lunedì, 29 Aprile 2024
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L’inflazione nell’area euro registra un incremento annuale del 7,0%, rispetto al 6,9% di marzo. La BCE, attraverso l’aumento dei tassi, cerca di attutirne l’impatto. Ma basterà?

«Da quando venne introdotta la moneta unica, l’Europa per lungo tempo ha assomigliato a un organismo emiplegico. La parte monetaria che funzionava bene sotto la regia della Banca Centrale, la parte fiscale polverizzata nelle diverse, talvolta divergenti, politiche economiche dei Paesi membri», dice Carlo Benetti, Market Specialist di GAM (Italia) SGR.

Questa tendenza a un aumento della spesa pubblica potrebbe tradursi o meno in un’inflazione strutturalmente più elevata, a seconda del mix di politica monetaria e fiscale. Infatti, un governo che mantiene i conti pubblici in disavanzo per un periodo prolungato non sarà in grado di evitare l’aumento dei prezzi al consumo. «Un Paese “grande debitore” come l’Italia deve sempre esercitare prudenza nella gestione dei conti pubblici».

In uno scenario di “quantitative tightening” (stretta quantitativa) la possibilità di uno scontro tra la Banca Centrale e le autorità fiscali di uno Stato membro si fa ancora più concreta. Ciò vale in particolare quando le perdite derivanti dalla vendita dei titoli di Stato detenuti dalla Banca Centrale nazionale riducono le entrate per il Tesoro e accrescono al contempo i costi di finanziamento dello Stato.

In che modo la pandemia ha comportato il passaggio dal dominio della politica monetaria a quello della politica fiscale?

«Facciamo un passo indietro. Il dibattito politico è stato polarizzato per anni sulle virtù dei bilanci dei Paesi del Nord in opposizione alla disinvoltura contabile dei Paesi del Sud. Infatti, Carlo Azeglio Ciampi evidenziava già che alla costituzione della moneta unica non si accompagnava una vera e propria politica economica europea.

Nel linguaggio ricorrevano espressioni come “conti in ordine” e “compiti a casa”, più adatte a scolaresche che alla solidarietà necessaria alla costruzione di un soggetto politico comunitario. Poi è arrivata la pandemia, il virus attraversava il Vecchio Continente incurante dei confini e della qualità dei bilanci. Jean Monnet, uno dei padri fondatori dell’Europa e primo Presidente della Comunità Europea del Carbone e dell’Acciaio, scrive nelle sue Mémoires: «Ho sempre pensato che l’Europa si farà nelle crisi e che sarà la somma delle soluzioni apportate a queste crisi».

Ecco, la risposta europea alla crisi pandemica: è stato il piano Next Generation EU, uno dei maggiori pacchetti di stimolo mai finanziati. In un tempo ragionevolmente contenuto, i governi europei si sono trovati d’accordo nel deliberare uno stanziamento di circa ottocento miliardi di euro in parte finanziato con emissioni di debito comune. Fatto impensabile appena pochi anni prima.

Parte del Next Generation prende la forma di sovvenzioni, è stato pensato per stimolare la ripresa ma ha anche lo scopo di modernizzare l’economia europea nel lungo termine. È stato il primo, vero atto di una politica fiscale comunitaria».

In un contesto come quello italiano, con elevato debito pubblico, quali sono le conseguenze dei continui aumenti della BCE?

«Il ritorno dei rendimenti nelle obbligazioni consente alla Banca Centrale Europea di “riavvolgere il nastro”. Ovvero, di diminuire gli acquisti delle emissioni governative e cominciare ad alleggerire il proprio bilancio, perché alle nuove emissioni non mancano i sottoscrittori.

D’altro canto, l’aumento dei rendimenti rende più caro il servizio del debito. Però, sull’Europa si allungano le ombre della recessione, l’automotive, che è al cuore della manifattura tedesca, è in ritardo, le stime di crescita anche per l’Italia vengono riviste al ribasso. Il governo dovrà davvero maneggiare con cura la redazione della nuova legge di bilancio.

I mercati, ricordiamolo, solo il luogo immateriale dove cercano tutela e remunerazione i risparmi delle famiglie e gli accantonamenti previdenziali di chi lavora. Il loro giudizio non è arbitrario, ma frutto di una costante valutazione del rischio degli investimenti. È giusto temere quel giudizio, è opportuno adottare comportamenti conseguenti».

Politica monetaria e fiscale potrebbero convergere?

«Prima della convergenza della politica monetaria con quella fiscale, dovrebbero convergere le politiche fiscali dei Paesi membri dell’Unione monetaria e, a seguire, quelle dei Paesi membri dell’Unione. La convergenza delle politiche fiscali è uno degli storici obiettivi dell’Unione Europea, al centro del confronto politico. I tentativi di convergenza provati in passato sono stati interrotti prima dalla crisi finanziaria globale. Poi c’è stata la crisi del debito e, in ultimo, il crollo dell’attività economica nei lockdown.

L’esplosione dei debiti ha esacerbato le differenze tra i vari Paesi. Eppure, proprio la pandemia e la guerra in Ucraina hanno riportato in evidenza quanto sia importante il coordinamento delle politiche economiche, militari, diplomatiche. La convergenza delle politiche fiscali resta fortemente dipendente dalla capacità e dalla volontà politica dei singoli Paesi a intraprendere riforme strutturali in questa direzione».

In che modo i Paesi europei potrebbero implementare la spesa pubblica senza spingere ulteriormente l’inflazione?

«La relazione tra spesa pubblica e inflazione è complessa. Infatti, ricordo che negli anni Ottanta il Presidente della Federal Reserve di allora, Paul Volcker, promosse una dura politica monetaria per contrastare l’inflazione a doppia cifra. Lui stesso esortava il Congresso ad agire in modo coordinato con la Fed perché la sola politica monetaria non era sufficiente.

L’azione sui tassi e sulla quantità di denaro operati dalla Banca Centrale deve essere affiancata da opportune politiche dei redditi disposte dal governo e, insieme, concorrono al contrasto dell’inflazione. Un incremento della spesa pubblica che non abbia effetti di spinta potrebbe essere nel trasferimento di iniziative a livello comunitario, destinando la spesa a investimenti per la crescita, evitando così di gravare sui bilanci nazionali e aggiustando al ribasso le aspettative».

Cosa potrebbe fare l’Italia per mitigare l’aumento dell’inflazione?

«Aumentare la produttività, investendo soprattutto nell’aumento della cosiddetta TFP, la Produttività Totale dei Fattori. La crescita della produttività è la via più sicura per favorire l’aumento reale dei salari e mitigare l’incremento dei prezzi. Come diceva Einaudi l’inflazione è “la più iniqua delle tasse”. Infatti, è fortemente regressiva, colpisce maggiormente le famiglie a più basso reddito perché hanno consumi meno comprimibili rispetto ad altri».

Quali sono le implicazioni dell’aumento dei tassi di interesse per la stabilità finanziaria dell’eurozona e dell’Italia?

«È fuori discussione che la stabilità dei prezzi sia il miglior ingrediente per una crescita economica equilibrata e sia la precondizione di stabilità nel lungo periodo. È però altrettanto vero che un aumento dei tassi di interesse così brusco dopo anni di politiche monetarie lasche, negli Stati Uniti da zero a 5,5% nel giro di diciotto mesi, può avere effetti destabilizzanti sul sistema.

Un effetto evidente di destabilizzazione è stata la crisi delle banche regionali degli Stati Uniti, l’aumento dei tassi è stato come il “velo di Maya” (Schopenhauer) sollevato sulle fragilità e sugli errori gestionali di alcuni istituti di piccole e medie dimensioni.

In Europa non corriamo gli stessi rischi, i controlli delle autorità bancarie nazionali e il Meccanismo di vigilanza unico sono molto più pervasivi. Ma proprio per questo costituiscono un potente bastione di salvaguardia della stabilità finanziaria.

Nel prossimo futuro, a fronte di un maggior costo del denaro e del possibile rallentamento dell’attività economica sarà ancora più importante vigilare sulle vulnerabilità. A questo proposito torniamo a quanto dicevamo sopra a proposito dei vantaggi di una politica fiscale integrata: per quanto riguarda la stabilità finanziaria è quanto mai opportuno procedere verso l’unione bancaria per migliorare ulteriormente il controllo e garantire migliori tutele ai depositanti».

Quali sono le prospettive per la politica monetaria europea?

«Gli ultimi dati confermano il rallentamento dell’economia continentale. Le stime di crescita vengono riviste al ribasso, i consumi risentono dell’aumento dei prezzi e il petrolio più caro mette in evidenza la vulnerabilità del Vecchio Continente all’approvvigionamento energetico dall’esterno, un fenomeno che risparmia gli Stati Uniti.

Anche l’erogazione del credito rallenta in conseguenza dell’inasprimento del costo del denaro. L’ultima rilevazione dell’indice PMI conferma la debolezza dell’Eurozona: l’indice composito, che tiene assieme la manifattura con i servizi, è sceso da 48,6 di luglio a 46,7 ad agosto.

Un declino pesante, quasi due punti in un indice in cui si commentano gli scostamenti decimali e, se si esclude la straordinarietà del picco al ribasso durante la pandemia, l’indice è tornato ai valori minimi del 2013.

Ancor più rilevante è la discesa sotto la soglia di 50 del settore dei servizi. Ciò ha messo la parola fine a un filotto di sette mesi positivi. Viene a mancare la compensazione che i servizi hanno dato al settore della manifattura, in contrazione da mesi.

Le prospettive di crescita a breve termine dell’Europa sono peggiorate. Il costo del denaro morde l’attività economica, la fiducia delle imprese e dei consumatori è debole. Perciò l’Europa si trova esposta alla bassa domanda estera, alla Cina in particolare.

In questo contesto giovedì 14 settembre la BCE ha aumentato i tassi di riferimento di un quarto di punto portandoli al livello massimo da quando venne introdotta la moneta unica. La reazione controintuitiva dell’euro, che è sceso, segnala come i mercati interpretino la mossa della BCE fuori tempo, eccessiva rispetto a condizioni economiche negative. Resta vero però che la politica monetaria non può fare tutto, ha bisogno di essere affiancata da una altrettanto efficiente politica fiscale». ©

📸 Credits: Canva.com

Articolo tratto dal numero del 1 ottobre 2023. Abbonati!

Laureato in Economia, Diritto e Finanza d’impresa presso l’Insubria di Varese, dopo un'esperienza come consulente creditizio ed un anno trascorso a Londra, decido di dedicarmi totalmente alla mia passione: rendere la finanza semplice ed accessibile a tutti. Per Il Bollettino, oltre a gestire la rubrica “il punto sui Mercati”, scrivo di finanza, crypto, energia e sostenibilità. [email protected]