mercoledì, 24 Aprile 2024

Meloni vorrebbe l’Italia hub energetico del Mediterraneo. Ma è davvero possibile?

Sommario
Italia

Un hub energetico del Mediterraneo, ponte tra Africa ed Europa. Così il Governo Meloni vede l’Italia del futuro. Ma è davvero una proposta fattibile? Affinché lo possa diventare servono progettazione, investimenti e capacità di spesa. Il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza rappresenta un’opportunità e un banco di prova importante. Ma i segnali che arrivano sono ambivalenti. L’Italia è il Paese che ha ottenuto più fondi dall’Europa, circa 66,8 miliardi di euro.

Ma c’è ancora strada da fare sul fronte della capacità di spesa degli investimenti. «Le procedure chiuse e i bandi in via di assegnazione sono numerosi. Abbiamo un’ottima capacità di stare nei tempi previsti dalla Commissione Europea per target e milestone. C’è però qualche lentezza di spesa», spiega Michele Masulli, Direttore Area Energia del think tank ’Istituto per la Competitività (I-COM) e autore del rapporto di SostenibilItalia, Osservatorio che analizza l’applicazione delle riforme e degli investimenti in energia e sostenibilità nell’ambito del PNRR.

«Diverse scadenze di bandi e avvisi sono state prorogate. Le stesse previsioni per il 2022 nella Nota di Aggiornamento al Documento di Economia e Finanza (DEF) riportano una revisione al ribasso dei profili programmatici di utilizzo dei fondi del PNRR rispetto a quanto previsto inizialmente. Da 29,4 miliardi di euro di risorse integrate scendiamo a 15 miliardi, quasi la metà. Stesso vale per la spesa per il 2023/2024, mentre aumentano le risorse per il 2025/2026», aggiunge Masulli.

Il ruolo dell’Italia nel Mediterraneo

Oggi l’Algeria è il nostro primo fornitore e terzo di gas del Continente. Fonte che verrà sostituita in un prossimo futuro con l’idrogeno verde, secondo quanto prevede l’accordo stipulato tra Italia e Algeria. L’intesa abbraccia diversi campi, dalla cultura al turismo, con l’energia al centro. Anche l’Unione europea, nel piano RePowerEU, scrive che “mirerà a riavviare il dialogo sull’energia con l’Algeria, uno dei mercati in rapida crescita per le tecnologie energetiche verdi”. Piano che riconosce la centralità del Mediterraneo e spinge per diversificare le forniture e realizzare nuove infrastrutture. In questo quadro favorevole l’Italia ha il potenziale per giocare il ruolo di hub di collegamento tra Africa ed Europa auspicato dalla Premier Giorgia Meloni. Un piano ambizioso che passa però, tra le altre cose, dallo sfruttamento a pieno regime dei rigassificatori esistenti.

Infastrutture ok

«Negli ultimi anni l’Italia ha fatto passi avanti importanti dal punto di vista delle infrastrutture. Abbiamo il Green Stream con la Libia, c’è la Tap, il gasdotto di Tarvisio, il terminale LNG dell’Adriatico, il rigassificatore di Panigaglia. Parliamo di gas ma anche di elettricità. Terna ha infatti annunciato la costruzione di un nuovo elettrodotto sottomarino di collegamento con la Tunisia da 600 MW in corrente continua. Progressi che possono provare a mettere l’Italia al centro del Mediterraneo. Una zona che sarà centrale secondo le Istituzioni europee. Infatti, molte delle misure previste dal piano RePower EU per realizzare nuovi impianti e diversificare le forniture passano dal Mare Nostrum.

Per quanto riguarda il nostro Paese, c’è l’esigenza di far funzionare i rigassificatori attivi a pieno regime e installare nuova capacità. Le infrastrutture in funzione storicamente impegnano volumi molto ridotti di gas, fatta eccezione per quello dell’Adriatico. Per quanto riguarda i nuovi impianti, Ravenna è stato autorizzato e anche la vicenda del tanto criticato rigassificatore di Piombino sembra avviarsi a una conclusione positiva», aggiunge il il Direttore Area Energia di I-COM.

Le Regioni possono fare di più

La realizzazione dell’ambizioso proposito del Governo passa dalla cooperazione di diversi attori, dalle Istituzioni nazionali alle amministrazioni pubbliche, passando per associazioni, stakeholder e comunità locali. Una strategia che non può prescindere dalla creazione di un sistema virtuoso che permetta di sfruttare al meglio i fondi dell’Europa e gli investimenti, effettivi e dichiarati, dei player dell’energia. Cosa che non succede oggi, per diversi motivi: lungaggini burocratiche, dinieghi di uno dei tanti attori coinvolti nell’iter autorizzativo, divergenze tra politiche attuative e di indirizzo.

«La capacità dell’Italia di rispettare le tempistiche dettate dalla Commissione Europea è un traguardo non affatto scontato perché il piano è quello più corposo in termini economici, quindi anche più complesso», spiega Masulli. «6 Paesi europei ancora non hanno conseguito la prima tranche di finanziamenti dal PNRR, Spagna e Italia sono gli unici che hanno già ricevuto la seconda. Se raggiungeremo i 55 target previsti potremo accedere anche ai 19 miliardi della terza tranche. Tante sono le misure in via di preparazione. In questo il ruolo del Governo e delle Istituzioni è significativo, infatti un quarto delle misure avviate, in termini di volumi di investimento, fa capo all’ex Ministero della Transizione Ecologica. L’Ufficio Parlamentare di Bilancio stima che Regioni e enti locali posso essere soggetti attuatori per circa 70 miliardi di euro di investimenti, un terzo del dispositivo totale», continua Masulli.

«C’è un tema di capacità di gestione di spesa da parte degli enti territoriali, spesso aggravati dalla gestione di politiche di coesione europea. Il PNRR ha modalità di gestione, implementazione e rendicontazione a cui l’amministrazione pubblica italiana non è abituata. È importante lavorare sui processi, ma anche sul sistema generale di organizzazione del lavoro e non è facile. Si sta discutendo della possibilità di adeguare la programmazione europea adeguandola al Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza, molto più stringente», afferma il Direttore Area Energia di I-COM.

L’eolico offshore, in mare, è una delle tecnologie che sta lentamente prendendo piede anche in Italia, grazie anche al potenziale italiano in termini di sfruttamento del vento e del mare. Tuttavia, l’offshore oggi presenta poco più dell’8% della capacità eolica UE ed è perlopiù concentrato in Germania. Quali sono le prospettive future?

«Il PNRR destina 680 milioni di euro alla costruzione di nuovi impianti innovativi, tra cui l’eolico offshore appunto. Il Piano Nazionale Integrato per l’Energia e il Clima (PNIEC) prevede un obiettivo per il 2030 di 900 MW. Oggi l’unico impianto in esercizio è a Taranto da 30 MW. L’Europa prevede invece, per lo stesso traguardo temporale, 4 volte la capacità installata attualmente, 60 GW di eolico offshore. Le tecnologie flottanti sono particolarmente promettenti per il Mediterraneo perché permettono di installare impianti a profondità più elevate.

Terna ha comunicato che ad ottobre scorso le richieste di connessione alla rete per l’eolico offshore superavano i 95 GW, oltre il 200% in più rispetto a quelle pervenute a dicembre 2021. Di fronte a questo interesse significativo del mercato, l’obiettivo da porsi va adeguato. Le potenzialità del vento e del mare in Italia sono importanti. Lo spazio marittimo è uno dei temi da risolvere, su cui l’Italia è in ritardo. Mancano anche infrastrutture per connettere gli impianti in mare con la rete».

A che punto è la transizione dell’Italia verso l’economia circolare?

«Mediamente il comparto industriale è tra i più virtuosi nella gestione dei rifiuti. L’Italia si distingue positivamente rispetto agli altri Paesi europei per quanto riguarda i rifiuti speciali, le criticità nascono quando parliamo di quelli urbani. C’è poi il grande tema degli squilibri territoriali. Alcune Regioni del Nord hanno percentuali elevate di raccolta differenziata, capacità impiantistica significativa tale da chiudere il ciclo e accogliere volumi da altri territori, governance completa. Più della metà, invece, non hanno raggiunto gli obiettivi minimi del 65% di raccolta differenziata al 2012, fanno molto ricorso allo smaltimento in discarica (opzione residuale secondo l’Europa) oppure mandano i rifiuti altrove, hanno una bassa disponibilità di impianti per chiudere il ciclo, presentano costi più elevati rispetto alla media, hanno un grado contenuto di realizzazione dei progetti di nuovi impianti. Sono 7 le Provincie che non hanno una governance di gestione dei servizi completa».

Chiudiamo con la scoperta annunciata dal Dipartimento dell’Energia americano di una reazione che genera più energia di quella necessaria ad innescarla. Traguardo ottenuto attraverso potenti laser piuttosto che confinamento magnetico, metodologia su cui investe maggiormente l’UE. Si parla entusiasticamente di energia pulita infinita. Qual è il vero potenziale “pratico” della scoperta? È destinata a rimanere nei laboratori?

«Il progetto californiano segue una tecnologia non molto utilizzata nella ricerca, anche perché non si può riprodurre in maniera costante. Dopo ogni test la macchina va infatti lasciata un giorno prima di utilizzarla nuovamente. Parliamo di contenimento inerziale, ovvero fasci laser molto potenti che sparano su un bersaglio. Il risultato riportato è che si è avuto un guadagno netto di energia del 50% in più rispetto a quella introdotta. Tuttavia, si tratta di quantitativi molto ridotti, meno di 1 KW/h. Per avere applicazioni commerciali ci vorranno decenni.

Prosegue l’investimento della ricerca sul tentativo di riprodurre l’energia delle stelle, la fusione nucleare. Un potenziale importante in termini di energia pulita, che non crea scorie di lungo periodo come le centrali a fissione, teoricamente potrebbe fornire energia quasi illimitata a 0 emissioni di carbonio. Bisogna capire la scalabilità, oltre a superare gli ostacoli di natura termodinamica. La strada è aperta ma è ancora densa di ostacoli di natura economica e tecnologica. Una delle sfide sarà anche reperire il trizio, isotopo dell’idrogeno che è molto raro».

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