Gli interventi statali di sostegno a famiglie e imprese si stanno esaurendo, il Covid-19 sembra tutt’altro che sconfitto e i grandi investimenti in infrastrutture annunciati in U.S.A. e in Europa appaiono ancora lontani. Il risultato è che la ripresa economica avviata all’inizio dell’anno inizia a mostrare un rallentamento preoccupante. «L’incremento in Italia del 2021 non sarà sufficiente a recuperare quanto perso nel 2020», dice Sandro Brusco, professore della Stony Brook University. Tesi confermata dagli ultimi dati provenienti dalla Cina: la crescita del Pil nel terzo trimestre è minore di tre punti percentuali rispetto al precedente e anche per gli altri Paesi si rileva un medesimo andamento, in U.S.A. le previsioni del PIL a fine anno sono state abbassate da +6,7% a +5,7%.
E anche se è vero che l’economia italiana è tornata a crescere nei primi due trimestri del 2021, grazie al graduale allentamento delle misure restrittive adottate per contenere la diffusione del Covid-19 e un minore impatto della variante Delta rispetto alle aspettative, ora però, lo spettro della pandemia si ripresenta e le persone si chiedono se possono credere ancora in questa ripresa così sperata.
Ma la risposta è “no” secondo Brusco. «L’economia italiana ha fatto particolarmente male nel 2020, con un calo del Pil di 8,9%. Per esempio, il calo in Germania è stato del 4,6% e in USA del 3,5%. Al di là dei problemi di breve periodo non mi pare che l’Italia stia affrontando i nodi strutturali che ne hanno fatto un Paese a bassissima crescita per i venti anni precedenti la crisi per il Covid-19. Mi aspetto quindi che si torni alla condizione pre-pandemia».
L’Europa è alle prese con una imponente crisi energetica, gas e petrolio alle stelle, materie prime sempre più care, chip introvabili: la ripresa mondiale post-covid rischia di frenare?
«Diversi Paesi, come gli Stati Uniti, sono già tornati ai livelli di attività di prima. L’Italia, purtroppo, non ancora. La pressione sui prezzi delle materie prime è dovuta in parte proprio alla ripresa mondiale, che ha aumentato la domanda. A questo però si sono accompagnate strozzature dal lato dell’offerta, in parte dovute alla pandemia. L’attesa generale è che queste si dovrebbero risolvere nel giro di mesi, poi l’economia mondiale dovrebbe tornare alla normalità».
Cosa è necessario fare per non perdere i risultati avuti fino ad adesso?
«Nel breve periodo la ripresa aumenterà man mano che le strozzature strutturali si allenteranno e le restrizioni dovute al controllo della pandemia si affievoliranno. Per il lungo periodo, l’unico modo per rompere il regime di bassa crescita è riorientare la produzione verso investimenti in capitale fisico e capitale umano, sia nel settore pubblico sia in quello privato. Questo è politicamente molto impopolare e quindi non verrà fatto».
Non siamo ancora alle fiammate viste negli Usa o in Germania, ma anche in Italia la corsa dell’inflazione comincia a spaventare. Che sta succedendo?
«Dal punto di vista strutturale l’inflazione deriva dalla politica monetaria ultraespansiva che si è fatta ovunque nel mondo. È servita, insieme a una politica fiscale ultraespansiva, a limitare i danni economici della pandemia, ma ora ci sono timori che le banche centrali non sappiano reinstallare per tempo condizioni più normali, con un inevitabile aumento dei tassi. Questi timori sono alla base delle spinte inflazionistiche. Nel breve periodo si sono aggiunti fattori di strozzature dell’offerta, ma questi sono più chiaramente di carattere temporaneo».
Un campanello d’allarme per Governi e Banche Centrali…
«La verità è che fintanto che l’inflazione resta nei livelli attuali, diciamo tra il 3% e il 5% annuale, i danni sono relativamente limitati. Il timore è che le aspettative cambino e questo inneschi pressione inflazionistiche più alte, come quelle che si sono viste negli anni 70 e nella prima metà degli anni 80. Al momento questi rischi più gravi non si sono manifestati, ma il nervosismo è comprensibile».
La mancanza di materie prime blocca anche la piccola distribuzione, un esempio: i ricambi di auto ci mettono mesi per arrivare e con tutti gli ordini non si riesce a soddisfare la richiesta
«La mancanza di materie prime blocca tutto. Possiamo però attenderci che sia un problema temporaneo».
Ora c’è anche un’altra paura: la stagflazione, la temuta combinazione tra inflazione alta e crescita bassa. È una paura reale?
«È un rischio, anche se credo che al momento abbia ancora probabilità bassa».
Quali sono i fattori che potrebbero innescarla?
«Per l’Italia il basso livello di crescita non è un rischio, è una realtà da ormai vari decenni. Il rischio aggiuntivo è che si accompagni ad alta inflazione. Questo dipenderà dalle scelte della Banca Centrale Europea. Finora è stata un buon guardiano della stabilità monetaria, ma in una situazione in cui il debito pubblico è cresciuto ovunque, anche se non come in Italia, la tentazione di favorire l’inflazione per ridurre il valore reale del debito ci sarà. Vedremo quale sarà il punto di equilibrio».
L’accumulo di risparmi nel corso del 2020 fermi in banca quanto influenzano una vera ripresa?
«Questo non è un problema. I soldi non stanno ‘fermi in banca’ per magia. Ci stanno (o meglio, vengono investiti in attività a basso rischio) se mancano opportunità di investimento migliori. Il mancato dinamismo dell’economia italiana continua a restare il principale problema».
Gli Stati Uniti e l’Unione Europea hanno raggiunto una tregua commerciale su acciaio e alluminio. L’intesa permetterà di rimuovere i dazi su più di 10 miliardi di dollari delle rispettive esportazioni all’anno. Quanto vale la pace Usa-Ue?
«Non sono in grado di dare un numero. È chiaro che una ripresa del commercio internazionale in seguito a una riduzione delle barriere protezioniste è una buona cosa, ma è difficile (almeno per me) da tradurre in differenziale sul tasso di crescita». ©
Viola Rigoli