da collocare sul mercato a prezzi ragionevoli. Questo non è il focus su cui concentrare la produzione nazionale che è una produzione di qualità, di territorio».

Che cosa provoca il crollo produttivo?

«Sono i cambiamenti climatici a lasciare il segno con evidenza sul territorio – risponde Cristiano Fini – con effetti difformi quanto estremi. A incidere, come ulteriore conseguenza, il riemergere di malattie patogene pericolosissime, come la Peronospora che ha intaccato in modo significativo le uve. Quindi, fatta salva la qualità che ci sarà, sembra che avremo meno vino, se non fosse che ne abbiamo ancora tantissimo in giacenza, oltre i 49 milioni di ettolitri».

Questa vendemmia può condizionare i prezzi al dettaglio?

«Come questo si ripercuota sul mercato e nel carrello della spesa ci introduce ad altri fattori all’origine di questa annata complicata. Dall’avvio del conflitto Russia-Ucraina a oggi, neanche il settore vitivinicolo si è potuto salvare dall’aumento dei costi di produzione – la filiera produttiva ha sostenuto nel 2022 un incremento dell’83% sui budget iniziali (1,5 miliardi di spese in più) – come dalla perdita del potere d’acquisto con l’inflazione arrivata alle stelle. C’è un calo della domanda sia interna sia estera, con i listini che ne stanno risentendo».

Come ripensare il futuro?

«A questo punto, dobbiamo fermarci e rivedere la strategia, orientandoci alla qualità e stando attenti alle quantità, come anche a più competenza, mirata a una nuova competitività che riveda l’assetto delle Dop, sostenga i vini comuni e valorizzi il biologico. È chiaro che a supporto serva un’adeguata promozione e che coinvolga tutti gli attori della filiera. A riguardo, la semplificazione e la tempestività dell’OCM (Organizzazione Comune del Mercato) è dirimente per il posizionamento sui mercati extra Ue e per rilanciare una strategia di lungo periodo più sfidante e all’altezza del vino Made in Italy».©

📸 Credits: Unsplash

Tratto dal giornale del 15 ottobre. Se vuoi leggerlo, abbonati!