lunedì, 29 Aprile 2024
Sommario
comunità energetiche

Accelerata per le Comunità Energetiche Rinnovabili, che rendono la transizione sostenibile un obiettivo a portata di tiro. La loro funzione? Favorire la produzione e il consumo locale di energia pulita, in cambio di importanti incentivi economici e un ritorno dal punto di vista sociale. Le norme più recenti consentono di aumentare il perimetro delle CER e il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza ha stanziato 2,2 miliardi di euro per finanziarne interamente la realizzazione. Elementi che suggeriscono che questo strumento sarà tra i principali protagonisti della transizione energetica.

Comunità energetiche, i numeri

comunità energetiche rinnovabili

Complessivamente sono 54 le comunità di autoconsumo totali attive, per una potenza complessiva installata pari a 1,5 MegaWatt. 17 di queste sono CER, secondo le ultime stime. Sarebbero poi altre 100 quelle in attesa di ottenere il via libera. L’obiettivo al 2026 è raggiungere una potenza installata di 5 GigaWatt. Nel 2030 le CER dovrebbero superare i 7 GigaWatt, arrivando a coprire circa il 10% degli obiettivi nazionali fissati per quella scadenza. Dati che dimostrano che questa forma di autoconsumo collettivo di energia Green rappresenta un’opportunità importante per centrare gli obiettivi di decarbonizzazione. È una rivoluzione dei sistemi di produzione, gestione e utilizzo dell’energia.

Il potenziale delle CER

Ora per supportare pubbliche amministrazioni e cittadini nella formazione di Comunità Energetiche Rinnovabili c’è un nuovo strumento: l’Osservatorio fondato dall’Agenzia nazionale per le nuove tecnologie, l’energia e lo sviluppo economico sostenibile (ENEA). Il progetto mira a favorire lo sviluppo delle CER e a risolvere le criticità della filiera attraverso provvedimenti legislativi e amministrativi. «Il meccanismo funziona se i partecipanti alle CER sono disponibili a modificare le loro abitudini di consumo» », dice Lorenzo Cuocolo, Professore di Diritto Pubblico presso l’Università degli studi di Genova e l’Università Bocconi di Milano, co-autore del libro Le comunità energetiche rinnovabili. Modelli, regole, profili applicativi, edito da Egea.

«Ad esempio, se durante il giorno aumento la produzione di energia solare, ma i membri della comunità continuano a utilizzare gli elettrodomestici principalmente la sera il sistema non funziona. I limiti principali riguardano il piano economico finanziario: la convenienza dell’investimento e la responsabilità di realizzare e gestire le infrastrutture. È importante diffondere la conoscenza riguardo a questi strumenti e modelli che possono favorire la transizione energetica. A questo proposito, questa estate si è tenuta la Genova Summer School, incentrata sullo sviluppo sostenibile e temi correlati. Parliamo di un’iniziativa a titolo gratuito organizzata dall’Università di Genova per far incontrare studenti, professionisti, stakeholder e istituzioni. L’evento di quest’anno ha riguardato proprio le Comunità Energetiche Rinnovabili. Si è parlato del quadro normativo europeo e italiano, cel ruolo di Regioni e Comuni, della certificazione, delle partnership pubblico private, del rapporto con il consumatore e con le imprese».

Facciamo chiarezza: in che cosa consistono le CER?

«Prima di tutto bisogna sottolineare che le comunità energetiche rinnovabili sono uno strumento regolato a livello europeo. È importante notare che sono soggetti che hanno l’obiettivo di fornire benefici economici, sociali oltre che ambientali. In altre parole, sono gruppi di soggetti pubblici e privati che si mettono insieme per produrre energia rinnovabile, mentre altri consumano virtualmente una parte di questa energia. Grazie a questo schema la comunità ottiene dallo Stato un incentivo. Perché parliamo di consumo virtuale? La CER prevede che i soggetti siano produttori e/o consumatori dell’energia rinnovabile. Alcuni possono anche solo consumare l’energia, sono detti consumer. C’è chi la produce solamente, senza usarla. Infine c’è il prosumer, che consuma e produce l’energia al tempo stesso».

risparmio energia

Perché si parla di consumo virtuale?

«Perché nella stessa fascia oraria in cui un soggetto produce rinnovabile, gli altri consumano energia. Senza bisogno di allacciarsi fisicamente ai pannelli solari. In pratica se si produce una quantità di energia in surplus e qualcuno ne consuma la stessa quantità, questa viene considerata virtualmente come Green».

Chi può partecipare alla costituzione delle CER?

«Sia soggetti pubblici sia privati, persone fisiche o giuridiche, a condizione che queste non facciano delle rinnovabili il loro business. L’aspetto sociale delle comunità energetiche è fondamentale, infatti la direttiva europea RED II prevede che possano farne parte anche soggetti pubblici. In particolare parliamo degli enti territoriali e locali».

Nel libro dedica ampio spazio al contributo che gli enti territoriali possono dare allo sviluppo delle Comunità Energetiche Rinnovabili. Quale ruolo hanno nella diffusione delle CER?

«La partecipazione dei Comuni è abbastanza naturale, fisiologica. Un elemento importante è il dimensionamento della CER, perché possono essere costituite da soggetti che si allacciano alla stessa cabina primaria. Questo significa che nella maggior parte dei casi possono essere costituite su scala comunale. Le stime dicono che i Comuni che hanno fino a 30/40.000 abitanti possono vedere la costituzione di uno di questi strumenti di autoconsumo. In Europa all’inizio si pensava di chiamarle Comunità Energetiche Rinnovabili Solidali. Ci sono variazioni in base allo Statuto e ai regolamenti attuativi delle singole CER, ma tendenzialmente gli incentivi possono andare soprattutto a vantaggio di determinate categorie disagiate, ad esempio fasce di reddito più basse o zone con maggiori problemi di inquinamento. Dall’esame complessivo della normativa dovrebbe essere fisiologico trovare una destinazione in grado di soddisfare obiettivi di carattere sociale».

Come può partecipare il Comune?

«L’ente locale può essere promotore con azioni di marketing territoriale, mettendo a disposizione terreni o edifici dismessi. L’altra possibilità è che faccia parte della CER come semplice membro, consumer o prosumer. Normalmente assumerà quest’ultimo ruolo, in quanto è verosimile che abbia ad esempio i tetti della scuole o edifici pubblici e altre superfici su cui installare impianti rinnovabili. In alternativa, potrebbe essere un produttore esterno alla comunità energetica. Potrebbe decidere di cedere l’energia alla CER dall’esterno, senza prendere parte in prima persona al sistema».

Quale ruolo possono avere invece le società partecipate?

«Lo strumento societario è agile e potrebbe aiutare i Comuni. Tuttavia, ci sono degli ostacoli. In primo luogo, questo si scontra con quanto previsto dal Decreto Madia (il Testo Unico sulle società partecipate (DL 175/2016) prevede che la partecipazione pubblica sia ammessa esclusivamente in società per azioni o a responsabilità limitata, tipologie che non includono le CER, ndr). Poi c’è il tema della direttiva europea RED II, atto che specifica che non possono partecipare alle CER le società che fanno dell’energia il loro core business. Sarebbe illegittimo se il Comune costituisse una società ad hoc, ma quelle comunali possono essere protagoniste di una costituzione di CER. Spesso le società in house o di gestione del trasporto o del verde pubblico hanno aree idonee dove possono essere installati impianti rinnovabili».

Qual è il potenziale di questo strumento, in ottica di aumento della produzione di energia Green ma anche di stabilità e sicurezza del sistema energetico?

«L’incentivo dovrebbe favorire la produzione di energia Green. Tuttavia, i partecipanti alle CER devono mostrarsi disponibili a modificare le loro abitudini di consumo. Ci sono alcune società che sono partite in modo molto convinto sulle CER, mentre altre aziende quotate si sono un po’ raffreddate perché hanno fatto calcoli economici. Da un lato, la differenza di costo nelle fasce orarie non renderebbe le comunità una soluzione così conveniente. C’è un problema pratico di chi costruisce questa infrastruttura, perché serve qualcuno che installi i pannelli, gestisca i rapporti con il GSE, oltre a un software che connetta i diversi membri della CER.

rinnovabili

Tutto questo richiede una manutenzione costante. È un quadro ben lontano dall’idea romantica del paesino con pochi cittadini che si mette insieme e installa pannelli. Serve un investimento di tipo infrastrutturale che imporrà di costruire operazioni in partenariato pubblico privato. Bisognerà fare ricorso a soggetti specializzati nel mondo dell’energia, che portino la loro competenza, il loro know-how. Ma dovranno anche avere un ritorno economico finanziario sufficiente, tenendo conto della dimensione dell’incentivo e di come verrà redistribuito».

Cosa dobbiamo aspettarci per il futuro?

«Le stime che ha fatto recentemente il Ministero dell’Ambiente e della Sicurezza Energetica (MASE) parlano della costituzione di migliaia di CER nei prossimi anni. Nella logica ESG (Ambientale, Sociale, Governance) sono un tassello molto importante». ©

📸 Credits: Canva

Articolo tratto dal numero del’1 settembre 2023 de il Bollettino. Abbonati!

📩 [email protected]. Il mio motto è "Scribo ergo sum". Mi laureo in "Mediazione Linguistica e Interculturale" e "Editoria e Scrittura" presso La Sapienza, specializzandomi in giornalismo d’inchiesta, culturale e scientifico. Per il Bollettino mi occupo di energia e innovazione, i miei cavalli di battaglia, ma scrivo anche di libri, spazio, crypto, sport e food. Scrivo per Istituto per la competitività (I-Com), Istituto per la Cultura dell'Innovazione (ICINN) e Innovative Publishing. Collaboro con Energia Oltre, Nuova Energia, Staffetta Quotidiana, Policy Maker e Giano.news.