lunedì, 29 Aprile 2024
Sommario

Quello verso la transizione Green è un cammino che sembra già tracciato. Con gli effetti del cambiamento climatico sotto gli occhi di tutti, l’interesse per le questioni ambientali cresce a causa delle preoccupazioni sui rischi come lo sfruttamento delle risorse, l’inquinamento e la perdita di biodiversità. «La guerra in Ucraina ha creato un’emergenza energetica e, di conseguenza, la necessità di rallentare i processi di investimento nelle rinnovabili», dice Federica Loconsolo, Head of Businesses Development and ESG di Riello Investment Partners. Una situazione che non fa che incoraggiare le voci degli scettici. «Un altro effetto collaterale con risvolti più preoccupanti, è che questa situazione ha dato sostegno agli oppositori della Green economy. Mette in luce la nostra dipendenza dalle fonti di energia fossili, perché le rinnovabili richiedono tempi lunghi per la realizzazione, suggerendo che in caso di necessità bisogna fare affidamento al fossile. Ma i ricercatori fanno tutto il possibile per confutarla».

Cosa emerge dalle ultime ricerche?

«I dati sono preoccupanti, il clima italiano si divide in due: un sud arido, in rapida desertificazione, e un nord con condizioni quasi monsoniche. Queste alterazioni climatiche avranno un impatto significativo sulla struttura economica e produttiva del Paese, compresi settori come l’agricoltura e la pesca. Il Mediterraneo si riscalda, con conseguenze evidenti sulla biodiversità marina. Perciò, dobbiamo spostarci verso fonti di energia più sostenibile. Esiste un forte impulso verso le rinnovabili, sia a livello nazionale sia europeo, la normativa è intransigente su questo punto».

Il passaggio al trasporto elettrico mitigherà il riscaldamento globale?

«Nonostante sia un tema molto sentito, i trasporti non sono il principale contributore di emissione di gas climalteranti. Infatti, è vero che inquinano, però non sono il settore che fa i danni maggiori. È l’agroalimentare, invece, ad avere un impatto enorme. Alcuni studi stimano che almeno il 30% dei GHG (Greenhouse Gases: i gas serra, ndr), provengono da questa filiera».

Quali sono i comparti più inquinanti del settore agroalimentare?

«Gli allevamenti intensivi, insieme a tutta la filiera associata, hanno un impatto significativo. Anche lo spreco alimentare genera effetti ambientali notevoli. Perciò, nonostante sia un campo di grande interesse economico e di sviluppo, occorre considerare l’importanza della sensibilità culturale legata all’aspetto culinario. È un ambito nel quale si fatica a immaginare l’applicazione della tecnologia. Tuttavia, l’industria alimentare assiste a un vero e proprio boom tecnologico, con l’arrivo di nuovi prodotti, iniziative e imprese innovative. C’è anche un uso estremamente efficiente delle risorse, grazie all’adozione di un modello di economia circolare».

Quali sono le tecnologie Green più efficaci nel ridurre lo spreco alimentare?

«Il progresso tecnologico è un fattore cruciale nel migliorare vari processi. Attualmente, esistono molte iniziative incentrate sullo sviluppo di applicazioni che sfruttano l’intelligenza artificiale o altre tecnologie innovative. Sono strumenti utili tanto per i consumatori individuali quanto per i ristoratori, in particolare durante l’acquisto di prodotti alimentari. L’obiettivo è creare ordini che rispecchino le necessità reali, evitando di effettuare acquisti eccessivi che potrebbero portare a sprechi. Adesso è più semplice intervenire proattivamente, specialmente quando si tratta di fare ordinazioni. Ciò vale sia per gli individui sia per le aziende. Inoltre, esistono molte tecnologie e sistemi che ci permettono di accedere ai supermercati per acquistare prodotti che altrimenti sarebbero sprecati e gettati via. Per esempio, ci sono iniziative focalizzate sul settore agricolo che aiutano ad affrontare problemi come la sovrapproduzione. Tali prodotti, che normalmente non raggiungono i circuiti di distribuzione di massa, vengono invece indirizzati verso canali privati. Questo è un esempio di come la tecnologia può essere utilizzata per ridurre gli sprechi e promuovere un consumo più responsabile e Green. Quando si discute di sostenibilità, noto che spesso i metodi più antichi di gestione delle risorse possono essere i più efficaci. In un certo senso, la rivoluzione moderna consiste nel ritornare alle origini. Ad esempio, abbiamo una società nel nostro portafoglio che imbottiglia acqua da una fonte naturale. Possiede un progetto per promuovere il riutilizzo delle bottiglie di vetro, mediante il ricorso a tecnologie innovative, anche reintroducendo il vetro a rendere. Questo approccio, allineato con i principi dell’economia circolare, ha un impatto significativo in termini di riduzione dell’uso della plastica. Il vetro, infatti, è un materiale che può essere riciclato all’infinito».

A che punto siamo, a livello tecnologico, nel limitare l’utilizzo degli imballaggi di plastica?

«Siamo in una fase molto dinamica e innovativa. Ci sono varie aziende che investono in ricerca e sviluppo per trovare alternative più sostenibili e rispettose dell’ambiente. Ad esempio, abbiamo investito in un’impresa che produce cialde per il caffè, il cui obiettivo è rendere il materiale il più riciclabile possibile. C’è molta attività in questo settore e una grande quantità di ricerca e sviluppo in corso. È importante ricordare che spesso la plastica viene utilizzata perché innocua per la salute umana. Proprio per questo, in alcuni casi non è così semplice trovare materiali alternativi. Bisogna garantire che non abbiano effetti negativi sulla qualità degli alimenti e non rilascino sostanze potenzialmente dannose. Ci sono diverse iniziative e tecnologie in corso di sviluppo che cercano di trovare soluzioni alternative. Di conseguenza la finanza Green gioca un ruolo molto importante».

Come reagiscono i consumatori a questo fenomeno Green?

«La parentesi della pandemia è stata uno spartiacque molto forte, perché sono cambiate le abitudini dei consumatori. Il Covid-19 ha coinciso anche con un tema di transizione demografica molto importante. In questo periodo storico ci troviamo in una situazione in cui tutti i processi, che comunque erano partiti diverso tempo fa, come se si trovassero in una sorta di congiuntura, si stanno intersecando. E si incrociano in un modo tale da generare delle opportunità. I giovani consumatori guidano molti di questi cambiamenti. Sono più propensi a utilizzare la tecnologia e a essere consapevoli dell’origine dei prodotti che consumano. Questo spinge molte aziende a investire in tecnologie come la Blockchain per garantire la tracciabilità e la trasparenza dei prodotti. Tuttavia, c’è anche un’importante transizione demografica in corso con l’invecchiamento della popolazione. Questo crea nuove esigenze e opportunità per le aziende che possono adattarsi per soddisfarle. Resta comunque una disparità di approccio al bene tra il consumatore giovane e il consumatore meno giovane che in questo periodo è enorme, probabilmente molto più ampia rispetto alle generazioni precedenti, per via della questione tecnologica».

Entrambi i profili sono attenti a cambiamento climatico?

«Sì, anche se devo dire che c’è un dibattito estremamente forte. Noi in Europa lo sentiamo meno. Ma negli Stati Uniti ci sono diversi movimenti, per così dire, di negazionisti. Credo che tale filosofia non sia tanto consapevole ma guidata da una logica a breve periodo. Infatti, il cambiamento climatico richiede una visione di lungo termine, molto più lunga di quella che può essere la vita di una generazione. Spesso si tratta di una questione culturale, con un approccio molto deciso, diretto su certi temi. La scienza ci dice da 30 anni che il cambiamento climatico è reale e non possiamo più ignorarlo. Non ascoltare significa accettare che il mondo come lo conosciamo potrebbe finire. Paesi come la Cina, che hanno grandi problemi ambientali, investono molto per superarli».

Per quanto riguarda le piccole e medie imprese italiane, quali sono i rischi e le opportunità di questo trend di cambiamento?

«Le PMI, che costituiscono l’85% della forza lavoro italiana e contribuiscono in modo significativo al PIL, richiedono una particolare attenzione. L’aumento dei costi energetici ha pesato su di loro, così come la normativa CSRD (Corporate Sustainability Reporting Directive), che impone una rendicontazione di sostenibilità a tutte le aziende quotate, influenzando indirettamente anche le PMI in quanto fornitori. È essenziale che le imprese più piccole sappiano adattarsi a tale normativa e siano preparate a gestire i nuovi obblighi. Sebbene ciò comporti un ulteriore carico di lavoro, rappresenta anche un’opportunità per migliorare la sostenibilità, la reputazione e l’efficienza dell’azienda. Tuttavia, l’adeguamento richiede investimenti e consulenze specializzate, il che può rappresentare una sfida per le piccole imprese. Devono anche sviluppare strutture per monitorare e rendicontare diversi aspetti, come le emissioni, il che potrebbe richiedere l’assunzione di un manager per la sostenibilità. Inoltre, c’è carenza di dati affidabili, in particolare riguardo alle emissioni, il che implica la necessità di dotarsi di sistemi idonei per il monitoraggio. Devono rendicontare queste informazioni a vari stakeholders, come investitori e banche, in maniere differenti, aumentando il carico di lavoro. Pertanto, è necessario sostenere l’adozione di schemi unificati di rendicontazione e standardizzazione per semplificare questo processo, in modo tale da permettere anche alle imprese più piccole di svolgere il lavoro una sola volta».

Come vede il settore della finanza Green da qui ai prossimi 10 anni?

«L’Europa, in qualità di continente, si è posta un obiettivo ambizioso: raggiungere zero emissioni nette da combustibili fossili entro il 2050. Questo obiettivo, sebbene sia considerato da molti difficile da raggiungere, rappresenta un punto di riferimento per le politiche europee, che sempre più mirano a limitare l’impatto ambientale. Questo coinvolge inevitabilmente le attività produttive e gli investimenti finanziari. Tuttavia, l’Europa non è un’entità isolata, ma si trova a interagire con altri continenti. Le incognite principali riguardano l’Asia e l’America: come reagiranno a queste sfide sulla sostenibilità? È certo che siamo su un percorso senza ritorno, e che la finanza sostenibile può solo migliorare. La questione aperta è comprendere come questo scenario si svilupperà. Soprattutto in Asia, dove ci sono vari problemi strutturali, ma anche una rapida crescita demografica. Eppure, i Paesi orientali stanno investendo molto, acquisendo sempre più influenza in termini di popolazione ed economia. L’approccio dell’America verso la sostenibilità, al contrario, non è sempre lineare, dipendendo spesso dalle politiche del presidente in carica. Un rischio che dobbiamo evitare è il greenwashing, vale a dire un’azione intrapresa solo per essere percepiti come ‘verdi’, senza un impegno effettivo verso la sostenibilità. È fondamentale stabilire obiettivi realistici, ma ambiziosi, che coinvolgano tutti gli stakeholder. Lavorare insieme, condividendo diverse prospettive, è essenziale per raggiungere risultati misurabili». ©

Articolo tratto dal numero del 1 luglio 2023. Abbonati!

Laureato in Economia, Diritto e Finanza d’impresa presso l’Insubria di Varese, dopo un'esperienza come consulente creditizio ed un anno trascorso a Londra, decido di dedicarmi totalmente alla mia passione: rendere la finanza semplice ed accessibile a tutti. Per Il Bollettino, oltre a gestire la rubrica “il punto sui Mercati”, scrivo di finanza, crypto, energia e sostenibilità. [email protected]