venerdì, 3 Maggio 2024

Live commerce: anche sul web si cerca la prossimità

Sommario

Rapporto diretto con il negoziante, anche online. Vetrine virtuali ed esercizi fisici offrono servizi e prodotti tra i più disparati: dall’artigianato all’enogastronomia. L’esperienza di acquisto, che si concretizza al di fuori dalle maggiori piattaforme di e-commerce, restituisce un ritorno di fiducia al commerciante. «Una figura che oggi si tende a riportare al centro del processo di vendita, anche sul web», dice Massimiliano Margarone, Founder di Digitarc, società che sviluppa soluzioni di live commerce, Coordinatore del Gruppo Lavoro Cloud del Consiglio Nazionale degli Ingegneri, nonchè Fondatore dell’incubatore di creatività digitali Spx Lab. «Lavoriamo nel creare un rapporto tra persone poco mediato dalla tecnologia, ma che allo stesso tempo sfrutti strumenti digitali di largo consumo e mezzi conosciuti, facilmente fruibili come chat, videoconferenze, ecc. Un punto di riferimento sulla rete che riunisce tante modalità di comunicazione».

Business e tecnologia: come interviene la digitalizzazione nei negozi di prossimità?

«La nostra idea è stata quella di realizzare un progetto che consentisse di avvicinare alle botteghe chi ha bisogno di comprare, ma non può recarsi in presenza nell’esercizio prescelto. Poterlo raggiungere in modo alternativo e sfruttando software innovativi, in un panorama nel quale dominano le multinazionali del commercio online, rivitalizza l’economia locale. Il metodo adottato non si concretizza nelle diffuse pratiche di e-commerce, ma allo stesso tempo evita piattaforme complesse. Non snobbiamo Metaverso, realtà aumentata e similari, ma li riteniamo molto di nicchia, circoscritti a determinati target. Complicati da utilizzare e quindi impossibili da raggiungere per il grande pubblico. Testare un’auto, simulando la guida con un casco tech che ne riproduce configurazione e funzionamento, non è un’operazione che i consumatori svolgono nella quotidianità. Questi metodi possono certamente fidelizzare l’utenza, ma immaginare che diventino popolari tra tutte le fasce d’età è inverosimile. Sicuramente il simulatore di guida non è uno strumento che userà la “signora Pina” che invece è in casa, deve comprare i calzini, ma le fa male la gamba e non può uscire in quel momento. Sappiamo che la maggior parte degli esercenti ormai da anni è presente su Instagram, Facebook, WhatsApp, LinkedIn. Comunica sul web, però in maniera frammentaria».

Live commerce e negozi di prossimità

«Con il nostro strumento, invece, il cliente è in grado di entrare nel negozio attraverso la videocomunicazione, incontrare il commerciante che risponde e mostra cosa è presente, le novità offerte, e se interessato può anche concludere direttamente l’acquisto, prenotare prodotti ancora non disponibili, chiedere di recapitarli al domicilio o ritirarli in sede. Il live commerce non è legato a un unico sistema di comunicazione. I negozi di prossimità non hanno abbastanza risorse, né i loro gestori dispongono del tempo necessario per star dietro ai social e aggiornare costantemente i prodotti sponsorizzati sui loro eventuali siti. Sugli scaffali, pur essendo piccoli, hanno comunque centinaia di articoli, sarebbe farraginoso gestire l’intero catalogo online. Difficoltà che il live commerce azzera».

È una sorta di ritorno all’acquisto come esperienza?

«C’è ancora tantissima gente che non usa l’e-commerce per acquistare. In molti ne usufruiscono esclusivamente per comprare specifici prodotti già conosciuti, dei quali sono consumatori abituali. Nelle piattaforme dei grandi player, però, scompare il ruolo del personal shopper, ovvero del negoziante che consiglia il prodotto più adatto alle esigenze del cliente. Eppure a chi non piace avere questo momento di coinvolgimento, di confronto dialettico? Nell’online puro non esiste, non c’è in nessun Metaverso, anche se la risoluzione delle immagini è così alta che sembra di toccare la merce. Il live commerce, in questo senso, rappresenta un elemento di connessione tra la volontà del venditore di illustrare le qualità di quanto offre e l’attenzione dell’acquirente nell’apprendere informazioni su ciò che si appresta a comprare. È una modalità fortemente in voga in Asia, dove collaboriamo con più realtà commerciali. In Cina esistono centinaia di piattaforme, con forme diverse di live commerce che consentono di vendere mostrando la merce e confrontandosi durante la compravendita. Un esempio estremo è una nota influencer cinese, che in dei video fa vedere un prodotto ogni 2/3 secondi e ne mostra circa 50 per volta. Il nostro obiettivo è la semplificazione della user experience. Prediligiamo la fruizione agevole dell’app, affinché raggruppi gli elementi che le persone già utilizzano per superare i problemi di distanza (WhatsApp, Facebook, Zoom). Così si risolvono le criticità legate all’assenza del rapporto diretto con il commerciante, mettendo in contatto le parti».

Come si sostiene l’economia locale con il live commerce?

«Serve rispondere agli utenti in maniera diversa rispetto alle pratiche commerciali dei colossi mondiali di vendite online, dove è quasi tutto robotizzato. In queste dimensioni bisogna dimenticare l’idea che dietro la spedizione ci sia qualcuno che abbia confezionato il pacchetto. Scompare non solo il farsi consigliare, ma anche il piacere dell’acquisto attraverso l’interazione e il confronto dialettico, la trattativa con l’esercente. Anche nel nostro progetto basta un clic e si apre un universo fatto di vetrine, storie, immagini. L’internauta attratto dall’offerta entra nel negozio ed è già praticamente in contatto con il commerciante. Vision Alps, per citare una delle nostre iniziative, ospita particolari attività artigianali ed enogastronomiche dell’arco alpino. I prodotti tipici venduti negli esercizi che appaiono sul sito sono introvabili sulle piattaforme e-commerce di massa. A favorire la comunità dei commercianti e renderla compatta,è l’aggregazione in un’unica lista delle attività che si trovano in quell’area geografica. È recente questa esperienza in negozi che non sono parte di un cappello più ampio, come un centro commerciale o virtuale. Quando si scorre l’applicazione sembra che siano federati, organizzati in un contenitore. Un network che non è un mero elenco come le pagine bianche, ma un insieme di connessioni tra commercianti. Si naviga nell’app e si entra in contatto con il negoziante, il quale è in grado di avere traccia di ogni comunicazione e fornirà all’avventore virtuale un feedback diretto. L’impresa può avere anche il suo e-commerce separatamente, ma è diverso. Una cosa non sostituisce l’altra. Soprattutto, ognuno ha un modo differente di rapportarsi al mercato».

La digitalizzazione del live commerce si diffonde equamente tra imprese e individui?

«Il nostro obiettivo è non lasciare indietro nessuno. Di certo bisogna sapere usare uno smartphone e avere la possibilità di accedere al web, poi basta cliccare sull’applicazione. Quest’ultima ha un’interfaccia semplice, pensata in modo che sia commercianti sia potenziali clienti possano utilizzarla senza disagi. Praticamente anche il negoziante per aggiornarla deve fare pochissime cose, niente di particolare: si impiegano meno di 5 minuti. L’idea è nata in un momento particolare: durante i lockdown della pandemia da Covid-19, quando uscire da casa era vietato. Volevamo fare in modo che le persone potessero accedere facilmente ai loro negozi di fiducia anche senza recarsi fisicamente nell’esercizio. Oggi stiamo promuovendo l’app tra le associazioni di categoria, come Confcommercio, che è stata la prima ad aderire. Lavoriamo affinché in più persone la conoscano e la possano adottare. L’immaginario collettivo nutre pregiudizi e ha una visione un po’ approssimativa e distorta del commercio online. Si pensa che ormai nessuno voglia più comprare nei negozi. Non è così. C’è una percentuale altissima di italiani che ama toccare con mano la merce. Inoltre sono frequenti le raccomandazioni a tutela del commerciante, soprattutto durante le festività, che invitano il consumatore ad acquistare nei negozi di prossimità e non su internet. La novità che introduciamo con questo strumento è quella di trattare direttamente con un negoziante di prossimità attraverso il web. Non era mai esistita una cosa del genere fino a oggi. È un modo per stimolare il mercato motivando da un lato gli imprenditori restii a praticare l’e-commerce, dall’altro i clienti poco inclini a muoversi in città per fare shopping alla ricerca di quanto desiderano».

Si aprono così nuove fette di mercato all’estero anche per piccoli artigiani…

«L’applicazione si concentra su una dimensione iperlocale: la signora che non può uscire di casa perché sta poco bene, per esempio. Il negozio è reso accessibile a tutti senza che si debba per forza recarvisi materialmente. Risulta utile anche ai turisti che dall’app scoprono cosa offrono le attività del circondario prima di uscire per passeggiare e fare acquisti. Quando il vacanziere tornerà a casa propria potrà continuare, da qualsiasi parte del mondo, a utilizzare la stessa piattaforma per fare ordini online. Sarà premura del negoziante studiare la formula più gradita per recapitare la merce ordinata dall’estero o da fuori regione. In questa prospettiva, l’app diventa uno strumento che consente un’internazionalizzazione dell’attività, coprendo sia la dimensione locale sia le aree periferiche. Di base, il live commerce non è un’operazione di marketing per potenziare le esportazioni. È un canale di internazionalizzazione che lavora un po’ al contrario. Non si adotta per vendere all’estero, però diventa un mezzo per superare i confini geografici della bottega di quartiere, in quanto la vetrina essendo online è accessibile da qualsiasi parte del pianeta. È assolutamente vero che si aprono così nuove fette di mercato estero anche per i piccoli artigiani. Si spazia dal reale a un mondo virtuale che riporta al centro il concetto di vendita e la figura da sempre indispensabile per fidelizzare il cliente: il negoziante di fiducia».

Qual è il ruolo dell’intelligenza artificiale nel commercio online?

«L’intelligenza artificiale partecipa in due modi diversi a questo processo. Il primo è attraverso un chatbot che, simulando ed elaborando le conversazioni con il potenziale cliente, lo guida indirizzandolo verso il negoziante che può meglio rispondere alle sue esigenze. L’AI informa sulle opzioni disponibili, sta all’utente poi scegliere con quale commerciante interagire. Il secondo è raccogliendo i dati di tutte le interazioni tra gli utenti e l’applicazione per implementare delle copie digitali dei negozi che soddisfino le richieste dei visitatori del web. Con il tempo, si potrà automatizzare il singolo negozio, creando dei cloni. Sarà sempre la stessa azienda a rifornire il consumatore, perché la versione virtuale dell’impresa lavorerà allo stesso modo di quella reale addestrata sulla base delle trattative già intercorse. Ma la tecnologia ci consente di spingerci oltre. Il gestore dell’esercizio, una volta addomesticato il chatbot AI inserito nel clone digitale del negozio, potrebbe essere sollevato dal compito di dover rispondere a tutti, in quanto l’algoritmo è in grado di smaltire in autonomia una serie di quesiti iniziali posti dall’utente. Può dire automaticamente e in tempo reale a chi visita la pagina e lo interroga se un articolo è già presente in magazzino o va ordinato».

Non c’è solo il business, con il virtual heritage anche l’arte viene digitalizzata. Cos’è?

«Per 10 anni mi sono occupato di virtual heritage all’Università di Genova. Lavoravo nella ricerca, elaborando progetti finalizzati a rendere fruibili i beni culturali a distanza, unendo realtà virtuale e gaming. In tempi non sospetti, nel 2004, abbiamo realizzato una sorta di gioco per computer palmari ambientato a Venezia che aiutava a conoscere le opere presenti sul territorio attraverso la navigazione virtuale. Oggi mi occupo di arte contemporanea in chiave multidisciplinare. Cerchiamo di mescolare le competenze dei tecnici con il talento degli artisti. Uno scambio che permette di elaborare le opere disponendo di sensibilità e know how diversi con risultati decisamente innovativi. Unire il contributo dello scienziato con quello dell’ingegnere e dello scultore serve a contaminare l’approccio alla materia fondendo tecnica e creatività. Una miscela esplosiva, che proietta l’arte in una dimensione completamente nuova».

Come sta cambiando l’interazione uomo-macchina?

«Siamo solo all’inizio. Nel 1997, con lo studio delle reti neurali artificiali era già possibile pilotare una Ferrari senza autista. L’Intelligenza Artificiale aveva superato le prestazioni dell’uomo, ma in modo settoriale. Con la diffusione capillare del World Wide Web si è sviluppata e diffusa anche tra i non addetti ai lavori. Oggi vediamo che l’AI generativa nelle reti tenta di comunicare con l’uomo ed è in grado, come le persone, di spostare il focus della sua attenzione da un argomento all’altro collegando informazioni e dati. Assistiamo all’umanizzazione delle macchine che si presentano, appunto, con interfacce sempre più umane, fondamentali nelle modalità di comunicazione del prossimo futuro. Si avrà sempre meno la percezione di parlare con una macchina. L’informazione, ripeto, sarà umanizzata a tal punto da far quasi dimenticare che dietro a quelle risposte vi siano raffinati computer e non persone. Tante attività passeranno da comandi vocali, imitando i tratti peculiari delle comunicazioni umane. Questo potenziale va ben orientato per scongiurare usi malevoli. Lo spamming di fake news potrebbe risultare pericoloso e ribaltare la realtà dei fatti, così come le incursioni nei sistemi di cybersecurity con elaborate password forzate in un miliardesimo di secondo potrebbero minare la stabilità delle istituzioni». ©

Articolo tratto dal numero del 15 gennaio 2024 de il Bollettino. Abbonati!

📸 Credits: Canva

Giornalista professionista appassionata di geopolitica. Per Il Bollettino mi occupo di economia e sviluppo sostenibile. Dal 2005 ho lavorato per radio, web tv, quotidiani, settimanali e testate on line. Dopo la laurea magistrale in Giornalismo e Cultura Editoriale, ho studiato arabo giornalistico in Marocco. Ho collaborato a realizzare in Saharawi il documentario La sabbia negli occhi e alla stesura della seconda edizione del Libro – inchiesta sulla Statale 106. Chi è Stato?