Ogni europeo getta nella spazzatura 131 chili di cibo l’anno. Nel mondo si sprecano 1 trilione di dollari di alimenti commestibili. Allo stesso tempo 828 milioni di persone soffrono la fame: 1 persona su 9 va a dormire senza cena. E il 40% di ciò che potrebbe essere trasformato in un pasto nutriente finisce in discarica. Basterebbe recuperare solo ¼ delle eccedenze, secondo la FAO (Food and Agriculture Organization of the United Nations), per sfamare chi non ha denaro sufficiente per permettersi di acquistare da mangiare. L’iniquo impatto sociale si somma al danno ambientale. L’inquinamento derivato dai rifiuti alimentari è ritenuto equiparabile a quello creato in 12 mesi dagli Stati Uniti d’America.
Quanto cibo gettiamo nella spazzatura
In Italia si tenta di mitigare, in parte, l’effetto degli alimenti abbandonati a marcire nei cassonetti con diffusi metodi di raccolta differenziata e trasformazione in compost o biogas. Pratiche che comportano comunque la distruzione del cibo e le emissioni in atmosfera. I dati dell’intera filiera alimentare internazionale rivelano una situazione ancora più estrema: 1/3 delle risorse diventa inutilizzabile e invece di essere servito a tavola scivola nel pattume. In Europa il 20% delle perdite è originata alla fonte, durante la fase di produzione. In totale il Vecchio Continente manda al macero, annualmente, 59 milioni di tonnellate di cibo.
Come combattere gli sprechi alimentari
Dimezzare gli sprechi alimentari pro capite entro il 2030 è il dettame delle Nazioni Unite. Sfida ambiziosa nella lotta alla fame e ai cambiamenti climatici colta anche dall’Unione Europea che dal suo canto, con l’introduzione del Green Deal europeo nel dicembre 2019 e la revisione in corso della Direttiva Quadro sui Rifiuti impone agli Stati membri di intervenire in materia. Come? Attraverso la promozione delle donazioni alimentari, la misurazione del fenomeno, nonché il ridimensionamento dei rifiuti alimentari: durante le fasi di produzione, distribuzione, vendita, nella ristorazione e tra le famiglie.
Ridurre l’inquinamento generato dai rifiuti alimentari
Attualmente è all’esame del Consiglio dell’Unione Europea (i ministri dell’Agricoltura e della Pesca ne hanno discusso nella riunione del 23 ottobre 2023) e oggetto di negoziati con il Parlamento europeo una proposta della Commissione europea, formalizzata a luglio 2023 nell’ambito del Piano d’Azione per l’Economia Circolare. L’applicazione della nuova disciplina sarebbe finalizzata a ridurre le eccedenze del 10% nella trasformazione e fabbricazione degli alimenti; del 30% nel commercio al dettaglio e tra i singoli individui. Obiettivi giuridicamente vincolanti inseriti nella proposta legislativa alla quale sono allegate le raccomandazioni per rendere operative rodate pratiche virtuose, dall’agricoltura sostenibile alla condivisione, invitando a prediligere proteine di origine vegetale rispetto a quelle derivate dagli animali che comportano un maggior utilizzo di suolo. Carne e latticini infatti pur rappresentando meno del 20% della massa degli sprechi, sono responsabili della metà dell’inquinamento generato dai rifiuti alimentari.
L’impatto ambientale dello spreco alimentare
Dagli studi effettuati in materia l’impatto sull’ambiente scaturito dalla produzione e dal consumo alimentare in Europa è aumentato nel tempo e gli scarti sono oggi responsabili dell’immissione in atmosfera di 252 milioni di tonnellate di anidride carbonica. Una stima per difetto che non tiene conto di ciò che nei campi marcisce senza essere raccolto o della miriade di sottoprodotti delle lavorazioni. Il 70% degli effetti nocivi provocati all’ecosistema dagli sprechi alimentari, dai recenti monitoraggi appare attribuibile alle cattive abitudini della collettività. Il 63% dello spreco è correlato ai comportamenti del consumatore finale, per tale ragione la presa di coscienza e sensibilizzazione delle comunità sono ritenute prioritarie in questo particolare periodo storico.
Quanto vale lo spreco alimentare in Italia?
Vale oltre 9 miliardi di euro in Italia lo sperpero nell’intera filiera alimentare. Quasi 6 miliardi e mezzo di euro di cibo si perdono nelle case dello Stivale, nonostante l’86% degli italiani si adoperi per mangiare tutto ciò che viene cucinato, compresi gli avanzi. È quanto documentato dall’indagine del Waste Watcher International Observatory on Food and Sustainability resa nota in occasione della Giornata Nazionale di Prevenzione dello spreco alimentare che si celebra il 5 febbraio. Nel nostro Paese, tra inflazione, caro-prezzi e lenta ripresa post pandemia nel 2022 il volume degli alimenti andati persi è diminuito del 12%. Un risultato frutto dell’attuale tendenza a misurare gli acquisti in base alle reali esigenze per risparmiare.
Le abitudini dei consumatori
In media, ad oggi, per ogni italiano finiscono nella spazzatura 27 chili di cibo commestibile (di cui 2 chili tra frutta e pane, posti in cima alla classifica): 75 grammi al giorno, circa mezzo chilo a settimana. La pandemia da Covid-19 pare abbia però cambiato le abitudini dei cittadini. Il 42% ha tagliato drasticamente le cene al ristorante, mentre 1 italiano su 3 ha scelto di limitare colazioni al bar e pranzi extra-domestici verosimilmente per risparmiare. Buoni i riscontri anche sulla sostenibilità della dieta tricolore: il 35% ha inteso consumare più legumi e derivati vegetali rinunciando nel 26% dei casi a carne e proteine animali. Le meno attente sono le famiglie senza figli che gettano nell’immondizia il 38% in più degli alimenti rispetto alla media nazionale e quelle che vivono nelle regioni meridionali (+ 8%).
Lo spreco nella filiera agroalimentare italiana
Nella catena industriale e tra i campi la quantità di risorse che potrebbero finire in tavola, invece di restare inutilizzate ed essere condannate a marcire, ammonta a 4 milioni di tonnellate. Uno sperpero sul quale pesa al 26% l’agricoltura, al 28% le fabbriche dell’agroalimentare e all’8% la distribuzione. Interessante notare come il 78% degli italiani affermi di valutare l’impatto ambientale della produzione nel momento dell’acquisto dei viveri, sintomo di una sensibilità matura. Contestualmente il recupero di cibo e la redistribuzione solidale è sempre più diffuso, anche grazie al proliferare di app on line dedicate. Il numero dei consumatori che cerca sul web il modo per prolungare la vita dei prodotti dopo la pandemia è aumentato dell’80%.
Le app per non far finire il cibo in discarica
Gli strumenti a disposizione sono numerosi e diversificati, pensati sia per le associazioni sia per i cittadini sia per le aziende. Un esempio è Too Good To Go che dal 2016 ha salvato 200 milioni di pasti, 79 milioni nel 2022 ovvero una quantità sufficiente ad invitare a cena tutti gli abitanti di Belgio e Regno Unito. L’app consente di avere una panoramica dei negozi, ristoranti, supermercati, bar o panifici della propria città che propongono il cibo invenduto a prezzi estremamente scontati. Lo Sprecometro promosso da Last Minute Market e realizzato con la collaborazione del Ministero dell’Ambiente invece aiuta gli utenti a prevenire e misurare (in euro, anidride carbonica e acqua consumata) lo spreco alimentare con un semplice click, attraverso una sorta di diario digitale che illustra progressi e debolezze.
La lotta allo spreco alimentare
Last Minute Sotto Casa si propone alla Grande Distribuzione Organizzata come sistema antispreco per ridurre la quantità di prodotti invenduti, mettendo in contatto commercianti e potenziali clienti. MyFoody e Babaco Market sono altre due piattaforme attive nella lotta allo spreco alimentare abbastanza diffuse: la prima fornisce una carrellata di offerte a prezzi calmierati, la seconda provvede a consegnare a domicilio frutta e verdure difettate che risulterebbero poco appetibili da esporre sugli scaffali.
Le app per recuperare gli alimenti
Lo Svuotafrigo consiglia e fornisce varie soluzioni utili su come preparare il pranzo con i soli ingredienti che si hanno a disposizione, attraverso 25mila ricette elaborate per azzerare i rifiuti alimentari originati all’interno delle abitazioni. Phenix è un’applicazione che guida i suoi 2 milioni di utenti iscritti nel salvare, con pochi euro, pacchetti con all’interno le eccedenze dei negozianti del settore che pur di non mandarle al macero le vendono alla metà del loro valore. Ricibo, a Genova, ha costruito un’efficace sistema di redistribuzione trasparente attraverso l’innovativa formula del recupero alimentare dal basso nei quartieri, organizzando sulla rete scambi di cibo in tempo reale.
Foodbusters, chi sono gli acchiappacibo
L’azione di Bring The Food, proficua partnership tra la Fondazione Banco Alimentare e la Fondazione Bruno Kessler di Trento, si concentra sul recuperare da mense, supermercati, ristoranti e negozi di generi alimentari le eccedenze per poi far sì che vengano donate a enti caritatevoli che le redistribuiranno tra le famiglie bisognose. Un’operazione che ogni mese permette di non far finire nei cassonetti 100mila chili di alimenti. La piattaforma con i suoi contatori del cibo recuperato è supportata dai Foodbusters. Si tratta un gruppo itinerante di “acchiappacibo” che ha iniziato a combattere lo spreco alimentare partendo dai banchetti nuziali. «Gettare il cibo è un’eresia che fa male a tutti, ognuno deve impegnarsi per contrastare questa pessima abitudine» afferma Diego Ciarloni Presidente dell’associazione Foodbusters di Jesi, in provincia di Ancona.
Recuperare il cibo partendo dai matrimoni
«Quando ci siamo sposati con mia moglie Simona Paoletta abbiamo devoluto ciò che era rimasto dal pranzo a una mensa per i poveri. Un’idea che abbiamo poi proposto a una coppia di amici che l’ha accolta con entusiasmo. Da quel momento ci siamo impegnati per far crescere il nostro progetto fondando nel 2016 l’organizzazione di volontariato che unisce i Foodbusters. Si è sviluppato in maniera naturale. Mi occupavo di assistenza a pazienti oncologici ad Ancona. La maggior parte di loro a causa della malattia si trovava a perdere il lavoro e dover sopravvivere con pensioni di circa 300 euro al mese. Per mangiare alcuni partecipavano a un gruppo di solidarietà dove macellai, fruttivendoli, panettieri, pasticceri a fine giornata regalavano l’invenduto creando una sorta di colletta alimentare alla quale attingevano dividendosi queste rimanenze. Dal primo matrimonio la nostra iniziativa è subito piaciuta e si è diffusa inizialmente nelle Marche».
Il record di cibo recuperato
«Oggi siamo in grado di spostarci anche fuori regione laddove ci sostengano consentendoci di rientrare nelle spese perché siamo tutti volontari, operiamo gratuitamente armati di buona volontà. Diamo valore al cibo che altrimenti finirebbe nella spazzatura. Senza il nostro lavoro le eccedenze alimentari non arriverebbero a destinazione. Non siamo un’associazione caritatevole, ma di lotta allo spreco. Ci occupiamo di recapitare gli alimenti recuperati alle persone bisognose. La nostra è anche un’opera di sensibilizzazione. Cerchiamo di far comprendere che l’eccedenza alimentare ha un valore, ma se resta a marcire in un frigorifero è destinata a essere gettata nel pattume».
Come recuperano il cibo i foodbusters
«Come facciamo? Ecco un esempio. Per ogni invitato a un matrimonio, un battesimo o a un meeting aziendale chi organizza l’evento, in base alle proprie disponibilità, può destinare un euro a pasto per sostenerci così che noi possiamo avere risorse per comprare i contenitori e pagare il carburante per distribuire il cibo salvato dal triste destino della discarica. Ripeto, lo facciamo gratis nel tempo libero, ma ci serve coprire i costi perché le pietanze non consumate da sole non arrivano da nessuna parte e purtroppo al momento non ci sono risorse pubbliche dedicate a questo genere di attività. Il 31 dicembre a Roseto degli Abruzzi, in provincia di Teramo, abbiamo recuperato da un banchetto nuziale 100 chili di cibo tra antipasti, primi, secondi, contorni e dolci. È stato il nostro record».
Combattere lo spreco alimentare crea posti di lavoro
«Migliaia di tonnellate di cibo diventano spazzatura perché si ignora quanto siano preziose. Eppure se la lotta allo spreco alimentare fosse istituzionalizzata creerebbe posti di lavoro. Potrebbe dare un’occupazione e restituire dignità alle stesse persone che andiamo ad aiutare donando loro quanto recuperiamo dagli eventi o da ristoranti e supermercati. Non è un paradosso, ma un dato di fatto. I benefici dell’operato degli “acchiappacibo” andrebbero a vantaggio di tutta la comunità perché quando il cibo va nell’immondizia significa che stiamo sperperando l’acqua e ogni singola materia prima che è servita per produrlo. Recuperarlo potrebbe fungere da volano per un ciclo virtuoso a livello sociale, ambientale ed economico.».
Il ciclo virtuoso del cibo
«La legge Gadda del 2016 prevede sgravi fiscali e incentivi per le aziende che destinano cibo ad enti del terzo settore, evitando che vada distrutto negli impianti di trattamento rifiuti. L’effetto diretto è che chi ci sostiene, se spende 100 euro gliene ritornano 90. I restanti 10 euro possono essere intesi come un investimento in marketing perché l’impresa comunica e diventa protagonista della lotta allo spreco alimentare acquisendo automaticamente un’immagine Green oggi sempre più apprezzata dai clienti. Pubblicità non attraverso slogan, ma azioni concrete. Serve ricordare, sempre, che circa il 10% del totale dei gas serra è generato proprio dai rifiuti alimentari. Se i 9 miliardi di euro di cibo sperperato in Italia ogni anno venissero investiti per valorizzare gli alimenti, a monte nella produzione e a valle tra i consumatori soprattutto i più giovani, avremmo un ritorno notevole in termini di benessere e sviluppo».
Spreco alimentare, ognuno deve fare la propria parte
« I supermercati gettano tutti i giorni 6 chili di alimenti per metro quadro, arrivano a far distruggere da 25mila a 39mila tonnellate annualmente. Sono numeri che non possiamo più osservare senza rimboccarci le mani e agire. È nel nostro interesse, bisogna cambiare paradigma: il cibo non deve essere più considerato merce, ma bene comune da tutelare. Solo così possiamo pensare di salvare il mondo dalla fame e l’ecosistema dall’inquinamento». Intanto gli evidenti progressi nella lotta allo spreco alimentare in Italia a 10 anni dall’approvazione del PINPAS (Piano Nazionale di Prevenzione degli Sprechi Alimentari Le azioni prioritarie per la lotta allo spreco) inducono a guardare al futuro con ottimismo. Ma non basta. Ognuno deve fare la propria parte. Per sé e per gli altri. ©
Articolo tratto dal numero del 1° febbraio 2024 de il Bollettino. Abbonati!
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