venerdì, 8 Novembre 2024
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calcio femminile lavoro

Il Calcio femminile non si ferma più. Oggi le tesserate sono ben 36mila. Il volume d’affari entro il 2033 tra diritti televisivi, sponsorizzazioni e ricavi da stadio raggiungerà i 47 milioni di euro, secondo le stime del Report Calcio FIGC 2023. La disciplina è sempre più attrattiva e conta in Italia 10,2 milioni di appassionati, con positive ricadute sul piano commerciale. «C’è la voglia di sviluppare questo movimento affinché possa diventare per le donne anche un’opportunità lavorativa» dice Isabella Cardone Direttrice Generale della Ternana Women e docente di Diritto Sportivo. «Serve l’aiuto di tutti per crederci e riuscire a colmare il gap di genere».

Fare dello sport un lavoro sembrerebbe un’ardua impresa, soprattutto per le donne. Qual è stata la sua esperienza nel percorrere questa carriera?

«Sono una commercialista, ho uno studio tributario ed ero il revisore del CONI (Comitato Olimpico Nazionale Italiano). In un progetto indirizzato alle scolaresche, da un questionario, è emerso che la maggior parte delle ragazze, quasi il 90%, voleva fare calcio. Ragionando su questa evidenza insieme ad altre quattro amiche ci siamo lanciate in una splendida avventura dando vita alla società Pink Bari. Abbiamo cercato di dare un’alternativa alle donne che vogliono praticare sport, avviando nel 2001 una società e 2 discipline: calcio e pallacanestro. In entrambe hanno raggiunto importanti risultati in termini numerici ed agonistici anche nei campionati nazionali. Nella Pink Bari mi sono occupata sin da subito di calcio, vista la mia grande passione. Avevo giocato a pallone per anni, poi mi ero infortunata e avevo abbandonato il campo dedicandomi agli studi. Ho iniziato ad allenare un gruppo di ragazze 12enni. Con alcune di loro siamo arrivate in serie A. Dopo 21 anni si è presentato Paolo Tagliavento, allora vice Presidente della Ternana Calcio società sportiva di proprietà di Stefano Bandecchi Fondatore e Presidente del Consiglio di Amministrazione di Unicusano e ha acquisito il titolo della Pink Bari. Hanno scelto di mantenerne il management e sono stata quindi chiamata a costruire a Terni una squadra che potesse ambire a diventare leader nel calcio femminile. Dopo aver allenato anche in serie A femminile, nel 2015 ho preferito invece dedicarmi alla carriera manageriale, sviluppando una serie di sinergie e competenze».

Lei è membro del Consiglio direttivo della Divisione Serie B Femminile, qual è lo stato dell’arte sul fronte delle tutele?

«L’obiettivo della FIGC è di supportare la crescita del calcio femminile. Si intende porre le basi per la sostenibilità del calcio stesso rafforzandone la credibilità. Il professionismo nella serie A femminile necessita di avere un punto di partenza che permetta a tutte le ragazze di poter provare a fare del calcio, della propria passione, anche un lavoro. La riforma del Diritto del Lavoro Sportivo permette attualmente, anche se non si è in serie A e quindi non si hanno le garanzie da professionista, di iniziare ad avere delle tutele. Garanzie non solo per chi gioca a calcio, ma anche per chi è un dirigente o comunque un soggetto necessario allo svolgimento dell’attività sportiva in queste società. Credo sia una giusta conquista per gli atleti, in particolare per noi donne.

Per anni le sportive sono state considerate solo in qualità di dilettanti. Dal campionato 2022/2023 per la prima volta in Italia è stato riconosciuto il calcio femminile di serie A come sport professionistico. Ciò significa godere dei diritti e delle tutele del lavoratore. Ad oggi la FIGC è l’unica federazione a riconoscere la donna come un’atleta con tutele previdenziali e assistenziali. C’è ancora tanto da fare per supportare un movimento che deve essere, ripeto, da un lato sostenibile e dall’altro credibile per tutti gli attori che poi ne fanno parte: atlete, dirigenti, allenatori, preparatori, arbitri. La speranza è che le riforme siano mirate a far crescere i numeri delle tesserate e l’occupazione nel mondo dello sport. Il calcio può essere un’opportunità per tutti. È questo che mi ha portata nel lontano 2001 a crederci con la Pink Bari e ad essere oggi il direttore di una società come la Ternana. Una realtà che mi permette di applicare le conoscenze sviluppate in oltre 20 anni di carriera».

Come è cambiata la prospettiva delle opportunità di lavoro per le donne dopo il riconoscimento del calcio femminile di serie A come sport professionistico?

«È una conquista il riconoscimento della tutela previdenziale e assistenziale alle donne che praticano calcio in Serie A. Avere la possibilità di maturare contributi ai fini pensionistici, consente alla ragazza che sceglie di intraprendere una carriera nel calcio femminile. Di trasformare il proprio sogno in un lavoro. L’1 luglio 2022 ha segnato una data storica, permettendo seppur in Italia solo per le calciatrici di Serie A, di godere delle garanzie e tutele del lavoratore sportivo professionistico. Le donne che praticano calcio a questi livelli hanno diritto alla copertura dell’infortunio, a ricevere un’indennità di fine carriera, mantenere il contratto in caso di gravidanza. Quando parliamo di icone come per il nuoto Federica Pellegrini o per il tennis Flavia Pennetta, nonostante le vittorie in competizioni mondiali, si tratta di atlete che non sono inquadrate come professioniste. Attualmente solo il calcio femminile può essere visto come una futura opportunità di lavoro. Lo sviluppo del settore crea occupazione, non solo tra le atlete, ma anche tra le figure di supporto che accompagnano questa attività: manager, fisioterapisti, medici, addetti al marketing, social media manager».

Qual è il trend del volume d’affari del calcio femminile in Italia?

«Assistiamo a una crescita soprattutto delle società di serie A con cospicui investimenti da parte delle proprietà. Iniziamo a notare l’aumento di coloro che intendono finanziare il calcio femminile. È un segnale da osservare con attenzione al fine di poter cogliere le opportunità di questo cambio di rotta. Oggi il calcio femminile è visto come un terreno da sfruttare, come un investimento di comunicazione come incubatore di professionalità. È una disciplina che permette a chi promuove il calcio femminile di avere una sorta di ritorno in termini di immagine, una pubblicità che valorizza il brand. Le società calcistiche maschili che scommettono sul calcio femminile inoltre traggono da queste iniziative economiche anche il privilegio di poter testare le capacità dei collaboratori che potranno essere poi selezionati per arricchire il management. Prima o poi vedremo dei manager donna, o comunque dei manager che sono cresciuti nel calcio femminile, che si affermeranno nel calcio maschile con ruoli di rilievo. Questo vale sia per gli allenatori sia per tutti i professionisti che il calcio femminile tende a valorizzare».

Sono previsti dei finanziamenti pubblici per il calcio femminile?

«Il calcio femminile beneficia di taluni contribuiti di sostegno destinati dalla FIGC alle attività in “rosa”. Contributi per il passaggio al professionismo ovvero sussidi che vengono elargiti in quegli ambiti in cui la FIGC ha avuto un’esenzione di imposta. Un risparmio di spesa che viene poi erogato dalla Federazione alle società sotto forma di liquidità. Risorse volte a promuovere determinate attività o aree, in particolare l’attività giovanile femminili o il marketing, ovvero investimenti per migliorare la condizione dell’atleta, quindi attraverso la sottoscrizione di assicurazioni, il potenziamento delle strutture, il miglioramento della qualità dell’allenamento o la professionalizzazione dei propri staff. Si ritiene che attraverso questa formula diretta alle società la FIGC contribuisca ad innalzare il livello delle performance ed essere più attrattive per gli sponsor e/o i media. L’obiettivo è cercare di garantire da un lato i tesseramenti nei settori giovanili per avvicinare più ragazzine possibili al calcio femminile, dall’altro puntare alla formazione con standard elevati».

Quali sono attualmente le difficoltà maggiori del settore?

«Il tempo per noi è tiranno. Siamo sempre in corsa, esposte al perenne paragone con il calcio maschile. La nostra sfida deve essere internazionale, deve varcare i confini europei. Dovremmo ridurre il gap di genere, avvicinarci alla media europea, al mondo del calcio femminile statunitense, canadese, giapponese. È a queste realtà che dobbiamo guardare, compararci alle squadre italiane maschili non porta a nessun risultato particolare. Per emergere serve alzare la qualità di ciò che proponiamo in campo. Credo sia l’unica strategia da seguire per far valere le pari opportunità in questa popolare disciplina sportiva. Le maggiori difficoltà che all’atto pratico riscontriamo sono legate alle strutture disponibili per allenarsi e di conseguenza alla possibilità di formare le competenze.

È importante anche reclutare nuovi atleti. Andando nelle scuole a parlare di calcio femminile aprendo nuovi orizzonti per le ragazzine che possono vedere il calcio come un’opportunità per divertirsi, ma che coltivando la passione, con la pratica, potrebbe in futuro diventare una professione. Per continuare a percorrere questa strada bisogna collaborare con società sane, virtuose, che lavorano per promuovere contenuti e professionalità in grado di supportare questo movimento. Per alzare l’asticella necessitiamo di un approccio sinergico di tutte le componenti. La filiera del calcio al momento è frammentata e questo non aiuta a compattarsi per raggiungere scopi comuni. La riforma del Diritto Sportivo ha aperto un varco, ora serve che le riforme sulla carte possano concretizzarsi sul campo di gioco».

Nel calcio femminile italiano nota delle differenze sostanziali tra il Nord e il Sud?

«La differenza principale la ritroviamo, banalmente, nei numeri. Le società calcistiche del Sud sono poche a livello di Serie A e B già per quanto riguarda le squadre maschili. Inevitabilmente è difficile poi che le squadre abbiamo risorse tali da investire nel calcio femminile. È una questione economica. Si fatica a far emergere il nostro movimento in realtà dove gli scarsi finanziamenti sono legati a territori commercialmente poco attrattivi, privi di impianti, dove i mezzi di trasporto pubblico sono quasi assenti. Insomma quando ci sono queste condizioni tutte le discipline sportive ne soffrono. A pagarne le conseguenze sono le ragazze».

Cosa vede nel futuro del calcio femminile: la strada è ancora in salita?

«La strada deve essere per forza in salita. Abbiamo sicuramente fatto tanto rispetto a un decennio fa, ma tanto c’è da fare ancora. Siamo in una fase in cui bisogna rendere il calcio femminile credibile. Per fare questo ci vuole tempo, pazienza, lungimiranza, valori saldi, bisogna avere la voglia di spendersi e faticare per l’evoluzione di questo movimento. Nonostante quello che si è ottenuto con il riconoscimento del calcio femminile di Serie A, c’è ancora molto da fare. Questo provvedimento ad oggi è circoscritto a poche atlete. Restano fuori almeno 32.000 delle donne che praticano calcio in Italia e se facciamo il confronto con altre realtà europee del calcio femminile, siamo nettamente indietro sui numeri sono troppo bassi rispetto agli altri Paesi. E quindi finché non raggiungiamo un livello comparativo che ci avvicini a Stati come la Spagna, l’Inghilterra, la Germania dove contano almeno 1 milione di praticanti fatichiamo a emergere. In questo panorama il calcio femminile in Italia sta facendo dei miracoli».

Quanto è attrattivo il calcio femminile per gli sponsor?

«Sicuramente sì. Stiamo affrontando, come tutti i settori, le difficoltà dipendenti dal periodo di crisi attuale, dagli strascichi della pandemia da Covid-19 e le società che fanno fatica a resistere sul territorio. Dove gli imprenditori fanno acrobazie per pagare gli stipendi ai lavoratori delle proprie aziende, non ci si può aspettare che finanzino il calcio femminile. Un investimento che viene visto con lungimiranza da grandi imprese che interpretano tale disciplina come un settore che può dare loro credibilità. Un’azione di marketing che permette di farsi conoscere al di fuori dei confini locali, attraverso il volto di azienda virtuosa, attenta a colmare le disparità di genere. Potenziando le professionalità ci si può rivolgere a un mercato più globale per la raccolta degli sponsor e la crescita sinergica del settore». ©

Articolo tratto dal numero del 1° aprile 2024 de il Bollettino. Abbonati!

📸 Credits: Canva

Giornalista professionista appassionata di geopolitica. Per Il Bollettino mi occupo di economia e sviluppo sostenibile. Dal 2005 ho lavorato per radio, web tv, quotidiani, settimanali e testate on line. Dopo la laurea magistrale in Giornalismo e Cultura Editoriale, ho studiato arabo giornalistico in Marocco. Ho collaborato a realizzare in Saharawi il documentario La sabbia negli occhi e alla stesura della seconda edizione del Libro – inchiesta sulla Statale 106. Chi è Stato?