Dalle mafie al welfare. I beni confiscati alla criminalità organizzata e assegnati a fini sociali sono 12.042: il 70% dei 17.183 trasferiti agli enti territoriali. Restituiti alla collettività, spesso con l’assegnazione ad associazioni selezionate con procedure ad evidenza pubblica, diventano funzionali a soddisfare bisogni della cittadinanza tra i più disparati. Le attività e i progetti realizzati al loro interno coinvolgono una platea ampia quanto eterogenea. Al 30 giugno 2023, l’ANBSC (Agenzia Nazionale per l’Amministrazione e la Destinazione dei Beni Sequestrati e Confiscati alla Criminalità Organizzata) ha documentato la presenza in Italia di 20.910 beni in gestione: 15.886 in confisca definitiva (il 76%) e 5.024 in confisca non definitiva.
Beni confiscati alle mafie restituiti alla collettività
È nelle roccaforti di mafia, camorra e ‘ndrangheta che risiede il maggior numero di immobili sottratti al crimine e affidati a Comuni, Province o Regioni. Rispettivamente sono: 6.396 in Sicilia, 2.940 in Campania e 2.722 in Calabria. Solo nel secondo semestre del 2022 le confische ai clan calabresi hanno riguardato sul territorio nazionale e all’estero un ammontare superiore a 177 milioni di euro. I patrimoni delle cosche siciliane aggrediti invece sono pari a 1 milione e 150mila euro, quelli dei gruppi camorristici 1.200.000 euro (relazione DIA – Direzione Investigativa Antimafia).
Il riutilizzo dei beni confiscati alle mafie in Italia
Il riutilizzo è favorito dall’accelerazione nelle pratiche smaltite dall’ANBSC che consentono, così facendo, di assegnare con più rapidità i beni. Basti pensare alla velocità con la quale, su richiesta del Ministero dell’Interno, sono state messe a disposizione di 35 Prefetture ben 175 strutture confiscate per accogliere i profughi ucraini dopo lo scoppio della guerra. Le performance nel destinare il patrimonio frutto di profitti illeciti appaiono infatti in netto miglioramento.
Boom di beni confiscati destinati a fini sociali
L’aumento dei cespiti affidati nel triennio 2020-2022, da circa 1.000 ad oltre 2.500, ha superato il 147%. Il potenziamento della macchina burocratica si riflette positivamente sulla società, sia in termini di servizi resi al cittadino sia in prevenzione, con un ritorno notevole in fiducia nella magistratura e nelle forze dell’ordine. Una sorta di riscatto dal giogo che soffoca l’economia locale, drogata dalle infiltrazioni mafiose che distorcono il mercato a scapito della sana imprenditoria. Il denaro è reinvestito dalle cosche, che per propria natura si adattano facilmente ai diversi contesti territoriali, economici e sociali, attraverso società “cartiere”, che svolgono attività apparentemente lecite.
I lavoratori delle aziende confiscate alle mafie
Attualmente, le aziende in confisca definitiva presenti in Italia sono 2.949, spalmate da Nord a Sud della Penisola. Si tratta perlopiù di società a responsabilità limitata, imprese individuali e società in accomandita semplice che operano soprattutto nell’edilizia e nel commercio. Al loro interno lavorano oltre 3.200 persone. Smantellate le cosiddette “scatole vuote”, gli interventi su tali realtà sono finalizzati alla salvaguardia dell’occupazione dei dipendenti e al ricollocamento dell’impresa sul mercato, una volta epurata dalle infiltrazioni.
Beni confiscati, il volume d’affari delle aziende sottratte alle mafie
In totale, il valore della produzione delle aziende confiscate alla criminalità organizzata è di 390 milioni di euro e genera utili per 22 milioni di euro l’anno. Un business che si tende a non annientare per scongiurare gravi ripercussioni sul tessuto sociale del territorio. Se le imprese coinvolte in procedure penali dovessero chiudere i battenti, migliaia di lavoratori perderebbero il loro reddito e il territorio il suo indotto. I ricavi delle mafie, infatti, vengono generalmente reimpiegati in attività imprenditoriali.
Il contrasto alla vocazione imprenditoriale delle mafie
Dalle stime della Banca d’Italia, arrotondate per difetto, il volume d’affari della criminalità organizzata in Italia si aggira sui 40 miliardi di euro l’anno: circa 2 punti percentuali del PIL nazionale. La capacità di mimetizzarsi nel mercato è favorita da un approccio silente, che alla violenza ha sostituito corruzione e compiacenza. Il risultato? Generare liquidità in maniera poco appariscente. L’azione di contrasto alla vocazione imprenditoriale delle mafie, esercitata attraverso l’esecuzione di sequestri e confische che colpiscono i clan a livello transnazionale sul piano economico e finanziario, interviene a gamba tesa sui processi di riciclaggio.
Beni confiscati, l’efficacia del “modello italiano”
Il metodo usato dall’ANBSC per strappare beni illecitamente acquisiti alla criminalità organizzata e riutilizzarli per finalità sociale viene dagli addetti ai lavori definito il “modello italiano”. Una strategia ritenuta efficace e virtuosa anche dal Gruppo di lavoro intergovernativo sulla prevenzione della corruzione delle Nazioni Unite e studiata in tutto il mondo per renderne possibile l’implementazione nei diversi sistemi giudiziari.
Beni confiscati e cooperazione internazionale
L’esperienza del Bel Paese risulta particolarmente attrattiva. Interessante per la capacità di riqualificare in chiave resiliente i patrimoni delle mafie, con il riutilizzo pubblico che si concretizza nella maggior parte dei procedimenti. Per questo motivo, i vertici dell’ANBSC nel 2023 si sono recati in Angola, Argentina e Colombia per trasferire il proprio know how. Un’operazione funzionale a valorizzare i beni confiscati e trasformarli in risorse ed opportunità per la collettività. Buone pratiche Made in Italy che rafforzano la cooperazione internazionale nella lotta alle mafie. E tentano di restituire il maltolto alle comunità. ©
Articolo tratto dal numero del 1 novembre 2023 de il Bollettino. Abbonati!
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