domenica, 28 Aprile 2024

Tra innovazione e sostenibilità avanza l’imprenditoria femminile

Sommario

Le imprese femminili sono più Green e avanzate. La transizione digitale ed ecologica è sostenuta con investimenti in tecnologie all’avanguardia e pratiche sostenibili che superano quelli del resto del mondo imprenditoriale. «Le donne, rispetto agli uomini, hanno un’attenzione maggiore all’impatto sull’ambiente e ai risvolti sociali delle proprie azioni», dice Antonella Giachetti, Presidente nazionale di AIDDA (Associazione delle Imprenditrici e Donne Dirigenti di Azienda). Nata nel 1961 a Torino, questa realtà da oltre 60 anni si occupa di fare rete e supportare l’universo dell’imprenditoria femminile.

Gli obiettivi

«In questi anni il mondo è cambiato. L’associazione è stata creata con il desiderio e la mission di sviluppare l’imprenditoria femminile in periodi in cui le donne erano molto poche nel mercato del lavoro. Le nostre antenate, quando hanno inaugurato l’AIDDA, hanno avuto una grande visione. Già all’epoca parlavano della nostra importanza nel portare conciliazione e armonia nell’economia e nel sociale. Parliamo di imprenditrici che nel 1961 avevano circa 50 anni, erano nate nei primi del Novecento e avevano maturato queste idee al tempo rivoluzionarie. Oggi ci battiamo affinché si consegua una parità di genere, maggiore presenza delle donne nell’imprenditoria, non tanto per una questione di giustizia, ma per la necessità di introdurre la valorialità femminile nel mercato globale, in quanto siamo convinte questa sia una delle poche ricette per non fare implodere completamente il sistema economico».

Cosa manca nel paradigma economico di oggi?

«L’economia odierna è basata sull’interesse e il potere. Serve un’inversione di rotta per sopravvivere in chiave resiliente. Dobbiamo introdurre la dimensione della cura e preoccuparci del benessere della comunità quando facciamo impresa, perché siamo corresponsabili dello sviluppo o dell’involuzione della società. Le donne nella storia hanno sempre operato in questa direzione. Soprattutto le titolari di piccole aziende si impegnano con grande passione e una dedizione spasmodica nel perfezionarsi in qualsiasi settore siano inserite. Tant’è che i campi dove le donne oggi trovano più spazio di sviluppo sono quello dei servizi e il Terzo Settore».

Quali dati indicano che l’apporto femminile contribuisce a trasformare l’economia in un sistema più equo e sostenibile?

«Le donne sono naturalmente portate alla cura che fino ad ora è stata relegata nelle case e caricata sulle loro spalle. Bisogna responsabilizzarsi e avere la consapevolezza che ogni cittadino deve contribuire, con i propri mezzi, al benessere della collettività. Questa è una questione nevralgica anche per arrivare a conciliare tempi di lavoro e tempi di vita. La struttura organizzativa attuale del mercato non teme né la morte né la malattia, si va avanti a ciclo continuo. È disumano, non può reggere. Ciò non significa che si debba tornare indietro, ma è necessario ricordare che siamo generati dalla terra, non da un robot o dai social. Abbiamo uno spirito e un corpo che vanno entrambi nutriti seguendo le leggi della natura, altrimenti ci si ammala. Mangiare, muoversi, dormire, studiare per capire: di questo è fatta la vita. Non siamo tutti supereroi. E le donne, alle quali generalmente è affidata l’assistenza di bimbi e anziani, lo sanno bene e hanno una propensione innata a cercare soluzioni che possano unire sostenibilità e competitività».

Qual è la sua esperienza personale da manager?

«Ho avuto tre bambini e ho sempre svolto un lavoro da uomo, dal punto di vista del timing. Da giovane se non avessi avuto una mamma accanto e le finanze per permettermi di avere una persona che gestisse le faccende di casa, non ce l’avrei mai fatta. Non ne avrei avuto il tempo. Ormai sono nonna e adesso che i figli sono adulti, ho mia madre sulle spalle. E se non potessi pagare una badante non potrei continuare a lavorare. La mia carriera l’ho costruita in maniera libera, non mi sono dovuta sacrificare per i figli. Lavoravo e riuscivo anche ad allattare. Andavo in Consiglio di Amministrazione con la bimba che aveva ancora pochi mesi. Lo si fa volentieri, è la nostra natura, ma ciò non significa che sia semplice o alla portata di tutte».

Negli ultimi 60 anni per la donna si sono ridotte le “acrobazie” necessarie per conciliare tempi di vita e lavoro?

«Il ritmo della nostra società non è sano. Una donna per arrivare molto in alto, oggi come in passato, deve fare rinunce e lavorare il doppio di un uomo. Si tratta di competizioni inique e innaturali. Il sistema di questa società deve volgere lo sguardo verso un cambiamento radicale perché le persone sono fragili, hanno bisogno di solidarietà, di servizi di prossimità. Non serve essere donne per capirlo. L’economia odierna però tende a perseguire il bene totale: il maggior utile possibile. Il salto di paradigma di pensiero deve essere il passaggio al bene comune: operare per il benessere della collettività, non del singolo. Non ci hanno abituato a questo atteggiamento nel fare impresa: il sistema economico ci ha indotto a non ragionare in questo senso. Preoccupandoci della cura delle persone, possiamo conseguire un PIL diverso. Si sta andando, lentamente, in questa direzione. I segnali arrivano dal mercato e le istituzioni hanno adottato indirizzi che intendono portare a tali risultati consentendo a uomini e donne di conciliare finalmente tempi di lavoro e tempi di vita».

 È difficile per le donne ottenere accesso al credito?

«UnionCamere nel suo rapporto annuale mette sempre in evidenza questa maggiore difficoltà delle donne nell’ottenere liquidità, anche perché spesso non hanno i collateral delle imprese maschili. Hanno un’indipendenza economica inferiore: è un dato di fatto. Abbiamo partecipato al W20 (vertice internazionale istituito per ridurre il divario occupazionale di genere) ed è un tema mondiale, non è l’Italia a fare eccezione. L’educazione finanziaria nelle donne non è così sviluppata e con UniCredit abbiamo partecipato al progetto Con Me al Centro proprio per promuovere questo tipo di formazione nell’universo femminile. Non solo al fine di sostenere iniziative imprenditoriali, ma anche perché l’80% delle violenze fisiche sulle donne sono precedute da violenze economiche. Le agevolazioni all’imprenditoria femminile, come quelle previste dal FID – Fondo Impresa Donna – sono molte, ma a volte hanno poca efficacia. Tant’è che, appunto nel caso del FID, i finanziamenti sono stati erogati attraverso un click day e dopo due ore erano già esauriti i fondi».

Quali sono le difficoltà maggiori che lamentano le sue associate?

«Le nostre imprenditrici lavorano in aziende abbastanza strutturate. Quello che lamentano oggi è un problema macroeconomico planetario che non è legato solo alle donne. In Europa siamo in una fase di deindustrializzazione. Le imprese che operano nel turismo vivono in questo momento un boom, il settore va molto bene, ma l’industria sta soffrendo e stiamo entrando in piena recessione. E questo è un problema per tutti: uomini e donne». ©

Articolo tratto dal numero del 1 dicembre 2023 de il Bollettino. Abbonati!

📸 Credits: Canva

Giornalista professionista appassionata di geopolitica. Per Il Bollettino mi occupo di economia e sviluppo sostenibile. Dal 2005 ho lavorato per radio, web tv, quotidiani, settimanali e testate on line. Dopo la laurea magistrale in Giornalismo e Cultura Editoriale, ho studiato arabo giornalistico in Marocco. Ho collaborato a realizzare in Saharawi il documentario La sabbia negli occhi e alla stesura della seconda edizione del Libro – inchiesta sulla Statale 106. Chi è Stato?