Il riutilizzo cresce in Italia, ma c’è un problema. Il settore offre lavoro a circa 100.000 addetti e produce un fatturato tra i 2 e i 3 miliardi annui. Il valore della filiera è superiore ai 23 miliardi di euro. Attenzione però alle piattaforme online di vendita dell’usato, fatturano circa 230 milioni di euro l’anno ma spenderebbero di più per funzionare.
«È un enorme ingranaggio che funziona senza una cabina di regia e senza un quadro di regole che lo favorisca. Il settore dell’usato reimmette in circolazione ogni anno mezzo milione di tonnellate di beni che altrimenti verrebbero smaltiti. Fino oggi però il denaro allocato dalle pubbliche amministrazioni alla promozione del riutilizzo è stato speso in tutti i modi meno che per questo. Chi ha un negozio dell’usato o ha un posto ambulante dell’usato di solito è vessato dall’istituzione pubblica. I negozi conto terzi sopportano, senza giustificazione alcuna, tariffe dei rifiuti uguali a quelle della grande distribuzione. I mercatari sono costretti all’informalità e alla precarietà per il combinato disposto di norme sbagliate e politiche locali ostili», spiega Pietro Luppi, Direttore del’Osservatorio del Riutilizzo e co-autore del libro “La rivincita dell’usato. Le nuove prospettive del primo pilastro dell’economia circolare”.
«Questo arcipelago di microimprese ha sviluppato un impressionante patrimonio di know how e soluzioni operative. Negli ultimi vent’anni ha sfornato formule di mercato incredibilmente innovative. L’operatore dell’usato oggi usa software e piattaforme virtuali, ma non si separa mai dalla dimensione del quartiere, delle relazioni interpersonali».
Qual è l’obiettivo di sviluppo del riciclo e del riutilizzo?
«Fare una valutazione sull’andamento del riciclo e del riutilizzo in Italia non è affatto semplice! Sono molti gli aspetti da considerare. Per quanto riguarda il riciclo, che implica trasformare la materia con processi industriali, l’Italia è al primo posto in Europa, questo può farci sentire orgogliosi. Ma non è detto che l’ecosistema sia contento, perché avere una buona performance sulla percentuale di riciclo ha un’importanza molto relativa se si considera che dal 2000 a oggi la produzione di rifiuti in Italia è pressoché raddoppiata. Questo significa che negli ultimi vent’anni il riciclo è cresciuto tantissimo, ma anche l’impatto sull’ambiente è salito. Difatti la quantità di ciò che viene incenerito o smaltito in discarica è più o meno la stessa, ma si aggiunge l’inquinamento prodotto da riciclo, che pur essendo una pratica più ecologica dell’estrazione di materie prime, genera comunque un impatto ambientale. Anche il riutilizzo cresce, una buona notizia perché il suo impatto sull’ambiente è minimo. Non è un caso che l’Unione Europea lo abbia messo al primo posto nella gerarchia dei rifiuti. Ma gli ingranaggi che lo muovono, a differenza del riciclo, sono tutti basati sul mercato. Il riciclo, oltre che dal mercato, è sostenuto dalle tariffe rifiuti pagate dai cittadini e dai contributi ambientali dei produttori, ossia delle industrie e dei distributori che immettono beni nuovi sul mercato. Il riutilizzo dipende invece dallo spirito d’iniziativa degli operatori del settore e dall’esistenza di una solida domanda».
Nel libro sfatate il mito del business dei vestiti donati ai poveri. Qual è il destino di questi vestiti?
«Nell’immaginario collettivo la cessione di abiti usati continua a essere legata alla vestizione degli ignudi, oggi i poveri hanno bisogno di altro. Un vestito usato comprato in una bancarella costa un euro e dura anni. Parrocchie e Caritas normalmente rivendono le donazioni per ottenere soldi per i progetti sociali. A volte, però, le filiere che li ricevono non sono delle migliori. Allo stesso modo, conferire abiti usati in un contenitore stradale che ha adesivi che appellano alla solidarietà significa cederlo a qualcuno che poi lo rivenderà e che, se è onesto, destinerà parte dei ricavi a un progetto sociale. Oggi, se si vuole donare un vestito è importante essere attenti alla trasparenza delle filiere, senza accontentarsi di promesse. Oggi verificare i dati è più facile che mai».
Quanto costano le Ecomafie?
«Le Ecomafie compiono disastri in molti campi, dall’agricoltura all’edilizia passando per i rifiuti. Secondo Legambiente fatturano oltre 15 miliardi di euro annui producendo danni ambientali ed economici incalcolabili. Nel libro parliamo dei fenomeni legati alle economie internazionali del riutilizzo e del riciclo, e della tendenza a spostare la Terra dei Fuochi in Paesi extraeuropei dove i controlli sono minori. Questo dovrebbe far riflettere, perché le spedizioni illecite di rifiuti fuori dall’Europa sono normalmente conteggiate nella quota del recupero. Quando ci autogloriamo per le nostre performance di recupero non dobbiamo dimenticarci che parte del risultato è falsificato». ©
Articolo tratto dal numero del 15 aprile 2023. Abbonati!