martedì, 14 Gennaio 2025

Pomini, UniPd: «I quattro pilastri base della finanza e i falsi miti»

Sommario

Quattro pilastri base per il Mondo finanziario? Innanzitutto la moneta, nelle sue diverse forme. In secondo luogo, il risparmio e la pianificazione finanziaria. C’è poi la gestione degli investimenti e la scelta dei prodotti finanziari. Il quarto elemento è il ruolo della finanza pubblica.

«Lo Stato è il principale debitore del proprio Paese, attraverso il debito pubblico e i titoli che colloca agli investitori. Dunque è impossibile ignorare la sua presenza anche in campo finanziario. Metà del risparmio nazionale viene gestito direttamente attraverso l’emissione di titoli del debito pubblico», dice Mario Pomini, Professore Associato di Economia Politica all’Università di Padova e autore del libro Introduzione all’educazione finanziaria – Il valore del risparmio e i falsi miti della finanza, pubblicato da Giappichelli Editore.

Partiamo dal primo punto, la moneta. Perché è uno strumento potente e al tempo stesso delicato?

«Mentre la finanza può essere considerata come l’insieme delle tecniche adoperate per gestire al meglio capitali e risparmi, la moneta è la base del sistema e lo strumento per ogni pagamento e operazione. Le economie moderne sono in primo luogo economie monetarie, con i vantaggi ma anche i rischi che questo può comportare. La gestione della moneta tocca da vicino il consumatore e ciascuno di noi ogni giorno. Tuttavia, al contrario di quello che si può pensare, è un bene molto particolare e complesso. In sostanza, è uno strumento di pagamento che si modifica nel tempo e si adatta alle esigenze del pubblico e dell’economia».

In che modo?

«I progressi tecnologici determinano la forma della moneta; i bisogni degli operatori economici ne producono la mutevole domanda; le autorità intervengono con misure di politica monetaria, innanzitutto la gestione dei tassi d’interesse, affinché le transazioni avvengano in maniera efficiente».

Moneta cartacea, elettronica, digitale

Come si sta evolvendo la moneta?    

«Oggi può assumere tantissime forme: può essere un oggetto metallico, un pezzo di carta, una tessera di plastica e dal 2009, con la nascita del Bitcoin, anche una sequenza di numeri, nel caso delle criptovalute. Esistono al mondo oltre 20mila Crypto, anche se molte di queste sono inattive o non più scambiate. Il loro valore complessivo, secondo CoinMarketCap, è superiore ai 3 trilioni di euro – però è molto volatile e cambia frequentemente – mentre il loro peso finanziario continua ad aumentare. A livello globale, si stimano almeno 300 milioni di possessori di criptovalute. Ma altri osservatori si spingono a ipotizzarne molti di più».

Quali sono i punti critici e di debolezza della criptovaluta?

«Tra le sue caratteristiche fondamentali, non ha alle spalle una banca centrale che ne regola e tutela l’offerta, e nemmeno uno Stato che la renda moneta legale. Non è moneta bancaria e neanche moneta elettronica. È accettata su base volontaria e solo sulla base di regole condivise. Un altro dei limiti fondamentali è la sua alta volatilità, che la rende molto instabile. I suoi valori e prezzi si sono impennati e sono poi crollati molte volte. Queste oscillazioni non la rendono appetibile come unità di conto e nemmeno come riserva di valore. La criptovaluta è una moneta molto rischiosa, acquistata solo per fini speculativi, cioè per rivenderla. Ciò può generare grandi guadagni e anche enormi perdite. Inoltre, ha dei difetti anche come mezzo di scambio, con forti limitazioni pratiche. Le transazioni sono molto più lente e consumano molta energia rispetto ad altre. La criptovaluta è solo l’ultimo caso di come sia difficile creare una moneta privata senza il supporto dell’autorità pubblica».

E, guardando al futuro, la moneta come cambierà?

«Sicuramente l’avventura della moneta ci riserverà altre sorprese, perché la tecnologia è sempre a caccia di nuove e inedite soluzioni per i problemi che il bene moneta è chiamato a risolvere. Problemi perenni che vengono interpretati in forme sempre nuove».

Il secondo pilastro della finanza: il risparmio

Perché il risparmio e la sua pianificazione sono il secondo aspetto fondamentale?

«Perché senza il risparmio, la finanza non esiste. La formazione del risparmio chiama poi in causa il processo di pianificazione finanziaria, che ha il compito di ripartire in maniera corretta il reddito e le risorse nel corso del tempo».

Quanto mettono da parte gli italiani?

«La percentuale di risparmio è notevolmente diminuita nel corso degli ultimi anni. Le famiglie italiane risparmiano circa l’8% del loro reddito annuale, una somma attorno ai 160 miliardi di euro. Una differenza notevole rispetto alla propensione al risparmio di 30 anni fa, che arrivava anche al 20% del reddito. La capacità di accumulare denaro tende ad aumentare a mano a mano che il reddito cresce, e questo ha delle importanti conseguenze sul piano fiscale. Anche in Italia, per esempio, l’80% del risparmio è concentrato nel 20% della popolazione più benestante».

Perché si risparmia?

«Sono innanzitutto due. Il primo è sicuramente l’incertezza. Tenere da parte dei fondi è uno dei primi argini per fare fronte a spese impreviste. Il secondo motivo è non consumare oggi, per consumare domani, per realizzare progetti futuri».

Investimenti e Mercati finanziari

Il passo successivo è l’investimento…

«Esattamente. Il risparmio, una volta formato, deve essere investito. Ecco allora che l’interesse sul capitale diventa l’incentivo fondamentale perché le riserve di denaro possano circolare nell’economia. Il tasso di interesse rappresenta quindi una variabile fondamentale nel mondo della finanza come prezzo del risparmio, che prende la forma concreta di un insieme di prodotti finanziari, comprati e venduti sui Mercati».

Quanti sono oggi i prodotti finanziari?

«Letteralmente migliaia, differenti per rischiosità, scadenza, rendimento, eccetera. Il Mercato finanziario ne crea continuamente di nuovi per venire incontro alle esigenze degli operatori economici. Possiamo distinguerli in due grandi categorie: quelli della finanza tradizionale e quelli di quella innovativa, o derivata, elaborati dagli anni ‘90 in poi. I due principali strumenti finanziari tradizionali sono le azioni e le obbligazioni. Il risparmiatore che non vuole acquistare questi titoli può affidarsi al cosiddetto risparmio gestito, realizzato principalmente attraverso i fondi comuni d’investimento oppure gli ETF, Exchange Traded Fund».

Che aspetto ha una gestione finanziaria ottimale?

«È quella riassunta dal celebre modello media-varianza, che si basa sulla semplice regola comportamentale che il risparmiatore cerca di massimizzare il rendimento e minimizzare il rischio. Ma i modelli teorici, anche quelli più elaborati, spesso sono carenti perché le scelte finanziarie sono influenzate anche dalla sfera delle emozioni e degli stati d’animo. Un approccio che tenga conto di questi elementi, come insegna l’economia comportamentale, può spiegare anche nel mondo della finanza molti fenomeni, come ad esempio i boom di Borsa e le crisi finanziarie, che all’inizio si presentano come fenomeni perfettamente razionali, ma non lo sono».

Il ruolo e il peso della finanza pubblica

C’è poi, come quarto elemento principale dello scenario, il ruolo della finanza pubblica…

«Nel bene o nel male, lo Stato è il principale operatore economico di un Paese e di conseguenza anche il suo principale attore finanziario. La quota principale del risparmio nazionale è raccolta attraverso un prelievo obbligatorio, i cosiddetti contributi sociali sul lavoro. Questo prelievo va a finanziare essenzialmente la spesa per le pensioni. Poi bisogna considerare che, nonostante il loro ammontare, le tasse non riescono a coprire la spesa annuale dello Stato, né in Italia né altrove. La differenza è colmata dal debito pubblico. Così, una fetta sempre più grande della spesa dello Stato è finanziata in disavanzo. Quando si considera il debito dello Stato, bisogna distinguere il debito pubblico consolidato, cioè il debito in senso lato, che è la somma di tutti i disavanzi creati negli anni precedenti, dall’indebitamento o deficit di bilancio, che si riferisce a quanto si è preso in prestito nell’ultimo anno».

Qual è la situazione per l’Italia?

«Il debito pubblico italiano in questi mesi ha raggiunto un nuovo massimo storico, arrivando a oltre 2.900 miliardi di euro, con un aumento pari a circa 100 miliardi in un anno. Tuttavia, non è questo l’indicatore che viene usato normalmente per determinare l’ampiezza del debito. Come sempre, quello che conta per il creditore è la capacità che ha il debitore di ripagarlo. Nel caso dello Stato, queste risorse sono rappresentate dal PIL, il prodotto interno lordo, cioè dalla ricchezza prodotta ogni anno. Ecco allora che una misura più corretta e che si usa abitualmente, soprattutto nei confronti internazionali, è il rapporto tra debito pubblico e PIL».

I conti dello Stato

A quanto ammonta attualmente il rapporto debito/PIL?

«Ammontando il PIL nazionale a circa 2mila miliardi di euro l’anno, il valore è circa il 145%. Questo significa che il debito del Paese è quasi 1,5 volte superiore al valore annuale della ricchezza prodotta dall’economia. Un livello molto alto rispetto alla media europea del 90%. Le cause di questa situazione sono molteplici e affondano le radici in decenni di spesa pubblica eccessiva, crescita economica stagnante e inefficienze strutturali».

Come siamo messi rispetto agli altri Paesi?

«Nel mondo, chi ha il rapporto più alto è il Giappone, con una percentuale di circa il 250%. L’elevato risparmio dei giapponesi e una politica molto generosa della Banca Centrale consentono di sostenere questo enorme peso. Dopo viene la Grecia, il cui dato è di oltre il 160%. L’Italia occupa la terza posizione in questa poco gratificante classifica».

Il rapporto tra debito e sviluppo

In generale, il debito è una cosa buona o cattiva per uno Stato?

«È semplicemente una necessità intrinseca delle relazioni economiche. Come diciamo noi economisti, ci consente di andare al di là del nostro vincolo di bilancio, rappresentato dal reddito attuale. Credito e debito sono le due facce della finanza, che non a caso viene spesso rappresentata come l’insieme delle strategie per gestire i debiti e i crediti. Un’economia che non ne avesse, e dunque non avesse finanza, sarebbe molto elementare e anche povera. Molti progetti non verrebbero mai realizzati senza la possibilità di ottenere un sostegno finanziario esterno. Nell’ambito del debito, ciò che fa la differenza sostanziale, evidentemente, è la possibilità di ripianarlo o meno, nel corso del tempo e secondo le scadenze previste».

Con quali rischi?

«Con l’irrompere della finanza, l’economia diventa più fragile perché il flusso dei pagamenti può a un certo punto interrompersi, mettendo in crisi le banche o le società finanziarie che hanno concesso i prestiti. Quello che prima era un circolo virtuoso – vale a dire, più disponibilità di risorse per famiglie e imprese – diventa in certe circostanze un circolo vizioso, che può portare al collasso di un’economia – che sia quella familiare o di un intero Paese – attraverso il blocco completo delle operazioni di finanziamento».    ©️

Articolo tratto dal numero del 15 dicembre 2024 de Il BollettinoAbbonati!

📸 Credits: Canva