domenica, 28 Aprile 2024

L’AI e le nostre aziende: perché non bisogna restare indietro

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L’Intelligenza Artificiale non si ferma più, ma l’Europa non sembra ancora puntare verso la tecnologia. Da qui al 2032 il mercato dell’AI salirà da 8,2 miliardi di dollari a 126,5 miliardi, con un tasso di crescita annuale composto del 32%, secondo Valuates Reports. Ma l’Unione Europea, al contrario di Asia e Stati Uniti, non investe.

«L’Europa ha puntato sulle norme, scegliendo di regolare il fenomeno ed esser protagonisti. Tuttavia, piazzando tutte le sue fiches sulle regole, ha trascurato in maniera eccessiva gli investimenti. Non parlo solo – e tanto – di Bruxelles, ma è una responsabilità soprattutto degli Stati membri, che sono voluti andare in ordine sparso, tradendo le premesse del Piano coordinato del 2018, che prevedeva per l’appunto uno stretto coordinamento delle strategie e degli investimenti degli Stati membri della UE», dice Stefano da Empoli, Presidente dell’Istituto per la Competitività (I-Com) e autore del libro L’economia di ChatGPT. Tra false paure e veri rischi, edito da Egea.

intervista

«Siamo in una situazione di grande difficoltà come Europa. Come Italia ancora di più. Se guardiamo all’AI generativa, tra i cosiddetti unicorni, cioè le Startup con un valore di mercato superiore al miliardo di dollari, non ci sono società incentrate su questa tecnologia nell’UE al momento. Tutti i principali player sono americani, mentre a seguire troviamo imprese cinesi, israeliane, canadesi e britanniche».

Quanto vale oggi e quanto potrebbe crescere in futuro l’economia di ChatGPT e dell’AI in generale?

«L’AI generativa è il filone che consente di generare testi, video, audio e altri contenuti basati su deep learning etc. Ma il campo dell’Intelligenza Artificiale è molto più ampio, basti pensare che la generativa rappresenta oggi appena il 20% della tecnologia in generale, mentre si prevede che nei prossimi 10 anni arriverà a una percentuale che sarà comunque al di sotto del 50%. Parliamo però della parte più percepibile dalle persone normali, perché per la prima volta ognuno può interrogare questi prodotti senza avere bisogno di grande expertise. Gli ostacoli per lo sviluppo sono diversi. Prima di tutto, occorre capire la velocità di adozione di questi strumenti dal punto di vista professionale. Rispetto a precedenti innovazioni tecnologiche c’è sicuramente una percentuale ampia che la applica in maniera diffusa, anche se gran parte delle persone la utilizzano ancora fuori dal mondo del lavoro. Inizia però a emergere qualche trend, soprattutto in imprese grandi, che sono sempre più preoccupate da alcuni aspetti».

Quali sono i difetti dell’AI generativa?

intelligenza artificiale

«I rischi sono tre, in particolare. Il primo è la privacy, il fatto che le aziende in possesso di informazioni sensibili temano che ChatGPT possa rivelare in qualche modo segreti industriali. L’altro elemento che desta crescente preoccupazione è collegato al copyright, quindi al fatto che i modelli siano modellati su dati, cosiddetti token, sui quali ci possono essere contestazioni legate al diritto di proprietà. Un numero crescente di testate giornalistiche ha scelto di non esporsi ai web crawlers (solitamente acquisisce una copia testuale di tutti i documenti presenti in una o più pagine web creando un indice che ne permetta, successivamente, la ricerca e la visualizzazione, ndr). Il terzo elemento rappresenta le cosiddette allucinazioni. In poche parole, in un numero elevato di casi questi modelli danno risposte che sono verisimili ma totalmente false. Ad esempio, pensiamo al caso di uno studio di avvocati di New York che, in un recente procedimento giudiziario, affidandosi interamente ai tool AI, ha inventato precedenti legali per vincere una causa, appoggiandosi a decisioni totalmente inventate».

Come evitare gli errori più smaccati?

«Serve una forte supervisione umana. I rischi veri rappresentano un limite allo sviluppo dell’AI generativa. Le società stanno provando a fare del loro meglio per superare queste problematiche, sebbene non sia facile. La privacy è un elemento centrale. Le chat di ChatGPT sono state rese private, quindi chi lo utilizza può fare in modo che non possano essere usate. Sicuramente serve un enforcement, ma dal punto di vista tecnico il rischio privacy mi preoccupa meno. Il tema del copyright e delle allucinazioni, o meglio confabulazioni, è quello che mi preoccupa maggiormente a causa della potenza dei modelli, che possono assumere una scala di massa. Occorre capire cosa si può fare. La musica è uno dei campi in cui il problema si pone in modo più evidente. Invece, per quanto riguarda le allucinazioni, il problema principale è che i modelli non sono pre-programmabili rispetto all’Intelligenza Artificiale simbolica».

economia AI

Qual è il potenziale innovativo di questa tecnologia?

«Secondo me è molto elevato, gli ambiti di applicazione sono molto larghi e alla portata di tutti. Da un lato, la disintermediazione può avere effetti a cascata considerevoli. Dall’altro lato, il fatto di essere molto superiore, in alcuni ambiti, alle facoltà umane. Penso ad esempio alla traduzione, alla correzione di un testo o altre attività in cui, grazie a una stupefacente velocità e a un buon grado di precisione, può portare un grande guadagno in termini di produttività. La domanda di fondo è se parliamo di una vera innovazione rispetto ai modelli di AI pre-esistenti, in particolare quelli applicate al linguaggio. Da questo punto di vista il salto è evidente rispetto ai problemi che si sono verificati fin dagli anni ‘60, che questi modelli riescono per la prima volta a risolvere. Sono riusciti a farlo grazie all’architettura transformer, ideata nel 2017 da un team che lavorava in Google. Mentre il gruppo cercava di superare un ostacolo riguardante la traduzione, sono arrivati all’intuizione che per migliorare davvero questi strumenti occorre guardare le parole all’interno di una frase o di un cluster di frasi nel loro insieme, non in maniera sequenziale. Un’intuizione che è alla base di tutta l’AI generativa venuta dopo. La portata dell’innovazione ha una barriera d’adozione molto minore rispetto alle passate innovazioni tecnologiche. È chiaro che il modo in cui interroghi questi sistemi è importante, quindi è fondamentale anche sapere come chiedere, un’ingegneria del porre le domande giuste alle macchine che va sotto il nome di prompt engineering».

Spesso si evocano scenari apocalittici in cui le macchine ci sostituiscono, come nei film di fantascienza: il rischio è reale?

«Nei mesi successivi alla diffusione di ChatGPT è raddoppiato il numero di persone che ha cercato su Google “il mio lavoro è a rischio?”. Indubbiamente c’è una percentuale di incertezza per alcuni settori. Tuttavia, credo che le macchine, più che sostituire, possano aiutare, essere assistenti efficienti e veloci. Questo porta con sé un secondo effetto: il vantaggio delle grandi organizzazioni rispetto a quelle medie e piccole potrebbe diminuire velocemente, sopperendo in parte alla scala minore. Credo ci sia la possibilità di creare nuovi posti di lavoro. In altre parole, le macchine potranno sostituire alcune funzioni legate a un determinato lavoro, di modo che i dipendenti possano dedicarsi ad altro. Di conseguenza, da un lato assisteremo alla nascita di nuove professioni, dall’altro vedremo lavoratori che hanno la stessa mission, ma la realizzano in maniera diversa e possono dedicarsi ad altro».

soldi

Quando pensa che avverrà questa transizione?

«Non sono sfrenatamente ottimista, perché parliamo di processi che devono essere accompagnati sotto diversi profili, di competenza e culturali. Mi ha colpito molto il caso dell’azienda tecnologica americana (IBM, ndr) il cui CEO ha detto che avrebbero sospeso tutte le nuove assunzioni per valutare la potenziale sostituzione di una parte consistente di lavoratori con l’Intelligenza Artificiale. Sicuramente ci sarà anche questo, non credo però a scenari catastrofisti, penso che molte professioni rimarranno e ci saranno nuovi posti di lavoro. Uno studio recente di David Autor, del MIT, incentrato sugli Usa, ma che potrebbe valere anche per l’Europa, è arrivato alla conclusione che oltre il 60% dei posti di lavoro attuali subito dopo la seconda guerra mondiale non esistessero. Questo dà un’idea del rinnovamento. Da un lato, vorremmo che l’adozione di questa tecnologia fosse il più veloce possibile, per avere un impatto sulla produttività. Tuttavia, il fatto che questa transizione sia leggermente più lenta rispetto alla traiettoria ottimale può aiutare, sia lato imprese sia per i lavoratori. Le stesse istituzioni possono avere più tempo per normare correttamente queste tecnologie. C’è un punto di equilibrio delicato, che secondo me si può trovare: occorre senz’altro adottare velocemente questi sistemi, ma qualche ritardo può aiutare il sistema a fare gli step giusti e adattarsi gradualmente».

Che posizione può occupare l’Italia nella corsa all’AI?

«È importante capire quale dei due ruoli principali dovrebbe giocare. C’è il ruolo di chi produce e sviluppa l’AI, gli innovatori. Dall’altro, c’è chi la adotta per il proprio business. La prima porzione è molto limitata, forse in Italia ancora di più che altrove. Ci sono però anche casi ibridi di aziende che passano dalla domanda all’offerta di questa tecnologia. L’Italia non può che lavorare su entrambi i fronti, ma dedicando un’attenzione particolare affinché le proprie imprese, che sono in gran parte piccole e piccolissime, adottino queste tecnologie in tempi sufficientemente rapidi. Ci sono ragioni per essere cautamente ottimisti, come scrivo nel libro. Naturalmente questo percorso deve essere accompagnato da un’azione politica, ma serve anche un cambiamento nella consapevolezza del sistema». ©

made in italy

5 ragioni per essere ottimisti

1 La flessibilità organizzativa sul tema dell’Intelligenza Artificiale, il fatto di poter implementare velocemente un processo di cambiamento.

2 La personalizzazione del prodotto, la capacità di adattare i processi produttivi alle esigenze del cliente, un elemento che diventa ancora più decisivo con l’AI e può essere aiutato in maniera più veloce. Se culturalmente sei portato alla flessibilità, sei molto facilitato, questo aiuta anche le piccole imprese a fare quello che solo alcune di grandi dimensioni riescono.

3 La centralità per il nostro Paese del Business-to-Business (B2B), che rappresenta gran parte dell’export italiano, anche se spesso lo associamo solo al Made in Italy. Il nostro punto di forza principale è vendere ad altre aziende in diversi Stati. Un ambito in cui l’Intelligenza Artificiale ha delle potenzialità particolarmente forti. Tra l’altro, nel B2B alcuni elementi, come la privacy, potrebbero essere meno impattanti. Pensiamo ad esempio ad alcune limitazioni per difendere la riservatezza degli utenti.

4 La cosiddetta coopetition, un mix tra concorrenza e collaborazione tipico dei sistemi digitali in generale. È molto in linea con il modello, ad esempio, del distretto industriale, un aspetto che ci caratterizza culturalmente e potrebbe consentirci di recuperare terreno.

5 La possibilità di accedere a tecnologie avanzate a prezzi ridotti. Un elemento che l’AI generativa ha ulteriormente abbattuto, perché oggi alcuni sistemi possono essere acquistati senza grandi investimenti. Il cloud permette di accedere a risorse computazionali straordinarie a costi ridotti rispetto alle tecnologie precedenti. Pensiamo al divario con i primi sistemi di mainframe, precedenti ai server aziendali, che avevano barriere di costo all’ingresso elevatissime e dunque alla portata solo delle imprese più grandi». ©

Articolo tratto dal numero del 1 dicembre 2023 de il Bollettino. Abbonati!

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