venerdì, 29 Marzo 2024
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Nutella

L’export del food Made in Italy vola, trainato dagli storici marchi che resistono a scandali, crisi di mercato e pandemie. Perlopiù, nascono come aziende familiari e negli anni raggiungono una notorietà tale da diventare simbolo nazionale. Gli esempi sono diversi: Nutella, Plasmon, Lavazza, Illy, Barilla e tanti altri.

«Gli ingredienti sono qualità, innovazione e sostenibilità ambientale e sociale. Ma anche la riconoscibilità e la notorietà del marchio aiutano a superare la difficoltà e rimanere sulla cresta dell’onda», spiega Gigi Padovani, gastronomo e autore di diversi libri incentrati sul mondo del food, tra i quali Mondo Nutella. 50 anni di innovazione e Plasmon. «Il Made in Italy non si protegge con la retorica della qualità del cibo italiano, ma con attente politiche a favore delle filiere garantite, cercando di difendere i contadini e gli agricoltori. Il nutri-score, la proposta di nuova etichettatura di alimenti e bevande, danneggerebbe l’Italia. Praticamente, i dietologi dicono ai consumatori che un tale prodotto non è salutare, utilizzando un avviso colorato. È importante informare, ma questa proposta sembra più voler demonizzare alcuni alimenti. Non a caso, la dieta mediterranea è considerata patrimonio dell’umanità e la nostra gastronomia ha conquistato il mondo», aggiunge Padovani.

Nutella

Esistono brand talmente popolari da diventare nomi comuni. È un bene per l’azienda?

«Il punto essenziale è che in realtà i brand non vedono di buon occhio la volgarizzazione del marchio. Gli esempi sono diversi, dallo Scotch alle Barbie, passando per la Biro, la Moka e il Mocio. Far diventare un brand sostantivo vuol dire perdere di vista la sua caratteristica di marchio registrato. Se da un lato è sinonimo di grande notorietà, dall’altro rischia di far decadere il brand stesso. Basti pensare che nel 1995 Nutella fa causa per essere stata inserita nel dizionario, chiedendo di aggiungere la dicitura marchio registrato».

Il nome è uno degli ingredienti del successo, penso a Vespa, Coca Cola, Plasmon, Nutella etc. Come scegliere il nome migliore per un brand?

«Il nome, il lettering e il logo occupano un ruolo centrale nella brand equity. Ci sono prodotti che sono diventati immortali, come Montblanc, fondata nel 1910, il profumo Chanel n. 5 (1921), Scotch (1925), Vespa (1945) e Coca Cola (addirittura 1886). Scegliere bene è fondamentale, anche se spesso la fortuna del nome dipende dal caso. Ad esempio, Plasmon nasce come un nome evocativo, che proviene dal verbo greco che significa plasmare. Lo stesso tipo di scelta fatta da Jeff Bezos per Amazon, che riprende il nome del maggiore sistema idrografico della Terra, per manifestare le ambizioni di diventare il maggiore marchio al mondo. Nutella, invece, punta sulla figura retorica della metonimia. Nutella rimanda infatti a un ingrediente contenuto nella crema spalmabile (nocciola) per riferirsi all’intero prodotto, insieme a un suffisso ella che rimanda alla dolcezza».

mondo Nutella

Quanto incide la Brand awareness?

«Quasi tutto parte da qui, la riconoscibilità e la notorietà del marchio. È fondamentale mantenere una reputazione all’altezza della fama dell’azienda, altrimenti se capita un incidente di percorso l’azienda viene sommersa. Oggi la reputazione si costruisce su tre basi: qualità delle materie prime, impatto sull’ambiente e rispetto delle risorse umane. Problemi su uno di questi tre fronti rischiano di allontanare il consumatore. La sostenibilità, in particolare, sarà sempre più centrale. I temi ESG (Environmental, social, and governance) sono sempre più diffusi, proprio perché c’è molta attenzione nei confronti della sostenibilità dei prodotti e delle tecniche di produzione, ma anche nel settore delle Risorse Umane. Lo dimostra il fatto che alcune aziende hanno iniziato a costruire asili per i figli delle collaboratrici, ad esempio. Inoltre, è nata la figura professionale del manager della sostenibilità».

Si parla spesso di ingredienti segreti, quasi come fossero il Santo Graal. È il mistero stesso uno degli ingredienti del successo dei grandi marchi?

libro Plasmon

«Un tempo l’alone di mistero che avvolgeva alcuni ingredienti contenuti nella ricetta poteva attirare i consumatori. Oggi, invece, è l’esatto contrario. Le persone che acquistano un prodotto vogliono sapere tutto a proposito di ingredienti, luogo di produzione etc. Proprio per questa ragione, alcune aziende sono state costrette a cambiare le ricette dei loro prodotti di punta, riducendo ad esempio lo zucchero o sostituendo l’olio di palma con altri tipi di olio. I primi barattoli della Supercrema riportavano sull’etichetta le diverse migliaia di calorie del prodotto a caratteri cubitali, oggi questo sarebbe impensabile. È importante sapersi adeguare allo spirito dei tempi, mantenendo le proprie caratteristiche distintive. Inoltre, se si vogliono conquistare nuovi mercati, non bisogna sottovalutare lo studio della cultura di quei Paesi, per capire quale prodotto ha maggiori potenzialità di penetrazione».

Grazie a internet e ai social è diventato più semplice farsi pubblicità. Allo stesso tempo, però, aumenta la concorrenza. Cosa deve fare un’azienda oggi per distinguersi?

«Non penso che oggi sia più semplice fare marketing e advertising rispetto al passato. Anzi, sono convinto che i social aumentino la competizione, invece di aiutare le aziende a farsi pubblicità. La piazza virtuale offre una nuova terra di conquista, uno spazio sconfinato. Allo stesso tempo però, tutti possono prendere parte alla corsa alla fama, quindi la platea di potenziali competitor si allarga. L’importante è essere in grado di orientarsi nel mondo dei social, affidandosi alle nuove professionalità che stanno emergendo. Inoltre, le aziende devono essere in grado di rispondere in maniera veloce alle opportunità che vengono dalla fanbase. Il messaggio può venire anche dal basso, invece che dall’alto, ognuno diventa così messaggero del marchio. Certamente oggi è ancora importante scegliere il giusto target, avere una strategia di marketing consolidata. Ad esempio, da sempre Plasmon si rivolge alle mamme, mentre Nutella parla soprattutto agli adolescenti. Di conseguenza, la pubblicità si incentra sulla cura del bambino e sulla famiglia, oppure sulle nuove generazioni. Dietro queste scelte ci sono studi e ricerche, che devono anche tenere conto dell’evoluzione della società. Ad esempio, oggi le forme di advertising che riguardano i prodotti per gli infanti sono rivolte anche ai papà, non solamente alle mamme. A questo proposito, affrontare il tema delle policy in aiuto delle mamme porta diversi benefici. In primo luogo, aiuta a contrastare la denatalità facendo qualcosa di concreto per i dipendenti. Ma rappresenta anche un buon modo di fare comunicazione puntando sul sociale».

ingredienti Nutella

È importante innovare ma, al tempo stesso, anche avere radici solide…

«Certo. Il caso scoppiato sull’olio di palma ne è un esempio. Dopo le notizie riguardo lo sfruttamento dei bambini e la tossicità degli agenti chimici utilizzati nelle piantagioni, diverse aziende hanno cambiato le ricette dei loro prodotti, esponendo in bella vista la scritta “Senza olio di palma”. Il problema è che alcuni dei nuovi ingredienti sono peggiori dal punto di vista nutrizionale e hanno un impatto ambientale maggiore. Altri brand, come Nutella, hanno continuato a utilizzare l’olio di palma, assicurandosi che la produzione e l’estrazione delle materie prime avvenisse nel rispetto dei diritti umani e della sostenibilità. Una scelta coraggiosa che ha pagato, infatti i consumatori hanno continuato a preferire questi marchi ad altri».

Il food è forse il settore che ci vede più protagonisti nel mondo, cosa fare per promuoverlo ancora di più?

«L’export dell’agroalimentare vale 60 miliardi di euro. Inoltre, siamo la prima nazione nel settore biologico. Mantenere alta la qualità è il modo migliore per promuovere il cibo italiano e ci sono tutti gli strumenti per farlo. Gli accordi con le associazioni di categoria nazionali, come Coldiretti, sono uno strumento utile ad assicurarsi una quota di prodotti a km quasi 0 di eccellenza. L’Italia ha il vantaggio di essere ai primi posti in Europa per numero di certificazioni di qualità: DOCG, DOC e IGP. Questo vuol dire anche che le filiere sono sottoposte a controlli rigorosi. Lo scandalo che ha colpito il vino nel 1986, quando ben 23 persone persero la vita a causa del metanolo presente in alcune bottiglie, dimostra l’importanza della qualità. Alla fine, le sentenze si sono chiuse con un nulla di fatto, ma l’aspetto positivo è che le cantine hanno iniziato a capire l’importanza di investire in innovazione. Le nuove pratiche e tecnologie che si sono diffuse negli ultimi anni permettono di avere un vino più adeguato ai gusti di diversi palati, più pulito etc».

sostenibilità

L’ottimismo di coraggiosi capitani d’industria degli anni ‘60 come Michele Ferrero, Pietro e Gianni Barilla (pasta), Mario e Giuseppe Lavazza (caffè), Ernesto Illy (caffè), Ermenegildo Zegna (moda), e Leonardo Del Vecchio (occhiali Luxottica) è diventato un ricordo per la maggior parte dell’Italia. Eppure, quegli anni la società italiana era più povera di quanto non sia oggi, forse ancor più ingiusta e meno istruita. Il nucleo di quella vecchia economia era l’impresa familiare, come lei scrive. Ma che ruolo gioca l’innovazione in questa dimensione?

«Le aziende familiari in Italia rappresentano ancora la maggioranza delle imprese, anche se il mondo della finanza è entrato a gamba tesa nel settore del food. Il problema è che l’obiettivo che questa si pone è far crescere l’azienda a tutti i costi, aumentando i dividendi di anno in anno, ma spesso non ha una visione a lungo termine. La grande diffusione di Family company ha lati positivi e negativi. I fondi per investire potranno essere inferiori, ma generalmente si punta sulla qualità. L’innovazione è fondamentale per la crescita dell’azienda e per la brand awareness. In quest’ottica, investire in nuovi macchinari costa ma porta ritorni importanti in termini di capacità di produzione, qualità e sostenibilità. Bisogna però saper innovare, ragionare prima di acquistare strumenti e fabbriche. Gli imprenditori più lungimiranti partono dal prodotto e poi pensano alle applicazioni industriali nei diversi mercati. Soprattutto, solitamente nelle imprese familiari c’è grande rispetto dei diritti dei lavoratori e attenzione alla sostenibilità». ©

📩 [email protected]. Il mio motto è "Scribo ergo sum". Mi laureo in "Mediazione Linguistica e Interculturale" e "Editoria e Scrittura" presso La Sapienza, specializzandomi in giornalismo d’inchiesta, culturale e scientifico. Per il Bollettino mi occupo di energia e innovazione, i miei cavalli di battaglia, ma scrivo anche di libri, spazio, crypto, sport e food. Scrivo per Istituto per la competitività (I-Com), Istituto per la Cultura dell'Innovazione (ICINN) e Innovative Publishing. Collaboro con Energia Oltre, Nuova Energia, Staffetta Quotidiana, Policy Maker e Giano.news.