mercoledì, 22 Maggio 2024

Competitività, l’Europa è pronta? Le 5 A dell’Agenda Digitale

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digitale europa gaudina

Lo sviluppo parte dall’innovazione digitale. Le sfide del millennio inducono l’Europa – dove l’ex Premier Mario Draghi invita a un cambiamento radicale per essere più competitiva – a scendere in campo compatta per stimolare il Mercato e svecchiare le imprese. «Dobbiamo raggiungere una trasformazione dell’economia europea, dobbiamo essere in grado di fare affidamento su un sistema energetica decarbonizzato, una difesa integrata europea, una produzione domestica nei settori più innovativi e una posizione leader nella produzione tecnologia. Se non a 27, tra chi la vuole fare», ha detto l’ex Governatore di Banca d’Italia e Presidente BCE.

Che cosa c’è nella Nuova Agenda Europea per l’Innovazione?

«Il piano d’azione in corso è costituito da una serie di iniziative concrete e strategiche volte a potenziare l’ecosistema dell’innovazione dei 27 Paesi membri»*, dice Massimo Gaudina, già Capo della Rappresentanza della Commissione Europea a Milano e oggi Policy Coordinator della New European Innovation Agenda a Bruxelles. «È una roadmap varata nel 2022 dalla Commissione Europea, basata su 25 azioni suddivise in 5 “flagships”: accesso ai finanziamenti, spazi di sperimentazione, ecosistemi regionali, capitale umano e strumenti di policy-making».

«Non si tratta di un nuovo programma di fondi europei – ne esistono già molti, dal Next Generation EU al programma Horizon Europe – bensì di un insieme di iniziative di tipo legislativo, di coordinamento e messa in rete degli operatori del settore, nonché di meccanismi finanziari rafforzati, soprattutto di tipo pubblico-privato, per attirare investimenti nell’innovazione. Sostanzialmente, si cerca di organizzare e ottimizzare il panorama molto variegato del settore con l’obiettivo di evitare la frammentazione tra i 27 Paesi e di sfruttare tutto il potenziale che già possediamo per essere protagonisti nello scenario internazionale».

Quali sono, in particolare, questi freni?

«L’Europa attualmente ha tanti punti di forza, ma anche delle problematiche che le impediscono di imporsi nell’innovazione a livello mondiale. Il primo problema riguarda gli investimenti, soprattutto quelli privati. I fondi pubblici non bastano da soli a far decollare l’universo frastagliato dell’innovazione in Europa. Occorre far crescere l’intervento degli investitori, anche istituzionali, nelle giovani imprese innovative, soprattutto nella loro fase di crescita, quando necessitano di capitali maggiori. Poi c’è il tema delle risorse umane: possiamo fare di più sia per attirare talenti da altri continenti, sia per trattenere in Europa i nostri talenti dell’innovazione e della ricerca, che spesso trovano in altri continenti o in altre professioni le opportunità per crescere. Serve inoltre un coordinamento tra gli ecosistemi dell’innovazione».

«Bisogna fare in modo che le pubbliche amministrazioni, le aziende, le università, i centri di ricerca lavorino insieme sul territorio per offrire sul piano europeo il proprio know-how e integrarlo con quello degli altri Paesi membri. Inoltre dobbiamo promuovere e rafforzare gli appalti pubblici nel campo dell’innovazione, cosi’ come gli spazi di sperimentazione controllata che l’attuale imponente rivoluzione tecnologica richiede. Infine un ultimo nodo da sciogliere è quello del policy-making. Abbiamo 27 politiche nazionali di innovazione separate, spesso basate su dati e persino terminologie diverse. Si tratta di rafforzare il lavoro congiunto. Abbiamo mappato oltre 200 iniziative dedicate all’innovazione a livello dei singoli Paesi, in aggiunta alle 25 azioni europee. Mettendo in rete i due livelli, possiamo raggiungere una massa critica considerevole. Sono queste le aree principali di intervento dell’Innovation Agenda».

L’Agenda Digitale coinvolge tutti i settori economici o pochi contesti selezionati?

«Le iniziative sono in linea generale trasversali e rivolte a tutti i settori dell’innovazione, però c’è un focus particolare sulle grandi priorità strategiche dell’Unione Europea. Transizione verde e rivoluzione digitale, che includono opportunità offerte dall’Intelligenza Artificiale. Tali ambiti in questo momento storico sono quelli che assorbono la maggior parte delle risorse dei vari programmi e politiche comunitarie. Ma ovviamente anche il settore medico è tra quelli che più beneficeranno di innovazioni tecnologiche, in termini di prevenzione, diagnosi e cure».

Quale strategia sarà attivata per attrarre gli investitori?

«Sappiamo che nel Vecchio Continente c’è una riluttanza al rischio (risk aversion) al contrario di quanto avviene, per esempio, negli Stati Uniti. Inoltre, a livello europeo l’Unione del Mercato dei Capitali (CMU) è ancora incompleta. Certo, investire su imprese neonate può apparire rischioso, anche per le regole attuali di molti Paesi. Si possono ottenere grandi guadagni se l’idea si rivela efficace, ma si può anche fallire. Il Venture Capital e i capitali pazienti, quelli che hanno bisogno di tempi lunghi per vedere i risultati, sono sempre più necessari ma ancora insufficienti, soprattutto da parte degli investitori istituzionali, come i fondi pensione o le assicurazioni. Questo è dovuto sia agli impianti legislativi delle nazioni sia a un bagaglio culturale sedimentato. Per invertire la rotta esistono programmi come InvestEU (garanzie europee che incentivano investimenti privati, gestito in Italia da CDP), che ha già sostenuto oltre 1,5 milioni di PMI in tutta Europa».

«Notevole è il successo dell’European Innovation Council (EIC) Fund, che sta diventando il maggior investitore in Deep Tech in Europa, con il suo mix di sovvenzioni, equity e investimenti privati. Altre iniziative della Commissione e della Banca europea per gli investimenti (BEI) hanno lo scopo di incoraggiare gli investitori. Come l’European Tech Champions Initiative: un fondo di fondi alimentato da alcuni Paesi europei, tra cui l’Italia, e dalla BEI. Sono tutti meccanismi che possono incentivare il Venture Capital e quindi la crescita delle imprese, soprattutto in termini di capitale e non soltanto di prestiti. In più il Parlamento Europeo e il Consiglio stanno lavorando su una proposta di direttiva che intende facilitare la quotazione in borsa per le PMI, il Listing Act, ma anche su una direttiva che vuole ulteriormente incentivare gli investimenti in equity. L’intento è quello di spingere di più sugli investimenti nell’innovazione».

Quale ruolo avranno nella nuova agenda digitale le PMI?

«Il mondo delle imprese deve essere pronto a cogliere le occasioni che stanno nascendo. Opportunità offerte da tanti programmi europei. Basti pensare allo European Innovation Council, che nel settennato attuale, 2021-2027, prevede stanziamenti per 10 miliardi di euro attraverso bandi annuali, dando la possibilità alle Startup e alle PMI di fare ricerca, creare innovazione e trasferimento tecnologico. E poi il mondo delle imprese deve saper trattenere e attirare i talenti della ricerca e dell’innovazione, anche usando mezzi come le “stock option” che consentono di remunerare in azioni i dipendenti e sono una modalità ancora poco utilizzata in Europa».

E le Startup?

«Le Startup sono le regine dell’agenda e devono essere in prima linea nello sfruttare le occasioni che vengono messe loro a disposizione. Per esempio, sta nascendo un “club” delle 100 scale-up (cioè Startup già mature, in fase di crescita) più promettenti, che l’EIC sosterrà e metterà in rete, con la prospettiva di creare, si spera, alcuni nuovi unicorni europei (EIC Scaling-up Club). Ricordiamoci che negli ultimi due anni sono nate più Startup in Europa che negli Stati Uniti; il problema è che dopo aver mosso i primi passi sul Mercato queste imprese hanno bisogno di capitali ulteriori per evolversi. È in questa fase di sviluppo, di scale up, che mancano i mezzi per passare al gradino successivo. È qui che intervengono i meccanismi di investimento o di supporto sopra descritti».

Quali saranno i risvolti sull’occupazione?

«Intanto si prevede che entro il 2030 saranno assunti in Europa 20 milioni di esperti nel settore delle tecnologie informatiche. Però le professioni del futuro non sono soltanto quelle delle Information and Communication Technologies. Per esempio, l’Autorità europea del lavoro prevede la creazione nel settore Green di 2.500.000 occupati nelle professioni verdi tra energie rinnovabili, nuova mobilità, ecc. L’innovazione riguarda un po’ tutti i comparti, quindi è difficile fare delle stime. L’obiettivo di fondo è quello di mettere insieme i 27 sforzi paralleli che ci sono in questo momento. E cercare di mettere a sistema tutto, generando sviluppo e occupazione».

Qual è il volume degli investimenti previsto?

«Anche qui è difficile una stima precisa, perché molti programmi europei hanno una componente di innovazione mescolata insieme ad altre. Esiste un programma dedicato, Horizon Europe (quasi 100 miliardi in totale per ricerca e innovazione, compresi i 10 miliardi dello European Innovation Council) ma vanno poi sommati i progetti legati all’innovazione nell’ambito di programmi più vasti, dal Next Generation EU al Fondo europeo per lo Sviluppo regionale e molti altri. Se ci focalizziamo su InvestEU, la dotazione è di 26 miliardi di euro nell’attuale settennato, ma con l’obbiettivo di mobilitare 370 miliardi in totale. A tutto questo vanno aggiunte le risorse nazionali degli EU27: ogni Paese europeo ha lanciato o sta varando programmi finanziari di sostegno all’innovazione, come quelli portati avanti da Cassa Depositi e Prestiti in Italia. Le opportunità ci sono, bisogna informarsi e trovare la soluzione migliore per potenziare il proprio business. Ma siamo consapevoli del fatto che non basta sommare tutto quel che esiste. Occorre investire di più per permettere all’Europa di correre nella competizione globale per l’innovazione. Solo 4 Paesi UE hanno raggiunto l’obbiettivo di investire in ricerca e innovazione: il 3% del PIL, tra fondi pubblici e privati. La media europea è del 2%, con l’Italia purtroppo ancora indietro, attorno all’1,5 %».

Qualche altro esempio di iniziative nazionali ?

«Posso citare il progetto Innovit, che porta Startup italiane alla Silicon Valley; oppure il MIND (Milan Innovation District) nell’area dell’Expo, dove l’acceleratore d’impresa dell’Università di Berkeley offre supporto alle Startup europee in collaborazione con la Fondazione Cariplo, la Regione Lombardia, le imprese di Federated Innovation e Lendlease. Si tratta di partenariati pubblico-privati molto interessanti. L’Italia attualmente è molto forte nell’economia circolare, quindi nel riciclo e nel riuso dei materiali. Deve continuare ad investire nelle rinnovabili e nelle nuove forme di energia per coniugare, come in tutta Europa, competitività, crescita sostenibile e autonomia strategica».

Cosa sono le valli regionali dell’innovazione?

«E’ una delle 25 azioni dell’agenda europea per l’innovazione: la Commissione europea sta selezionando e identificando una serie di regioni europee che hanno partecipato a bandi per ottenere un finanziamento o anche semplicemente un marchio di “Regional Innovation Valley”. Successivamente le aree che saranno scelte verranno sostenute, saranno accompagnate nel loro percorso e messe in rete. Il nostro obiettivo è quello di avere 100 Valli regionali dell’innovazione che lavorano in sinergia e concentrano i loro sforzi su alcune priorità, come la salute, la sicurezza energetica, il digitale, l’economia circolare. Sono dei tentativi di mettere insieme enti pubblici locali, imprese, centri di ricerca e università attraverso partenariati territoriali. Invece di disperdere le risorse in tanti piccoli progetti, l’idea è di specializzarsi su specifici obiettivi. Questi gruppi lavoreranno insieme ad altre regioni d’Europa che si sono focalizzate sugli stessi temi per evitare di sprecare conoscenze e competenze. Sarà così possibile operare in squadra sugli ambiti nei quali si sono concentrate».

La sfida sarà trasferire le competenze dalla scienza alle imprese?

«È questo un altro punto debole dell’innovazione europea. Abbiamo una ricerca scientifica di altissimo livello, che produce tantissimi risultati e pubblicazioni, ma non sempre queste scoperte vengono tradotte in prodotti, processi, imprese. Per potenziare questo legame, sono utili i già citati finanziamenti dell’EIC, che hanno l’obiettivo di aiutare le aziende a sviluppare innovazione, testare le ricerche svolte, commercializzarle e supportare il trasferimento tecnologico (da notare che gli ex Ministri Francesco Profumo e Luigi Nicolais fanno parte rispettivamente dell’EIC Board e dell’EIC Forum). Esistono inoltre molte iniziative a livello nazionale, ma è importante lavorare in rete affinché non si sprechino energie e know-how. Questo non solo a livello locale, ma anche tra i vari Paesi, per scambiarsi idee e buone pratiche, imparando l’uno dall’altro come sostenere gli innovatori».

«È un mondo ancora abbastanza giovane, in evoluzione. Osserviamo esperienze interessanti in tanti Paesi: in Belgio ci sono delle accademie sulla intelligenza artificiale per formare anche gli imprenditori. In Portogallo sono state istituite delle zone speciali che hanno una sorta di status fiscale agevolato per chi vuole investire in nuove tecnologie. Sono realtà che possono essere riprodotte anche altrove. Dal primo rapporto della Commissione Europea sullo stato di implementazione di questa agenda, si evince che le 25 azioni lanciate nel 2022 stanno progredendo e 13 di esse sono già state completate. Molto si sta facendo, ma molto resta ancora da fare: le altre potenze tecnologiche mondiali stanno galoppando e noi dobbiamo sicuramente fare di più per restare competitivi».

Le 5 A dell’Agenda Digitale

Ampliare i finanziamenti

Mobiliterà investitori istituzionali e privati in Europa affinché investano e traggano vantaggio dalle Start-up europee del settore deep-tech.

Abilitare l’innovazione attraverso spazi di sperimentazione e appalti pubblici

Faciliterà l’innovazione attraverso migliori condizioni, compresi approcci sperimentali alla regolamentazione (ad esempio sandbox normativi, banchi di prova, laboratori e appalti per l’innovazione).

Accelerare e rafforzare l’innovazione negli ecosistemi europei e affrontare il divario innovativo

Sosterrà la creazione di poli dell’innovazione regionali e aiuterà gli Stati membri e le regioni a destinare almeno 10 miliardi di euro a progetti concreti di innovazione interregionale, compresa quella tecnologica profonda per le principali priorità dell’UE. Aiuterà inoltre gli Stati membri a promuovere l’innovazione in tutte le regioni attraverso l’uso integrato della politica di coesione e degli strumenti di Orizzonte Europa.

Attrarre e trattenere i talenti

Garantirà lo sviluppo e il flusso di talenti essenziali del deep tech all’interno e verso l’UE attraverso una serie di iniziative tra cui un programma di tirocini in innovazione per Startup e scale-up, un pool di talenti dell’UE per aiutare le Startup e le imprese innovative a trovare talenti extra-UE, un programma per l’imprenditorialità e la leadership femminile e un lavoro pionieristico sulle stock option dei dipendenti delle Startup.

Aggiornare e migliorare gli strumenti di elaborazione delle politiche

Sarà la chiave per lo sviluppo e l’utilizzo di set di dati solidi e comparabili e di definizioni condivise (Startup, scale-up) in grado di informare le politiche a tutti i livelli in tutta l’UE e per garantire un migliore coordinamento attraverso il Consiglio europeo per l’innovazione Forum. ©

* Le opinioni dell’intervistato sono espresse a titolo personale e non impegnano l’istituzione di appartenenza

Articolo tratto dal numero del 1° maggio 2024 de il Bollettino. Abbonati!

📸 Credits: Canva

Giornalista professionista appassionata di geopolitica. Per Il Bollettino mi occupo di economia e sviluppo sostenibile. Dal 2005 ho lavorato per radio, web tv, quotidiani, settimanali e testate on line. Dopo la laurea magistrale in Giornalismo e Cultura Editoriale, ho studiato arabo giornalistico in Marocco. Ho collaborato a realizzare in Saharawi il documentario La sabbia negli occhi e alla stesura della seconda edizione del Libro – inchiesta sulla Statale 106. Chi è Stato?